Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9084 del 07/04/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 07/04/2017, (ud. 30/11/2016, dep.07/04/2017),  n. 9084

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16952-2010 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI TRE OROLOGI

20, presso lo studio dell’avvocato GIULIANO LEUZZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARINELLA FERRARI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 144/2009 della COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA

SEZ.DIST. di SALERNO, depositata il 07/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito per il controricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

C.M. proponeva ricorso dinanzi alla C.T.P. di Salerno avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate determinava, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), il reddito di impresa in Euro 21.381,00, rispetto a quello dichiarato di Euro 14.182,00, con recupero a tassazione di maggiori imposte IRPEG, IRAP ed IVA.

La pronuncia di rigetto del ricorso veniva impugnata dal contribuente dinanzi alla C.T.R. della Campania, sezione distaccata di Salerno, che, con sentenza del 7 maggio 2009, confermava la decisione di primo grado.

Il giudice di appello ha rilevato, in particolare, che le scritture contabili del contribuente non erano attendibili, in quanto in contrasto con le regole fondamentali di ragionevolezza, tenuto in specie conto della percentuale di ricarico sensibilmente inferiore alla media.

Avverso la suddetta sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il Collegio ha autorizzato la redazione della sentenza in forma semplificata, giusta decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016.

2. Vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, il primo ed il terzo motivo di ricorso.

Con il primo motivo, il ricorrente deduce “motivazione insufficiente” e “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 ed D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies”, in relazione ai maggiori ricavi accertati e al maggior reddito di impresa consequenzialmente determinato.

Formula il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte di Cassazione se sia errata la sentenza impugnata nella parte in cui afferma la inammissibilità dell’appello perchè la ricostruzione e determinazione del reddito di impresa è stata effettuata dall’Ufficio attraverso l’accertamento induttivo e le scritture contabile sebbene corrette non sono state ritenute attendibili, ma ha considerato veritiera la valutazione operata dall’A.F. sulla base della semplice affermazione del discostamento del reddito dichiarato dai parametri e senza avere operato il preventivo contraddittorio con il contribuente”.

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 relativamente all’applicazione delle percentuali di ricarico finalizzate a determinare presunti ricavi per Euro 108.398,00”.

Formula il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte di Cassazione se sia errata la sentenza impugnata nella parte in cui respinge l’appello perchè ritiene valido l’accertamento della percentuale di ricarico effettuata dall’Ufficio nella sola comparazione tra il costo del venduto dichiarato ed i ricavi dichiarati senza, però, motivare con fatti gravi precisi e concordanti la inattendibilità delle scritture contabili”.

3. I due motivi sono infondati.

La C.T.R. ha rilevato che l’accertamento analitico-induttivo era fondato sulla percentuale di ricarico applicata, significativamente inferiore rispetto alla media del settore, accertata sulla base di concreti riscontri effettuati in aziende similari (e non solo degli studi di settore, di modo che non necessitava nella specie l’attivazione del preventivo contraddittorio con il contribuente). In tale situazione, le scritture contabili, pur formalmente corrette, si palesavano inattendibili in quanto in contrasto con i criteri di ragionevolezza ed economicità.

La decisione si pone in linea con l’orientamento di questa Corte, che ha affermato che l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con il quale l’Ufficio finanziario procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, è consentito, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (Cass., sez. trib., 05-10-2007, n. 20857); si è, inoltre, rilevato che la tenuta della contabilità in maniera formalmente regolare non è di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni fiscali e, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento su base presuntiva ed il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (Cass., sez. trib., 08-07-2005, n. 14428).

4. Il secondo, quarto e sesto motivo di ricorso, con i quali il ricorrente deduce vizi motivazionali della sentenza impugnata sono inammissibili – in forza del disposto dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie ratione temporis, essendo stata la sentenza impugnata depositata il 7 maggio 2009 – per l’omessa formulazione di un momento di sintesi, analogo al quesito di diritto, da cui risulti la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione è da ritenersi omessa, insufficiente o contraddittoria ovvero le ragioni per cui la motivazione è inidonea a giustificare la decisione. L’onere imposto dall’art. 366 bis c.p.c. deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto alla illustrazione del motivo, così da consentire al giudice di valutare immediatamente la ammissibilità del ricorso stesso (in termini, Cass. civ., sez. trib., 08-03-2013, n. 5858).

5. Del pari inammissibile è il quinto motivo di ricorso, in quanto privo del necessario quesito di diritto.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.800,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2017

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