Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9083 del 15/04/2010

Cassazione civile sez. II, 15/04/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 15/04/2010), n.9083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.P.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA G. DA CARPI 6, presso lo studio dell’avvocato SZEMERE

RICCARDO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato VIO

GIUSEPPE;

– ricorrente –

e contro

P.L. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 437/2004 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

16/03/2010 dal Consigliere Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il giudice di pace di Bergamo ingiungeva a D.P.L. il pagamento di L. 3.616.000 in favore dell’avvocato P.L. per prestazioni professionali da questi svolte su incarico e nell’interesse della D.P.. Quest’ultima proponeva opposizione al decreto ingiuntivo sostenendo: che l’avvocato P. non aveva ricevuto alcun incarico di svolgere attivita’ professionale per conto di essa opponente essendogli stato affidato solo l’incarico di svolgere attivita’ procuratoria quale domiciliatario; che l’opposto si era reso responsabile di violazione della deontologia professionale non avendo seguito le istruzioni del “dominus” avvocato B.. La D.P. chiedeva pertanto la condanna dell’avvocato P., per responsabilita’ professionale, al pagamento dei danni subiti quantificati in L. 40.000.000.

Con sentenza 423/1999 il giudice di pace di Bergamo riteneva competente a conoscere dell’intera vicenda il tribunale di Bergamo avanti al quale rimetteva la causa.

Riassunta la causa dalla D.P., il tribunale di Bergamo con sentenza 642/2002 rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo e la domanda riconvenzionale avanzata dall’opponente.

Avverso la detta sentenza la D.P. proponeva appello al quale resisteva il P..

Con sentenza 15/5/2004 la corte di appello di Brescia rigettava il gravame osservando: che effettivamente il giudice di pace – come sostenuto dalla appellante – aveva errato nel ritenere competente il tribunale, oltre che con riferimento alla domanda riconvenzionale della opponente D.P., anche in relazione alla causa di opposizione a decreto ingiuntivo; che pero’ il detto errore non era stato rilevato ne’ dalla stessa appellante mediante impugnazione della sentenza del giudice di pace, ne’ dal tribunale di Bergamo davanti al quale la causa era stata riassunta sollevando conflitto di competenza ex art. 45 c.p.c.; che, poiche’ nessuno di questi due rimedi era stato esperito, la sentenza del giudice di pace sulla competenza del tribunale di Bergamo doveva ritenersi passata in giudicato per cui bene aveva deciso il primo giudice su tutta la controversia; che l’avvocato P. non aveva ricoperto il solo incarico di semplice domiciliatario come emergeva dalla procura rilasciata dalla D.P. a margine dell’atto di costituzione avanti al tribunale di Bergamo nella causa di separazione; che il P., al di la’ del semplice rilascio della procura, non si era limitato solo ad un’attivita’ meramente procuratoria; che le voci esposte nella parcella liquidata dal Consiglio dell’Ordine erano state tutte provate oltre ad essere in linea con la tariffa professionale.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Brescia e’ stata chiesta da D.P.L. con ricorso affidato a due motivi. L’intimato avvocato P.L. non ha svolto attivita’ difensiva in sede di legittimita’.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso D.P.L. denuncia violazione degli artt. 34, 35, 35, 50 e 645 c.p.c. deducendo che l’incompetenza funzionale del tribunale di Bergamo in ordine al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace era stata tempestivamente eccepita da essa ricorrente all’atto di riassunzione della causa. Al riguardo il rimedio non poteva individuarsi – come erroneamente ritenuto dalla corte di appello – nell’impugnazione di un provvedimento che, pur rivestendo la forma di sentenza, si sostanziava in una pronuncia che non comportava la decisione di una questione di competenza, ma conteneva una valutazione discrezionale sul miglior modo di tutelare le contrapposte esigenze in un unico processo, talche’ la relativa pronuncia, avendo carattere ordinatorio, non era suscettibile di impugnazione. Peraltro l’incompetenza funzionale e’ rilevabile in ogni stato e grado di giudizio.

Il motivo e’ infondato.

Dalla lettura degli atti processuali – attivita’ consentita in questa sede di legittimita’ attesa la natura in procedendo del vizio denunciato – risultano i seguenti dati riportati nella sentenza impugnata e nella parte narrativa che precede:

– la D.P. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo – con il quale le era stato intimato di pagare all’avvocato P.L. L. 3.616.000 a titolo di compenso per prestazioni professionali – spiegando domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna dell’opposto al pagamento di L. 40.000.000 a titolo di risarcimento danni;

– con sentenza 423/1999 il giudice di pace di Bergamo invece di separare la causa di opposizione a decreto ingiuntivo e la causa relativa alla domanda riconvenzionale – trattenendo la prima per la quale era funzionalmente competente e rimettendo la seconda al tribunale competente per valore – dichiarava competente a conoscere l’intera controversia il tribunale di Bergamo innanzi al quale rimetteva le parti assegnando alle stesse il termine di giorni sessanta per la riassunzione della causa;

– con atto definito “comparsa di riassunzione” la D.P. riassumeva la causa chiedendo: a) in via preliminare dichiarare nullo il decreto ingiuntivo ed il “conseguente procedimento di opposizione radicatosi innanzi al giudice di pace”; c) nel merito dichiarare nullo il decreto opposto con rigetto di ogni domanda proposta dall’avvocato P.L. e con l’accoglimento della domanda riconvenzionale;

– il tribunale di Bergamo rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo e la domanda riconvenzionale proposta dalla D.P. rilevando – con riferimento alla questione della competenza – che l’errore procedurale commesso dal giudice di pace non aveva formato oggetto di impugnativa da parte dei litiganti e non era stato denunciato “mediante il regolamento necessario previsto dall’art. 45 c.p.c.” da sollevare entro i limiti temporali di cui all’art. 38 c.p.c., ovvero entro la prima udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c.”;

– la decisione del tribunale veniva confermata dalla corte di appello la quale, con la sentenza impugnata, rilevava che la questione della competenza – sollevata dalla D.P. con il primo motivo di gravame – “doveva ritenersi passata in giudicato” a seguito della sentenza del giudice di pace non impugnata dalle parti “avanti il tribunale di Bergamo, trattandosi di causa di valore superiore a L. 2.000.000” e non oggetto di regolamento di competenza richiesto di ufficio dal tribunale a norma dell’art. 45 c.p.c..

Da quanto precede emerge con immediatezza l’infondatezza della censura in esame e la ineccepibilita’ della sentenza impugnata che e’ conforme ai seguenti pacifici principi affermati da questa Corte:

– la decisione con la quale il giudice di pace statuisca sulla propria competenza, ove non abbia natura meramente interlocutoria, ma costituisca una vera e propria sentenza, non e’ impugnabile col regolamento di competenza, ma puo’ essere soltanto appellata, nei limiti e secondo le previsioni di cui all’art. 339 c.p.c. (ordinanza 29/5/2008 n. 14185 );

– in tema di procedimento davanti al giudice di pace, la sentenza contenente statuizioni sulla competenza, pronunciata da detto giudice in causa di valore superiore a millecento euro, non e’ impugnabile con regolamento di competenza, precluso dal disposto dell’art, 46 c.p.c, ne’ con immediato ricorso per cassazione, essendo soggetta ad appello, ai sensi dell’art. 339 c.p.c. ( sentenza 2/2/2007 n. 2303 );

– nei giudizi dinanzi al giudice di pace, ai sensi dell’ari. 44 c.p.c, qualora il giudice preventivamente adito declini la propria competenza, affermando la competenza per materia o territoriale inderogabile di altro giudice, e la parte non impugni con l’appello la relativa decisione, provvedendo a riassumere tempestivamente il giudizio dinanzi al giudice indicato come compe-tente, si ha acquiescenza alla declaratoria di incompetenza e la competenza del giudice indicato rimane incontestabilmente stabilita ( sentenza 4/8/2006 n 17695 ).

La corte di appello si e’ correttamente attenuta ai detti principi giurisprudenziali: dai sopra riportati dati processuali risulta – e’ opportuno precisare ed evidenziare – che la D.P. non ha proposto “appello” avverso la sentenza del giudice di pace, ma ha solo provveduto a riassumere il giudizio con atto dalla stessa definito “comparsa di riassunzione” senza denunciare – con specifico motivo di gravame – l’errore commesso dal giudice di pace nel declinare la propria competenza anche in ordine al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2696 c.c. e della tariffa professionale, nonche’ vizi di motivazione, sostenendo che dalla semplice lettura della sentenza impugnata risulta evidente l’errore giuridico in cui e’ incorsa la corte di appello nell’applicazione del principio dell’onere della prova. La decisione impugnata non scaturisce, infatti, dall’accertamento della corrispondenza tra l’attivita’ del P. – del cui espletamento non vi e’ prova – e l’applicazione della tariffa professionale. Nulla e’ stato dedotto e provato a giustificazione di un credito che non puo’ trovare rispondenza in una corretta applicazione della tariffa professionale. Peraltro ogni contestazione, anche generica, svolta dall’opponente in ordine all’espletamento e alla consistenza dell’attivita’, nonche’ all’ortodossia dell’applicazione della tariffe, e’ idonea e sufficiente a investire il giudice del potere – dovere di dare corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a far sorgere per il professionista l’onere probatorio in ordine all’attivita’ svolta ed alla corretta applicazione della pertinente tariffa.

Nella sentenza impugnata non si e’ fatta applicazione di questo principio di diritto.

Il motivo e’ manifestamente infondato ed e’ frutto di una non attenta e non corretta lettura della sentenza impugnata con la quale la corte di appello – al contrario di quanto affermato dalla ricorrente a sostegno della censura in esame – ha espressamente esaminato la doglianza mossa dalla D.P. alla sentenza del tribunale con riferimento all’effettivo espletamento dell’attivita’ professionale posta dall’avvocato P. a fondamento del credito vantato con l’opposto decreto ingiuntivo.

Al riguardo la corte di appello ha ritenuto infondata la detta censura affermando che “le voci esposte nella parcella liquidata dal Consiglio dell’Ordine” erano state “tutte ampiamente provate” ed erano “del tutto in linea con la tariffa professionale, considerato che la controversia, di valore indeterminabile” andava ricompresa “nello scaglione fra i 100 e 200 milioni” (pagina 8 sentenza impugnata).

In proposito le critiche della ricorrente – pur se titolate come violazione di legge e come vizi di motivazione – si risolvono essenzialmente nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, inammissibile in sede di legittimita’, nonche’ nella pretesa di contrastare valutazioni ed apprezzamenti dei fatti e delle risultanze probatorie che sono prerogativa del giudice del merito e la cui motivazione al riguardo non e’ sindacabile in sede di legittimita’ se – come appunto nella specie – sufficiente ed esente da vizi logici e giuridici.

Nel caso in esame non sono ravvisabili ne’ la dedotta violazione di legge ne’ il lamentato difetto di motivazione: la sentenza impugnata e’ corretta e si sottrae alle critiche di cui e’ stata oggetto.

La Corte di appello e’ pervenuta alle conclusioni sopra riportate attraverso complete argomentazioni, improntate a retti criteri logici e giuridici, nonche’ frutto di un’indagine accurata e puntuale delle risultanze di causa riportate nella decisione impugnate e relative, in particolare, al contenuto della procura rilasciata dalla D. P. a margine dell’atto di comparsa di costituzione nella causa di separazione, nonche’ a quanto dichiarato dai testi escussi in primo grado. La corte di merito ha dato conto delle proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto, esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento.

Alle dette valutazioni la ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilita’ di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non e’ certo consentito discutere in questa sede di legittimita’, cio’ comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non puo’ avere ingresso nel giudizio di cassazione.

Sono pertanto insussistenti gli asseriti vizi di motivazione e le dedotte violazioni di legge che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito.

Va solo aggiunto che dalla lettura della sentenza impugnata non risulta – ne’ e’ stato dedotto dalla ricorrente nel motivo in esame – che la D.P. abbia mosso specifiche e dettagliate censure in ordine alla correttezza o meno dell’applicazione della tariffa professionale con riferimento alle singole voci riportate nella parcella come articolata dal P. e liquidata dal Consiglio dell’Ordine.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Non vi e’ luogo a provvedimento sulle spese del giudizio di cassazione in difetto di attivita’ di resistenza della parte intimata.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2010

 

 

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