Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9083 del 01/04/2021
Cassazione civile sez. VI, 01/04/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 01/04/2021), n.9083
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26332-2019 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –
contro
IMMOBILIARE NORDEST SPA, VILLESSE SHOPPING CENTRE SRL, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente
domiciliate in ROMA, LARGO SOMALIA 67, presso lo studio
dell’avvocato RITA GRADARA, che le rappresenta e difende unitamente
agli avvocati SILVIA PANSIERI, EDOARDO ANDREA SAVINO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2238/3/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 23/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 27/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA
CAPRIOLI.
Fatto
FATTO E DIRITTO
L’Agenzia delle entrate con avviso di liquidazione emesso nei confronti di Immobiliare Nordest s.p.a. e di Villesse Shopping Centre s.r.l. rettificando ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, il valore venale in comune commercio degli immobili trasferiti con atto pubblico del 18.11.2013.
L’Ufficio evidenziava nella motivazione del provvedimento come i corrispettivi pattuiti tra le parti si discostavano significativamente dai valori venali in comune commercio determinati in base a relazione di stima richiesta all’Ute di Gorizia e allegata all’avviso di rettifica.
Le contribuenti impugnavano il suddetto provvedimento avanti alla CTP di Milano contestandone il fondamento.
Con sentenza nr 2327/2017 il primo Giudice annullava l’avviso di rettifica con compensazione delle spese.
Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva l’appello cui resistevano le contribuenti le quali a loro volta istavano per la parziale riforma della sentenza in punto spese.
Con sentenza nr 2238/2019 la CTR della Lombardia rigettava l’appello principale e quello incidentale.
Osservava con riguarda al primo che la sentenza impugnata avevano esaminato le opposte tesi e spiegato le ragioni per le quali non era stato ritenuto valido ed applicabile il metodo di determinazione del valore adottato dall’U.T.E.
Rilevava che la perizia di parte, posta a base della rettifica, costituiva una semplice perizia di parte e che la stima operata dall’U.T.E. non era idonea a superare le contestazioni avanzate dalle appellate alla luce della circostanza provata in causa che gli immobili non potevano essere considerati liberi essendo invece occupati.
Sottolineava infine che il valore complessivo indicato dalle società, sulla base del quale è stata calcolata e corrisposta l’imposta di registro, è maggiore di quello indicato dall’Agenzia delle Entrate.
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resistono con controricorso le contribuenti.
Con un primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 347 del 1990, artt. 2, 10 e 13 e del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 21,43,51 e 52. Si lamenta in particolare che la CTR avrebbe aderito all’impostazione difensiva dei contribuenti laddove avevano affermato che la valutazione complessiva cui era pervenuto l’Ufficio del territorio era di importo inferiore a quello attribuito dalle parti nell’atto sul quale era stato assolto il valore delle imposte ipotecarie. Si critica in proposito detta impostazione sostenendo che l’Amministrazione aveva sin dall’inizio dedotto che il valore venale dei beni alienati era risultato “notevolmente inferiore al dichiarato” e che non vi era stata alcuna violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52.
Si rileva che la CTR avrebbe fatto mal governo della disciplina in tema di imposta di registro annullando l’avviso di rettifica sull’erroneo presupposto che i valori dei due complessi immobiliari trasferiti con gli atti di compravendita dovessero essere sommati fra loro.
Con un secondo motivo si deduce la nullità della sentenza viziata da omessa e apparente motivazione alla luce dei motivi di appello per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 111 Cost., comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Si critica l’iter motivazionale seguito dalla CTR la quale avrebbe omesso l’esposizione delle ragioni di rigetto del gravame e fornito una spiegazione generica disancorata dalle risultanze istruttorie senza prendere specifica posizione sulle questioni sottoposte dall’appellato e non aver adeguatamente indicato gli elementi posti a fondamento della decisione stessa.
Ragioni di priorità logico giuridica impongono di iniziare la disamina dal secondo motivo di ricorso che deve ritenersi inammissibile in entrambe traducendosi, in realtà, in una globale censura sull’adeguatezza e sufficienza della motivazione, non più denunciabile a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modif. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha circoscritto il controllo del vizio di legittimità alla verifica del requisito “minimo costituzionale” di validità prescritto dall’art. 111 Cost., sicchè è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale requisito minimo non risulta soddisfatto, invero, soltanto quando ricorrano quelle stesse ipotesi che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e che determinano la nullità della sentenza (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente;
manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile), mentre al di fuori di esse residua soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che è stato oggetto di discussione e che sia “decisivo”, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Sez. U, n. 8053 del 2014, Rv. 629831 e 629830).
Ne deriva che la censura può essere formulata solo come omesso esame di fatto decisivo, nella specie neppure individuato.
Nè porta ad un più favorevole esito l’eventuale qualificazione della doglianza come error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, essendo chiara la ratio decidendi e il percorso argomentativo della CTR, incentrato sulla non correttezza del metodo impiegato dalla U.T.E. per determinare il valore dei beni negoziati e sulla sua inidoneità a superare le obbiezioni dei contribuenti circa il fatto documentato che i beni in questione non potevano essere considerati liberi aggiungendo poi che sia la società che l’Amministrazione finanziaria erano pervenuta, sia pure attraverso percorsi diversi, all’individuazione di un valore complessivo dei beni in misura sostanzialmente identica.
Si tratta di un argomentazione idonea ad esplicitare la ratio decidendi e rispettosa del minimo costituzionale della motivazione cui sopra si è fatto riferimento.
Parimenti deve ritenersi inammissibile anche il primo motivo.
La ricorrente infatti dietro lo schermo della denuncia del vizio di cui all’art. 360, n. 3, propone una nuova lettura e un diverso apprezzamento del materiale probatorio e cioè il compimento di un’attività giudiziale che è estranea alla funzione assegnata alla Corte di legittimità, essendo invece propria del giudice di merito;
– che è del tutto consolidato il principio, per il quale spetta in via esclusiva a quest’ultimo il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 9077 del 2020; Cass. n. 25608/2013, fra le molte conformi);
nella specie, la CTR, attribuendo valore probatorio prevalente agli elementi indicati in motivazione – sopra trascritti – rispetto ad altre risultanze processuali, ha ritenuto, con valutazione in fatto insindacabile in sede di legittimità, che i complessi immobiliari dovessero essere esaminati congiuntamente e che la perizia redatta dall’Ufficio del territorio non fosse idonea a contrastare le contestazioni delle contribuenti nei termini sopra detti.
Il ricorso va pertanto rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessive Euro 13.000,00.
Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2021