Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9080 del 15/04/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 9080 Anno 2013
Presidente: BANDINI GIANFRANCO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA
sul ricorso 14039-2008 proposto da:
CAMMAROTA ANTONIO, domiciliato in ROMA, VIA BUCCARI
18, presso lo STUDIO LEGALE DI NAPOLI, rappresentato e
difeso dall’avvocato RUSCIANO ROSARIO, giusta delega
in atti;
– ricorrente 2013
L995

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
80078750587, in persona del suo Presidente e legale
rappresentante pro tempore, in proprio e quale
mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Data pubblicazione: 15/04/2013

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso
l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e
difesi dagli avvocati CORETTI ANTONIETTA, MARITATO
LELIO, CALIULO LUIGI, giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 2528/2007 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 15/05/2007 R.G.N. 9975/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/03/2013 dal Consigliere Dott.
GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA per delega MARITATO
LELIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

– controri corrente –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Cammarota Antonio propose opposizione avverso la cartella
esattoriale emessa dalla concessionaria Esaban spa e portante un

pecuniaria per complessivi euro 597,16, assumendo che il
pagamento dei contributi era stato effettuato oltre due anni prima.
Il Giudice adito accolse l’opposizione e condannò l’Inps al
pagamento delle spese processuali (in ragione di euro 2.000,00,
oltre accessori di legge) e al risarcimento del danno ex art. 96 cpc (in
ragione di euro 2.500,00).
Con sentenza del 27.3 – 15.5.2007 la Corte d’Appello di Napoli,
pronunciando sul gravame proposto dall’Inps, in parziale riforma
della decisione di prime cure, rigettò la domanda di risarcimento del
danno ex art. 96 cpc.
A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò quanto segue:
– andava disattesa l’eccezione di inammissibilità del gravame
svolta dall’appellato, essendo chiaramente evincibile dalla lettura
complessiva del ricorso di appello che l’Inps aveva inteso censurare
la impugnata sentenza con specifico riferimento alla condanna ex art
96 cpc disposta dal primo giudice, dovendo, a suo dire, ritenersi
giustificata la sua condotta, sia perché le numerose incombenze
gravanti sull’istituto, ente pubblico, potevano aver creato qualche
discrepanza nel suo operato, sia perché, nella difesa di primo grado,
si era fatto riferimento ad una non corretta imputazione, da parte del
debitore, del pagamento dei contributi in oggetto e, comunque, nelle

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credito dell’Inps per contributi omessi, somme ingiuntive e sanzioni

conclusioni era stata chiesta la cessazione della materia del
contendere;

in tema di responsabilità processuale aggravata ex art. 96 cpc, il

condanna al risarcimento dei danni, andava ravvisato nella
coscienza della infondatezza della domanda e delle tesi sostenute,
ovvero nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di detta
consapevolezza, e non già nella mera opinabilità del diritto fatto
valere;

il primo Giudice aveva ritenuto sussistente la colpa grave

dell’Istituto il quale, nonostante il sistema di acquisizione telematica
dei dati in uso, aveva azionato un credito già estinto a seguito di
pagamento;

doveva invece ritenersi che, nel caso di specie, il comportamento

dell’Istituto, tenuto anche conto dell’eccezione formulata dallo stesso
nella memoria difensiva di primo grado in merito alla non esatta
imputazione del pagamento, non era riconducibile alla previsione di
responsabilità per lite temeraria, poiché le dimensioni dell’Ente
giustificavano la possibilità di eventuali disguidi amministrativi, come
quello verificatosi nel caso in esame, di avvenuto versamento di
contributi per i quali è stato invece richiesto il pagamento con la
procedura della cartella esattoriale;

d’altronde il danno subito dall’opponente, che era stato costretto

a rivolgersi ad un difensore per la tutela dei propri diritti, risultava
risarcito, dalla condanna al pagamento delle spese di lite liquidate

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carattere temerario della lite, che costituisce il presupposto della

dal primo Giudice, tenuto anche conto dell’importo della somma
ingiunta con la cartella esattoriale.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Cammarota

e illustrato con memoria.
L’Inps, anche quale mandatario della SCCI spa, ha resistito con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza, in
riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, cpc, deducendo
l’inammissibilità dell’appello, siccome privo dell’esposizione
sommaria dei fatti e dei motivi specifici dell’impugnazione di cui
all’art. 434 cpc.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza, in
riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, cpc, deducendo che la Corte
territoriale aveva omesso di disporre l’integrazione del contraddittorio
(ove l’impugnazione dovesse essere qualificata come relativa a
causa inscindibile), ovvero di ordinare la notifica del gravame (ove
l’impugnazione dovesse essere qualificata come relativa a causa
scindibile), nei confronti della SCCI spa e della concessionaria
Esaban spa, parti del giudizio di primo grado rimaste contumaci.
Con il terzo e il quarto motivo, denunciando rispettivamente vizio di
motivazione (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cpc) e
violazione o falsa applicazione degli artt. 96, comma 1, e 91 cpc (in
relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cpc), il ricorrente si duole che la

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Antonio ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi

Corte territoriale abbia rigettato la domanda di risarcimento del
danno da responsabilità aggravata.
2. Osserva preliminarmente la Corte che l’art. 366

bis cpc è

applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti
pubblicati dopo l’entrata in vigore (2.3.2006) del dl.vo 2 febbraio
2006, n. 40 (cfr, art. 27, comma 2, dl.vo n. 40/06) e anteriormente al
4.7.2009 (data di entrata in vigore della legge n. 68 del 2009) e,
quindi, anche al presente ricorso, atteso che la sentenza impugnata
è stata pubblicata il 15.5.2007.
In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall’articolo 360, primo
comma, numeri 1), 2), 3) e 4), cpc, l’illustrazione di ciascun motivo si
deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un
quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’articolo 360, primo
comma, n. 5), cpc, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere,
sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza
della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto
dall’art. 366 bis cpc, deve consistere in una chiara sintesi logicogiuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità,
formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od
affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco
l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU,
n. 20360/2007), mentre la censura concernente l’omessa,

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s

insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un
momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in

ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007).
In particolare deve considerarsi che il quesito di diritto imposto
dall’art. 366

bis

cpc, rispondendo all’esigenza di soddisfare

l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella
cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una
più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione
nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto
applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la
risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale,
e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del
motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla
fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello
stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni
esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con
l’enunciazione di una regola iuris che sia, in quanto tale, suscettibile
di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto
all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr,
ex plurimis, Cass., nn. 11535/2008; 19892/2007).

Conseguentemente è inammissibile non solo il ricorso nel quale il
suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in
modo

inconferente

rispetto

alla

illustrazione dei

motivi

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sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua

d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere
essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia
formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile

generico (cfr, ex plurimis, Cass., SU, 20360/2007, cit.).
3. Alla stregua di tali principi deve rilevarsi l’inammissibilità del primo
motivo, posto che il quesito di diritto, così come formulato, non
consente l’enunciazione di una regula iuris, ma si risolve nella mera
richiesta di accoglimento della doglianza.
3.1 Per completezza di motivazione deve comunque rilevarsi
l’infondatezza della doglianza.
Secondo il condiviso orientamento di questa Corte, in materia di
appello, fra i requisiti dell’atto di impugnazione non è prevista, a
differenza di quanto stabilito dall’art. 366, n. 2, cpc per il giudizio di
cassazione, l’indicazione della sentenza impugnata, la cui
individuazione attiene all’oggetto della domanda e, al contenuto
dell’impugnazione proposta (cfr, Cass., n. 15497/2009); e, peraltro,
la costituzione dell’appellato e lo svolgimento da parte del medesimo
di pertinenti difese comprova l’idoneità delle indicazioni contenute
nell’atto di gravame all’individuazione della pronuncia impugnata.
Deve del pari ritenersi sussistente, conformemente a quanto ritenuto
dalla Corte territoriale e tenuto conto che, in relazione al ricorso
d’appello, non sono applicabili i principi dettati in tema di
autosufficienza per il ricorso per cassazione, i requisiti della
sommaria esposizione dei fatti e della specificazione dei motivi,

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accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto

risultando sufficientemente delineati il capo della pronuncia
censurato, il contesto anche processuale in cui la stessa era stata
emessa e le relative argomentazioni critiche.

appello, che non è un novum iudicium, la cognizione del giudice
resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso
specifici motivi (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 1599/1997; 1108/2006;
9244/2007).
Tenuto conto del contenuto delle censure svolte, deve quindi
convenirsi che oggetto del ricorso d’appello è stata unicamente la
pronuncia di condanna del (solo) lnps al risarcimento del danno da
responsabilità aggravata.
4.1 Conseguentemente, essendo la controversia, così come ormai

delimitata in sede di gravame, relativa a causa scindibile, non è
fondatamente invocabile, quale pretesa causa di nullità della
sentenza, l’omessa integrazione del contraddittorio delle altre parti
del giudizio di primo grado ai sensi dell’art. 331 cpc.
4.2Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di
legittimità, la sentenza del giudice di appello, il quale abbia omesso
di disporre la notificazione dell’impugnazione relativa a cause
scindibili, é suscettibile di essere cassata dalla Corte Suprema
soltanto se, al tempo della decisione di quest’ultima, non siano
ancora decorsi i termini per l’appello, non producendo diversamente
l’inosservanza dell’art. 332 cpc alcun effetto (cfr, ex plurimis, Cass.,

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4. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di

nn. 3858/1983; 7045/1988; 6802/1999; 4893/2003; 9648/2007;
17868/2007; 12942/2007).
Non ricorrendo quest’ultima ipotesi nel presente giudizio, anche il

non può trovare accoglimento.
5. Come esposto nello storico di lite, il rigetto da parte della Corte

territoriale della domanda di risarcimento del danno ex art. 96 cpc, si
fonda su due rationes decidendi, autonome fra loro ed entrambe di
per sé sufficienti a sostenere il decisum:

la prima vedente sull’insussistenza della colpa grave dell’Istituto,

ravvisata dal primo Giudice nell’essere stata azionato un credito già
estinto a seguito del pagamento nonostante il sistema di
acquisizione telematica dei dati in uso;
– la seconda nella ritenuta sufficienza della condanna alle spese di
lite ai fini del ristoro del danno cagionato dal necessario ricorso alla
difesa tecnica.
5.1 In riferimento alla suddetta seconda ratio decidendi, deve rilevarsi

che la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato il
principio secondo cui, in tema di responsabilità aggravata per lite
temeraria, che ha natura extracontrattuale, la domanda di cui all’ad.
96 cpc richiede pur sempre la prova incombente alla parte istante sia
dell’an, sia del quantum debeatur o che, pur essendo la liquidazione
effettuabile d’ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli
atti di causa (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 5524/1983; 6637/1992;

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profilo di doglianza afferente alla dedotta violazione dell’art. 332 cpc

13355/2004; 21393/2005; 3388/2007; 13395/2007; Cass., SU, n.
7583/2004).
Nel caso di specie la deduzione svolta dall’odierno ricorrente in

determinato “quanto meno situazioni di angoscia e di incertezza nel
ricorrente, una iniziale situazione di conflittualità e di sfiducia nei
confronti del suo consulente del lavoro e quindi un danno biologico
apprezzabile”, è all’evidenza del tutto generica e come tale non offre
in concreto alcun elemento sulla base del quale poter procedere ad
una liquidazione, ancorché equitativa, del preteso danno; ed infatti
anche il primo Giudice aveva ricollegato il danno da responsabilità
aggravata unicamente alla necessità del Cammarota di doversi
rivolgere ad un difensore per la tutela dei propri diritti, sostenendone
quindi i costi.
Ne discende che correttamente la Corte territoriale, nel valutare
l’effettiva sussistenza di un danno (astrattamente) risarcibile ai sensi
dell’art. 96 cpc, ha fatto esclusivo riferimento ai costi di tutela legale
sopportati dal (preteso) danneggiato, procedendo
conseguentemente a valutare se, tenuto conto dell’ammontare della
rifusione delle spese processuali quale liquidato dal primo Giudice,
potesse ritenersi che residuassero ulteriori aggravi di costi non
coperti da tale liquidazione.
Esclusa dunque la fondatezza della censura di violazione di norme di
diritto, deve rilevarsi che la suddetta valutazione, tipicamente di

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primo grado, secondo cui l’intimazione di pagamento aveva

merito, può essere oggetto di censura in cassazione soltanto per
vizio di motivazione.
Al riguardo deve ricordarsi che, secondo la costante giurisprudenza

di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di
riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo
vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della
correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle
argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto
estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di
legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito
attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie.
Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della
omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi
sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito,
siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di
punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili
d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della
decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di
motivazione devono indicare quali siano gli elementi di
contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le
argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella
richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella

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di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio

operata nella sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn.
824/2011; 13783/2006; 11034/2006; 4842/2006; 8718/2005;
15693/2004; 2357/2004; 12467/2003; 16063/2003; 3163/2002).

giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente,
non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o
condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è
sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento,
dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le
argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr, ex plurimis,
Cass., n. 12121/2004).
Nel caso di specie la Corte territoriale, ha ritenuto, nei termini già
esposti nello storico di lite, che l’ammontare delle spese liquidate dal
primo Giudice (euro 2.000,00, oltre accessori di legge), fosse
congruo, tenuto conto dell’importo della somma ingiunta (euro
597,16), al fine di ristorare il Cammarota dei costi sopportati per la
tutela dei propri diritti e tale valutazione, coerente con gli elementi di
giudizio considerati ed immune da vizi logici, resiste alle censure
svolte dal ricorrente.
Le doglianze svolte con il terzo e il quarto motivo nei confronti della
ratio decidendi testé esaminata, non risultano dunque fondate.
5.2 In relazione all’altra ratio decidendi (afferente all’insussistenza

della colpa grave dell’Istituto) trova quindi applicazione il principio,
reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo
cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte

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Al contempo va considerato che, affinché la motivazione adottata dal

ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente
sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle
doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per

tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione
di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi,
giacché pur se esse fossero fondate, non potrebbero produrre in
nessun caso l’annullamento della sentenza (cfr, ex plurimis, Cass.,
12976/2001; 18240/2004; 13956/2005; 20454/2005).
6. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle
spese, che liquida in euro 1.550,00 (millecinquecentocinquanta), di
cui euro 1.500,00 (millecinquecento) per compenso, oltre accessori
come per legge.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2013.

difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte

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