Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9070 del 20/04/2011

Cassazione civile sez. II, 20/04/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 20/04/2011), n.9070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al n.r.g. 22471/05) proposto da:

R.L. ((OMISSIS)), rappresentato e difeso dagli

avv.ti PICCIONE Guido e Francesca Robazza del Foro di Treviso ed

Ermanno Prastaro del Foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso

lo studio del secondo in Roma, Via A. Chinotto n. 1, giusta procura a

margine del ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

RA.Fr. ((OMISSIS)), rappresentato e difeso

dall’avv. DI LORENZO Angelo del foro di Padova e dall’avv. Andrea

Manzi del Foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso lo studio

del secondo in Roma, Via Confalonieri n. 5;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 303/05,

depositata il 16/2/05;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

10/03/2011 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

Udito l’avv. Ermanno Prastaro, per la parte ricorrente, che ha

insistito per l’accoglimento del ricorso;

Udito l’avv. Albini Carlo con delega dell’avv. Andrea Manzi, per la

parte contro ricorrente, che ha insistito per il rigetto del ricorso

principale;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.L. promise di vendere, con contratto datato 5 luglio 1993, a Ra.Fr. un terreno ed un fabbricato in comune di Asiago per l’importo di L. 500 milioni, percependo acconti per L. 250 milioni; il promissario acquirente a sua volta stipulò due distinti contratti preliminari aventi ad oggetto porzioni del medesimo appezzamento con A.L. e R.R. (il 6 luglio successivo) e un terzo con M.V. (il 7 agosto del medesimo anno), percependo acconti: dal primo di L. 200 milioni; dal secondo di L. 60 milioni; dal terzo di L. 120 milioni. L’ A. a sua volta stipulò ulteriore preliminare con tale C.L..

Dal momento che i fratelli di R.L. avevano iniziato nel frattempo una causa per sentirsi dichiarare usufruttuari degli stessi immobili, nessuno dei citati preliminari sfociò nella stipula di contratti definitivi. A sistemazione delle posizioni che erano così rimaste in sospeso: l’ A. acquistò direttamente da R. L., previo accordo con il Ra., la nuda proprietà del fabbricato da quest’ultimo promessogli in vendita; R.R. comunicò al medesimo Ra. la risoluzione di diritto del preliminare che lo aveva visto promissario acquirente e, due anni più tardi, R.L. si rese cessionario del preliminare ed in ogni caso del credito per restituzioni che da esso sarebbe sorto nei confronti del Ra.; venne risolto altresì anche il contratto stipulato con il M. al quale lo stesso Ra.

restituì gli acconti ricevuti; a seguito di ciò quest’ultimo chiese ed ottenne ingiunzione di pagamento contro R.L. per il pagamento di L. 120 milioni che aveva dovuto restituire all’indicato M.: il relativo procedimento di opposizione si concluse con sentenza n. 154/1999 del Tribunale di Bassano Del Grappa, passata in cosa giudicata, che respinse l’opposizione.

Del pari divenne irrevocabile il rigetto della domanda di accertamento di usufrutto promossa dai fratelli di R.L..

Quest’ultimo, con citazione notificata nel luglio del 1997 innanzi al medesimo Tribunale – dal quale trae origine la presente causa, chiese che fosse dichiarato risolto il preliminare stipulato con il Ra. per causa a sè non imputabile, con la condanna del predetto a restituire quanto, per le vicende sopra descritte, gli aveva dovuto versare; il convenuto a sua volta chiese la risoluzione per responsabilità esclusiva del promittente venditore.

L’adito Tribunale, pronunziando sentenza n. 181/2001, dichiarò risolto l’anzidetto preliminare per inadempimento incolpevole del R. e, operata una parziale compensazione, lo condannò a pagare L. 128.839.262 in favore del Ra.. Detta sentenza fu gravata di appello sia dal R. sia, in via incidentale, dal Ra.

e la Corte distrettuale, pronunziando sentenza n. 303/2005, ridusse la condanna del primo di L. 8.333.000 e, in parziale accoglimento del gravame incidentale, condannò il R. al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 121.367,37 oltre interessi legali, regolando di conseguenza le spese di lite.

La Corte territoriale pervenne a tale decisione osservando innanzi tutto che il giudicato formatosi sulla sentenza n. 154/1999 del Tribunale di Bassano Del Grappa nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, aveva reso non più controvertibile che l’originario preliminare del 5 luglio 1993 si fosse risolto di diritto ex art. 1454 cod. civ., per inadempimento del promittente venditore e che l’esborso del Ra. nei confronti del sub promissario acquirente M. dovesse considerarsi conseguenza diretta dell’inadempimento di R.L.. Giudicò altresì la Corte veneziana che R.L. non fosse tenuto a risarcire i danni che il Ra. aveva subito per la risoluzione del preliminare con l’ A., trattandosi di danni non prevedibili al momento della stipula del preliminare con lo stesso Ra.;

che, per contro, quest’ultimo avesse diritto alla restituzione di Euro 30.987,41 – pari a L. 60 milioni – a suo tempo retrocesse a R.R., atteso che non sarebbe stata al medesimo opponibile la cessione del contratto preliminare tra i due R., che aveva formato il titolo per il quale l’appellante aveva ritenuto di aver lui stesso diritto a detta restituzione. Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il R. sulla base di cinque motivi; costituendosi, il Ra. ha resistito con controricorso;

entrambi hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con i primi tre motivi – da esaminarsi congiuntamente, stante la stretta connessione logica tra gli stessi- il R. lamenta l’erronea interpretazione adottata dalla Corte veneziana in merito alla portata della sentenza 154/1999 del Tribunale di Bassano, sostenendo la mancata formazione del giudicato su punti che invece il giudice di merito aveva ritenuto non più contestabili e, su tale base, la necessità di nuovamente valutare la condotta di controparte in termini di inadempimento.

1/a – Più specificamente, oltre a far valere, con tutti e tre i mezzi, il vizio di motivazione, (contraddittoriamente invocando le tre ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5) lamenta altresì l’erronea interpretazione e conseguente illegittima applicazione delle norme sulla risoluzione e sull’inadempimento – primo e terzo motivo, con riferimento agli artt. 1453, 1454, 1455 e 1218 cod. civ. – nonchè sulla portata non preclusiva degli accertamenti incidentali – secondo motivo.

1/b – Nonostante che la norma sostanziale specifica – art. 2909 cod. civ. – non sia mai invocata, dalla lettura dei mezzi di impugnazione emerge chiaramente che il referente normativo delle argomentazioni del ricorrente sia appunto siffatta disposizione.

2 – Valutando per primo il motivo attinente alla portata dell’accertamento incidentale – che forma la base logica per le altre connesse censure, sostiene il ricorrente che non poteva assumersi il formarsi di un giudicato sulle questioni esaminate dalla sentenza n. 154/1999 in quanto la risoluzione del contratto, anche se avesse costituito il presupposto per la condanna al risarcimento del danno, rispetto a quello, si sarebbe posta come questione da esaminarsi solo in via incidentale.

2/a – Soggiunge poi lo stesso ricorrente (primo motivo, prima parte) che, se anche sì fosse predicata la necessità di un accertamento avente forza di giudicato, pur tuttavia lo stesso avrebbe riguardato solo parte delle prestazioni del cui pagamento si controverteva.

Nessuno degli anzidetti motivi merita accoglimento.

2/b – Va innanzi tutto rilevato che la delibazione della violazione del giudicato esterno avrebbe reso necessario non solo il compiuto richiamo, nel ricorso, del dispositivo della sentenza oramai irrevocabile, ma altresì la riproduzione della motivazione della medesima (cfr. sul punto: Cass. 3362/2010; Cass. 20594/2007; Sez. Un. 1416/2004) potendo l’analisi del primo non essere sufficiente alla compiuta valutazione della censura in esame.

2/c – Riprova concreta della necessità della completezza – nel ricorso – dell’esposizione dei fatti processuali, sui quali si è sollecitato nuovo scrutinio in questa sede, emerge dalla descrizione – contenuta nella sentenza gravata- della causa petendi fatta valere dal Ra. contro l’odierno ricorrente con il D.I. poi opposto innanzi al Tribunale di Bassano Del Grappa, da cui, contrariamente all’assunto dello stesso R., non parrebbe neppure potersi porre un problema di risoluzione parziale (cfr., fol. 7 di tale pronunzia:

“detta sentenza ha anche statuito che detto preliminare (quello tra le parti di questo giudizio: nota dell’estensore) si è risolto di diritto ai sensi dell’art. 1454 c.c., comma 3, in quanto il termine finale del 28.2.94 (fissato per il rogito) non è stato rispettato dal R., come parimenti inosservata è stata la proroga del termine all’11.8.94 fissata con la diffida del Ra. del 22/23.7.94), come invece sostenuto dal R. nel terzo mezzo.

2/d – Va anche precisato che nella fattispecie non sarebbe utilmente invocabile – a superare l’anzidetta non conformità dei motivi allo schema legale – il potere di ufficio, esercitatole anche in sede di legittimità, di valutare, attraverso la lettura diretta degli atti, la sussistenza del dedotto vizio e ciò per due ragioni: la prima risiede nel fatto che non è stato denunziato un vitium in procedendo – art. 360 c.p.c., n. 4 – che costituisce il referente normativo per l’esplicazione dell’indicata attività di valutazione officiosa; la seconda e basata sull’osservazione che il giudicato venne eccepito già innanzi alla Corte lagunare e quindi in questa sede di legittimità la relativa questione si pone in maniera del tutto diversa, rispetto a quella della valutazione ex officio, non avendo più rilievo l’esistenza del fatto giuridico (sentenza passata in giudicato) ma solo se correttamente il giudice del gravame ne abbia valutato l’estensione.

2/e – Superate allora devono dirsi – in quanto non più delibabili in sede di legittimità per quanto sopra detto – le ulteriori e consequenziali prospettazioni contenute nei primi due mezzi, a mente delle quali: 1 – potendo il creditore di una obbligazione rimasta insoddisfatta, chiedere il risarcimento del danno pur senza richiedere la risoluzione per colpa, l’accertamento della fattispecie risolutoria non si sarebbe posto come passaggio logico ineliminabile per l’accoglimento della domanda di risarcimento; 2 – l’accertamento della condotta inadempiente del Ra. sarebbe stato al più idoneo ad una risoluzione parziale del contratto (relativa cioè a quella parte di beni, che aveva formato oggetto di promessa di vendita sia nel preliminare R. – Ra. sia in quello tra il Ra. ed il M.), mentre quella posta a base della richiesta, poi accolta, dalla Corte d’Appello, avrebbe interessato l’intera prestazione oggetto del primo contratto preliminare tra il R. ed il Ra.; 3 – il giudicato si sarebbe formato -al più- solo su una causa di risoluzione nascente dal mancato rispetto del termine per adempiere, a seguito di diffida e non su un inadempimento colpevole.

2/f – La violazione dunque del precetto dell’autosufficienza – con riferimento all’interpretazione corrente del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, non essendo ratione temporis applicabile l’ipotesi di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 – comporta l’inammissibilità dei primi tre mezzi.

3 – Con il quarto motivo il ricorrente censura la violazione dell’art. 1225 cod. civ. e fa valere altresì il connesso vizio di motivazione, rinvenendo una contraddizione logica nella decisione della Corte distrettuale là dove, da un lato, escluse che esso esponente dovesse rispondere delle somme che il Ra. aveva dovuto restituire alla C. – a ciò costretto dalla iniziativa giudiziaria dell’ A., promittente venditore nei confronti della predetta – argomentando dal fatto che non era prevedibile – sulla base delle concrete circostanze in cui si erano svolte le trattative, a conoscenza del R. – che lo stesso Ra., immediatamente dopo la stipula del primo preliminare (5 luglio 1993) ne avrebbe sottoscritti altri tre come promittente venditore dei medesimi beni, e dall’altro, invece avrebbe ritenuto addebitabile a titolo di risarcimento del danno l’importo di L. 50.506.262, costituito dalla differenza tra il credito azionato dal M. in sede monitoria contro il Ra. e quanto ricevuto dal Ra. per il secondo preliminare – L. 120 milioni.

3/a – Il motivo è infondato.

Deve essere messo innanzi tutto in evidenza che il decreto ingiuntivo 17/1995, la cui opposizione venne decisa con la sentenza n. 154/1999 del Tribunale di Bassano Del Grappa, portava l’ingiunzione al pagamento non solo della somma capitale di L. 120 milioni (quella cioè che il Ra. aveva, a suo tempo, dovuto restituire al M.) ma anche degli interessi legali e delle spese (come si ricava dalla lettura della sentenza di appello: fol. 11), così che l’intangibilità della decisione sul rigetto dell’opposizione riguardava anche l’indicata differenza di L. 50.506.262, impedendo una comparazione logica – in termini di contraddittorietà della motivazione – tra il riconoscimento di tale credito risarcitorio e la negazione di quello originato dal pagamento all’ A..

4 – Con il quinto motivo il ricorrente fa valere il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, ritenendo perfezionata tra esso esponente e R.R. una cessione di contratto – nella specie: il preliminare intercorso tra il secondo e il Ra. – piuttosto che una cessione del credito – per le restituzioni dell’acconto pagato allo stesso Ra. – con la conseguenza che, non avendo l’attuale contro ricorrente accettato detta cessione negoziale, esso ricorrente non avrebbe avuto titolo per richiedere le somme maturate in capo a R.R..

4/a – Il motivo è fondato in quanto, in presenza di una formulazione ambigua del testo contrattuale – che nell’intestazione riportava “atto di notificazione di cessione di credito e contestuale intimazione di pagamento” – e nel testo richiamava l’art. 1264 cod. civ. e puntualizzava più volte il precipuo interesse a che fosse opponibile la cessione del credito piuttosto che la cessione del contratto – la Corte distrettuale non ha però dato ragione della scelta interpretativa in favore dell’esistenza di una cessione del contratto, invertendo i termini della questione alla medesima sottoposta, con il porre l’assenza dell’accettazione della cessione come prova che la stessa avesse ad oggetto un contratto e non un credito – cfr. fol. 15 della gravata decisione.

5 – La sentenza va pertanto cassata in ordine al motivo accolto e la causa va rimessa alla medesima Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il quinto motivo; respinge le rimanenti censure; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2011

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