Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9068 del 18/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 18/05/2020), n.9068

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4603-2019 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

LETTERIO ARENA, ANTONIO ARENA;

ricorrente

Contro

CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) SPA, in persona del Curatore

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’ANTONINO

ARTALE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1133/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 27/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LINA

RUBINO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. S.G. propone ricorso per cassazione articolato in due motivi ed illustrato da memoria nei confronti della Curatela del fallimento (OMISSIS) s.p.a., per la cassazione della sentenza n. 1138 del 2018 della Corte d’Appello di Messina, depositata il 27.12.2018, notificata il 7.1.2019, con la quale la corte territoriale dichiarava l’inammissibilità della domanda introdotta dalla Curatela nei confronti dello S. con rito sommario, trattandosi di azione di responsabilità contro organo societario per condotte, penalmente rilevanti, di bancarotta fraudolenta, di competenza del tribunale in composizione collegiale, dichiarava la nullità della ordinanza conclusiva del giudizio di primo grado recante la condanna dello S., e, decidendo nel merito, lo riteneva responsabile di aver procurato alla curatela un danno patrimoniale pari alla somma di cui si era impossessato, pari ad Euro 814.856,87, condannandolo al pagamento di tale somma nei confronti della curatela fallimentare.

2. Resiste con controricorso la curatela fallimentare.

3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza dello stesso.

4. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il Collegio, tenuto anche conto delle argomentazioni contenute nella memoria del ricorrente, condivide le conclusioni contenute nella proposta del relatore nel senso del rigetto del ricorso.

2. Il ricorrente denuncia, con il primo motivo, la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 702 bis, ter, 50 bis, 50 quater, 161 e 354 c.p.c..

Afferma che correttamente la corte d’appello ha accolto la sua impugnazione rilevando l’inammissibilità della domanda di responsabilità nei confronti dello S. quale organo societario, in quanto introdotta col rito sommario, anzichè ordinario, in causa di competenza del tribunale in composizione collegiale. Segnala che l’errore nel quale era incorso il giudice di primo grado inciderebbe non solo sulla scelta del rito ma anche sulla composizione dell’organo giudicante. Sostiene però che la sentenza impugnata non avrebbe dovuto esser dichiarata nulla, ma illegittima, e che il giudice di appello non avrebbe avuto il potere di decidere nel merito la causa, ma avrebbe dovuto soltanto dichiarare inammissibile la domanda, così come proposta.

3. Il primo motivo è infondato.

Dalla proposizione della domanda dinanzi al giudice in una composizione diversa da quella prevista dalla legge, e dalla sua decisione da parte di detto giudice, deriva la nullità del provvedimento decisorio, ex art. 161 c.p.c..

Non ne discende però la necessità di rimettere la causa al primo giudice, ex Cass. S.U. n. 28040 del 2008: “L’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale legittimato a decidere su una domanda giudiziale costituisce, alla stregua del rinvio operato dall’art. 50 quater c.p.c. al successivo art. 161, comma 1, un’autonoma causa di nullità della decisione e non una forma di nullità relativa derivante da atti processuali antecedenti alla sentenza (e, perciò, soggetta al regime di sanatoria implicita), con la sua conseguente esclusiva convertibilità in motivo di impugnazione e senza che la stessa produca l’effetto della rimessione degli atti al primo giudice se il giudice dell’impugnazione sia anche giudice del merito, oltre a non comportare la nullità degli atti che hanno preceduto la sentenza nulla” (v. anche Cass. n. 13907 del 2014 e v. successivamente Cass. n. 16186 del 2018).

Come osservato recentemente da Cass. n. 26729 del 2019, infatti, in tema di giudizio di impugnazione, qualora il Tribunale pronunci sentenza affetta da nullità per inosservanza delle disposizioni sulla sua composizione, monocratica o collegiale, in relazione alla specifica domanda azionata, la Corte d’appello, investita della questione relativa all’inquadramento giuridico della domanda fatto proprio dal Tribunale, deve rilevare la nullità, per il rinvio operato dall’art. 50-quater c.p.c. all’art. 161 c.p.c., comma 1 ed esaminare la fondatezza del motivo di appello, essendo anche giudice del merito (senza che, aggiunge la sentenza citata, l’errata qualificazione ritenuta dal Tribunale possa riflettersi sul termine di impugnazione).

4. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè degli artt. 2697,2392, 2394 bis c.c. e dell’art. 651 c.p.p..

Sostiene che la corte d’appello abbia errato là dove, per ritenere provate le condotte di bancarotta fraudolenta ascritte allo S., e per condannare lo stesso a restituire gli importi dei quali si era appropriato, ha utilizzato le risultanze della sentenza penale di condanna passata in giudicato, nell’ambito della quale lo S. era stato condannato, senza procedere ad un autonomo accertamento del danno inflitto alla società, e della effettiva dannosità della condotta del ricorrente.

5. Il Collegio in proposito rileva che il motivo si fonda sul contenuto della sentenza penale, ma omette, inammissibilmente, di fornirne l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e soprattutto non evoca affatto la motivazione relativa al quantum e ciò rende impossibile verificare la denunciata inidoneità di tali affermazioni a fornire elementi di prova utilizzabile in sede civile.

Aggiunge che non è comunque precluso al giudice civile utilizzare le risultanze del giudizio penale ai fini della quantificazione e liquidazione del danno; al contrario, il giudice civile investito della domanda di risarcimento del danno da reato ben può utilizzare, senza peraltro averne l’obbligo, come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in giudicato e fondare la propria decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, purchè non si limiti a recepirli supinamente ma li ritenga idonei a fondare il suo convincimento faccia all’esito di una propria autonoma valutazione (v., da ultimo, Cass. n. 16893 del 2019).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico della parte ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 10.200,00 per compensi, oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2020

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