Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9067 del 20/04/2011

Cassazione civile sez. II, 20/04/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 20/04/2011), n.9067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.LLI ALINARI IDEA SPA P. I. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIALE MAZZINI 88, presso lo studio dell’avvocato BARBERIS

GIORGIO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PESTELLINI ETTORE;

– ricorrente –

contro

R.A. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2006/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 06/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2011 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito l’Avvocato Barberis Giorgio difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

H.M.L. ved. R. e R.A., nella qualità di unici eredi dell’avvocato R.V. convenivano in giudizio la s.p.a. Archivi Alinari, poi fusa per incorporazione nella s.p.a. Fratelli Alinari IDEA, nonchè la s.p.a. Fratelli Alinari IDEA per ottenere la condanna al pagamento, quanto alla prima, di L. 15.221.850 per prestazioni professionali oltre che i compensi per l’attività di consigliere della società svolta dal 1982 al 1989 pari a L. 1.000.000 all’anno e, quanto alla seconda, di L. 25.482.115 per prestazioni professionali.

L’adito tribunale di Milano, con sentenza 13/11/2002, condannava la s.p.a. Fratelli Alinari IDEA a pagare agli attori Euro 4.131,66 oltre accessori.

Avverso la detta sentenza la s.p.a. Fratelli Alinari IDEA proponeva appello al quale resisteva R.A., unico erede di R.V. e di H.M.L. ved. R..

Con sentenza 6/7/2004 la corte di appello di Milano, in parziale riforma dell’impugnata decisione, riduceva l’importo riconosciuto dal tribunale da Euro 4.131,66 a Euro 1.897,60.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Milano è stata chiesta dalla s.p.a. Fratelli Alinari IDEA con ricorso affidato a due motivi. L’intimato R.A. non ha svolto attività difensiva in sede di legittimità.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Innanzitutto va rilevato che il ricorso è stato notificato all’intimato R.A. nel domicilio eletto in Milano al Corso Porta Vittoria n. 29 presso e nello studio degli avvocati Sabina Ronzino e Fabrizio Lasoli difensori e domiciliatari del R. nel giudizio di appello. L’avv. Sabina Ronzino – come precisato nella relata di notifica – ha rifiutato l’atto “dichiarando che il rag. R. non è più domiciliato in luogo e che da anni non ha più alcun rapporto con lo stesso”.

Ciò posto va rilevato che, come più volte affermato da questa Corte, il rifiuto del procuratore costituito nel precedente grado del giudizio di ricevere la notificazione del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza conclusiva di questo, ove sia giustificato dall’intervenuta perdita dello jus postulandi, non impedisce l’operatività della regola dell’ultrattività della procura, posta dall’art. 330 c.p.c., in deroga all’art. 83 c.p.c. In particolare va ribadito che il principio in forza del quale, ai sensi dell’art. 138 c.p.c., comma 2, e art. 141 cod. proc. civ., la notificazione deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del domiciliatario, anche quando questi rifiuti di ricevere l’atto, allegando, ad esempio, la rinuncia o la revoca dell’incarico conferitogli dal notificando, qualora tali eventi non siano stati comunicati, ovvero siano stati comunicati senza porre il notificante in grado di eseguire la notificazione altrove, trova applicazione anche con riguardo al ricorso per cassazione (sentenze 3/10/2006 n. 21324; 25/11/2003 n. 17927).

Con il primo motivo di ricorso la s.p.a. Fratelli Alinari IDEA denuncia omessa motivazione deducendo che la riforma della sentenza di primo grado, con la riduzione della somma riconosciuta agli attori, ha fatto sorgere in capo ad essa società il diritto a ripetere il “surplus” rispetto al già corrisposto in base alla decisione riformata. La sentenza impugnata, invece, in parte dispositiva “disattendendo ogni altra istanza delle parti” ha indirettamente respinto la proposta domanda di restituzione senza fornire al riguardo alcuna motivazione.

Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia contraddittoria motivazione deducendo che la corte di appello, dopo aver affermato nella parte motiva l’obbligo dell’appellato di restituire ad essa società appellante le somme versate in esecuzione della riformata sentenza del tribunale, non ha ripetuto tale obbligo nel dispositivo.

La Corte rileva la manifesta infondatezza delle dette censure – da esaminare congiuntamente per l’evidente nesso che le lega – in applicazione del principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui nell’ordinario giudizio di cognizione, l’esatto contenuto della pronuncia va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione nella parte in cui la medesima rivela l’effettiva volontà del giudice. Ne consegue che, in assenza di un vero e proprio contrasto tra dispositivo e motivazione, è da ritenere prevalente la statuizione contenuta in una di tali parti del provvedimento che va, quindi, interpretato in base all’unica statuizione che, in realtà, esso contiene (tra le tante, sentenze 11/7/2007 n. 15585; 14 febbraio 2007 n. 3336; 29/5/2006 n. 12802).

Nella specie va evidenziato che nella sentenza impugnata si afferma testualmente “l’obbligo dell’appellato di restituire all’appellante le somme da questi eventualmente versate, in esecuzione della parzialmente riformata sentenza del Tribunale, in eccesso rispetto a quanto riconosciuto dovuto all’appellato in questa sede”.

Dalla motivazione della sentenza impugnata si desume quindi, con assoluta chiarezza e senza possibilità di equivoci, che il giudice di appello ha accolto la domanda della società appellante di ottenere il riconoscimento del diritto di restituzione delle somme risultate in eccesso rispetto a quanto disposto con la sentenza di primo grado parzialmente riformata.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nulla per le spese del giudizio di cassazione per assenza di attività difensiva dell’intimato.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2011

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