Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9067 del 07/04/2017

Cassazione civile, sez. I, 07/04/2017, (ud. 09/02/2017, dep.07/04/2017),  n. 9067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21800/2012 proposto da:

Banca di Credito Cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate

S.c.a.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Viale Parioli n. 47, presso

l’avvocato Corti Pio, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Granata Sergio, Zanzi Alberto, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.I., elettivamente domiciliata in Roma, Corso Trieste n. 87,

presso l’avvocato Antonucci Arturo, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Vassalle Roberto, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2137/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2017 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato R. BACCARO, con delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato A. ANTONUCCI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – G.I. evocava in giudizio la Banca di Credito Cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate s.c.r.l. deducendo che quest’ultima aveva acquistato a suo nome, in assenza di un ordine, titoli obbligazionari per un importo complessivo di Euro 17.938,96. Domandava accertarsi la nullità e pronunciarsi in subordine l’annullamento o la risoluzione per inadempimento dei contratti, con conseguente condanna della banca alla restituzione, in proprio favore, della somma investita e al risarcimento del danno.

Nella resistenza della banca il Tribunale di Varese respingeva le domande attrici.

2. – Era interposto appello da parte di G.I. e la Corte di Milano, con sentenza depositata il 14 luglio 2011, riformava la sentenza di primo grado dichiarando la nullità delle operazioni di investimento afferenti i titoli oggetto di negoziazione; condannava così l’appellata alla restituzione della somma di Euro 17.938,96, oltre interèssi legali, nonchè alla restituzione dell’ulteriore somma di Euro 7.865,00 – pure maggiorata di interessi – corrispondente a quanto versato dalla appellante in esecuzione della sentenza impugnata. Osservava la Corte distrettuale che non poteva ritenersi concluso un valido contratto di negoziazione per difetto della forma scritta: spiegava che risultava prodotto, da parte della appellante, un modulo contrattuale datato (OMISSIS), privo della sottoscrizione del funzionario della banca; altra copia del documento contrattuale, recante la stessa data, era stata poi prodotta dalla banca e tale scritto recava, oltre alla apparente firma di G.I., la denominazione della banca e la sigla del suo funzionario. Rilevava tuttavia il giudice distrettuale che le domande di nullità, di annullamento e di risoluzione proposte dalla appellante escludevano che la produzione del modulo operata dalla banca potesse “valere a integrare un valido contratto”.

3. – La sentenza è impugnata per cassazione, con l’articolazione di due motivi, dalla Banca di Credito Cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate. Resiste con controricorso G.I.. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo lamenta violazione o erronea applicazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, artt. 8, 10 e 13, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia e nullità della sentenza o del procedimento per omesso esame di una questione dedotta. Dopo aver richiamato quanto evidenziato dal Tribunale con riferimento alla mancata documentazione del contratto, la ricorrente, osserva che nella comparsa di risposta avanti al giudice di prime cure era stato dedotto che alla convenuta era stato consegnato il modulo contrattuale recante la sottoscrizione del funzionario della banca, mentre il documento prodotto da controparte era la semplice copia di un modulo il cui originale era destinato ad essere conservato dall’istituto di credito. Rileva la ricorrente che tale deduzione non era stata contestata prima della notifica della istanza di fissazione di udienza di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 8 e che la controricorrente si era limitata a disconoscere il documento solo in sede di precisazione delle conclusioni. Aggiunge che la sentenza impugnata, nella parte in cui aveva ritenuto di poter escludere la rilevanza probatoria dello scritto prodotto dalla banca, aveva omesso di affrontare una questione rilevante è determinante ai fini del decidere e che, sotto tale profilo, si configurava un vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c..

1.1. – Il secondo motivo denuncia violazione o erronea applicazione degli artt. 1325, 1326, 1350, 1418 c.c. e art. 23 t.u.f. (D.Lgs. n. 58 del 1998), nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia. Poichè era pacifico che il contratto prodotto dalla banca risultava sottoscritto da entrambe le parti in data (OMISSIS), non aveva senso l’affermazione, contenuta nella sentenza della Corte milanese, secondo cui “la domanda di nullità proposta dalla G. con la citazione in tribunale, manifestando una volontà opposta al vincolo contrattuale, esclude che la produzione in causa del modulo effettuata dalla banca possa valere ad integrare un valido contratto”. Nella circostanza, infatti, il consenso risultava espresso in un unico contesto da entrambi i contraenti mediante la sottoscrizione del documento contrattuale. La ricorrente aggiunge che la sanzione della nullità non poteva operare in una fattispecie quale quella in esame, in cui non era ravvisabile una lesione effettiva del diritto dell’investitore ad essere avvertito della particolare importanza dell’atto e ad essere informato delle condizioni contrattuali.

2. – Precedono in rito le eccezioni pregiudiziali sollevate dalla controricorrente, vertenti sulla mancata specifica elencazione dei documenti sui quali è fondato il ricorso, sulla mancata trascrizione del documento contrattuale che la ricorrente assume costituire valido contratto, e sul cumulo di plurime censure all’interno dei motivi di impugnazione.

Tali eccezioni vanno disattese.

Va anzitutto rilevato che la mancata specifica indicazione (ed allegazione) dei documenti sui quali i singoli motivi si fondino può comportarne la declaratoria di inammissibilità solo quando si tratti di censure rispetto alle quali uno o più specifici atti o documenti fungano da fondamento, e cioè quando, senza l’esame di quell’atto o di quel documento, la comprensione del motivo di doglianza e degli indispensabili presupposti fattuali sui quali esso si basa, nonchè la valutazione della sua decisività, risulterebbero impossibili (Cass. Sez. U. 5 luglio 2013, n. 16887). Ora, ai fini che interessano nella presente sede – come si vedrà -, ciò che rileva è il dato della documentazione di un contratto, sottoscritto dal funzionario della banca, e coincidente, nel contenuto, al modulo prodotto da G.I.: tale documentazione è però pacifica in causa, avendone dato atto la stessa Corte di appello nella sentenza impugnata. Come, poi, non è rilevante, per la comprensione della censura e l’apprezzamento della sua decisività, l’indicazione dello scritto a norma dell’art. 366 c.p.c., n. 6, così non è determinante la riproduzione del suo contenuto nel corpo del ricorso.

Quanto, alla seconda questione, vale osservare che l’oggetto delle censure svolte all’interno dei motivi è sufficientemente chiaro e che, in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. Sez. U. 6 maggio 2015, n. 9100).

3. – Passando all’esame dei motivi, essi possono esaminati congiuntamente e vanno accolti nei termini che si vengono ad esporre.

La Corte di appello ha dato atto – come si è evidenziato – della produzione, da parte della banca, di una seconda copia del modulo già versato in atti da G.I.; il documento in questione, a differenza del primo, presentava, oltre alla sottoscrizione (apparente) della controricorrente, la sigla del funzionario dell’istituto di credito. Il giudice distrettuale ha tuttavia escluso che la detta produzione potesse “integrare un valido contratto”, dal momento che l’attrice aveva proposto una domanda di nullità contrattuale (oltre che di annullamento e di risoluzione), manifestando, con ciò, una volontà opposta rispetto a quella espressa al fine di dar vita al vincolo contrattuale.

In tal modo, però, essa mostra di aver assimilato, nel trattamento giuridico, il documento sottoscritto dalla parte che lo produce in giudizio al documento non sottoscritto dalla medesima. Il giudice distrettuale sembra essersi infatti ispirato al principio per cui in tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta ad substantiam, la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l’ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto con effetti ex nunc e non ex tunc, essendo necessaria la formalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano, sicchè tale meccanismo non opera se l’altra parte abbia medio tempore revocato la proposta (proprio in tema di intermediazione finanziaria: Cass. 24 marzo 2016, n. 5919; cfr. pure Cass. 27 aprile 2016, n. 8395).

Diverso è il caso che si prospetta nella fattispecie in esame. Nella presente causa si è in presenza di un documento recante la sottoscrizione della banca. In una ipotesi siffatta non ha alcun senso invocare la regola sopra indicata – che è basata sulla sostanziale equipollenza tra la produzione in giudizio del documento e la sottoscrizione dello stesso – giacchè esso risulta già firmato dalla parte.

In tale ipotesi, il giudice del merito deve quindi prendere in considerazione il documento tenendo conto che esso è assistito, come scrittura privata, da una presunzione di veridicità per quanto attiene alla riferibilità di esso ai suoi sottoscrittori (Cass. 30 ottobre 2012, n. 18664): riferibilità che è estesa, naturalmente, alla data che vi risulta apposta.

3.1. – Risulta evidente, allora, che la Corte di merito, in considerazione del valore dello scritto prodotto, siccome idoneo a documentare il contratto di negoziazione, avrebbe dovuto esaminare la questione della tempestività del disconoscimento posto in atto da G.I.: questione che costituiva oggetto del primo motivo di appello dell’odierna controricorrente (riassunto a pag. 7 della sentenza impugnata) e che il giudice distrettuale ha invece ingiustificatamente trascurato. La Corte di Milano ha così mancato di considerare che in forza della sentenza di Corte cost. sent. n. 321 del 2007 – con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 8, comma 2, lett. a), “nella parte in cui non prevede anche l’ipotesi che il convenuto abbia svolto difese dalle quali sorga l’esigenza dell’esercizio del diritto di replica dell’attore” – il disconoscimento operato dalla stessa G. con la nota contenente la formulazione definitiva delle conclusioni non poteva ritenersi tardivo (non incorrendo esso nella preclusione di cui all’art. 10, comma 2 D.Lgs. cit.).

4. – La sentenza deve essere quindi cassata per il riesame della vicenda controversa alla luce del suddetto disconoscimento.

La causa va rinviata alla Corte di appello di Milano in altra composizione, cui è devoluta anche la decisione circa le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2017

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