Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9066 del 20/04/2011

Cassazione civile sez. II, 20/04/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 20/04/2011), n.9066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COND. VIA (OMISSIS) IN PERSONA DELL’AMMINISTRATORE

M.I. E DAI SINGOLI CONDOMINI T.G.,

+ ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ATTILIO

REGOLO 12-D, presso lo studio dell’avvocato CASTALDI ITALO,

rappresentati e difesi dall’avvocato MAMMOLI DOMENICO;

– ricorrenti –

contro

IMP EDILE ZAZZERA ARMANDO;

– intimata –

e sul ricorso n. 3105 del 2006 proposto da:

Z.A. C. F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati

in ROMA, PIAZZA BARBERINI 12, presso lo studio dell’avvocato BRUNO

NICCOLO’, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINI LUCIANO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

L.L., L.C., + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO 12-D, presso lo

studio dell’avvocato CASTALDI ITALO, rappresentati e difesi

dall’avvocato MAMMOLI DOMENICO;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 347/2004 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 02/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2011 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito l’Avvocato Antonini Luciano difensore del resistente che si

riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

l’accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il condominio di via (OMISSIS) conveniva in giudizio l’impresa edile Zazzera Armando chiedendone la condanna al risarcimento del danno per i vizi ed i difetti presenti nell’immobile da detta impresa costruito e poi ceduto ai condomini. Deduceva il condominio: che un precedente giudizio, iniziato per i vizi emersi poco dopo la cessione dell’immobile, era stato abbandonato in quanto la controversia era stata definita mediante arbitrato con quantificazione dei danni in L. 4.047.940; che l’immobile aveva in seguito evidenziato ulteriori e più gravi difetti per cui esso condominio aveva richiesto un accertamento tecnico preventivo (a.t.p.) che aveva quantificato i danni in L. 183.000.000. L’attore chiedeva quindi la condanna dello Z. al risarcimento del danno corrispondente al costo dei lavori necessari per eliminare i vizi ed i difetti.

Z.A., titolare dell’impresa convenuta, si costituiva eccependo sia l’avvenuta definizione di tutte le questioni con la decisione arbitrale, sia la decadenza e la prescrizione.

Nel corso del giudizio intervenivano volontariamente i condomini in epigrafe indicati i quali facevano proprie le argomentazioni e le richieste formulate dal condominio.

Con sentenza 12/10/1998 l’adito tribunale di Perugia dichiarava inammissibile la domanda del condominio affermando che tra i vizi ed i difetti posti a fondamento della domanda e quelli già esaminati dal collegio arbitrale vi era sostanziale coincidenza per cui la transazione intercorsa tra le parti non consentiva il riesame della questione anche perchè non vi era prova della insorgenza successiva dei vizi e difetti lamentati.

Avverso la detta sentenza il condominio ed i condomini proponevano appello al quale resisteva l’impresa Zazzera.

Con sentenza 2/11/2004 la corte di appello rigettava il gravame osservando: che, come accertato dal c.t.u. nominato nel giudizio di appello, non tutti i vizi ed i difetti lamentati dagli appellanti coincidevano con quelli che avevano costituito oggetto di arbitrato;

che però l’eccezione di prescrizione sollevata dalla impresa Zazzera precludeva l’esame del merito della pretesa degli appellanti i quali avevano esperito l’azione ex art. 1669 c.c.; che ai singoli condomini i rispettivi appartamenti erano stati ceduti tra il dicembre 1981 ed i primi mesi del 1982 il che induceva a ritenere certo che alla data del dicembre 1981 l’immobile era stato realizzato; che pertanto il decennio entro il quale rileva il manifestarsi dei vizi e dei difetti, di cui all’art. 1669 c.c., andava calcolato a decorrere dal momento del compimento dell’opera (e non della consegna o della vendita della stessa) ossia, nella specie, al dicembre 1981; che i vizi ed i difetti da prendere in considerazione erano quelli accertati dall’ing. B., incaricato dell’a.t.p., la cui relazione era stata depositata in data 16/7/1991; che dopo tale data era da escludere il sorgere di altri difetti rilevanti; che in relazione ai difetti e vizi denunciati con il ricorso per a.t.p. gli appellanti avrebbero dovuto agire entro un anno dal deposito della relazione dell’ing. B. potendosi ritenere definito con tale deposito il procedimento giudiziario di a.t.p. idoneo ad interrompere la prescrizione e con inizio di un nuovo periodo di prescrizione annuale ex art. 2945 c.c., comma 2; che tra la data del deposito della relazione dell’ing. B. e la notifica della citazione introduttiva della controversia in esame era trascorso un periodo superiore ad un anno per cui la prescrizione era operante; che, comunque, anche per gli ulteriori vizi e difetti, non compresi nell’a.t.p. ma manifestatisi entro il termine del dicembre 1991, non poteva essere riconosciuto agli appellanti alcun diritto sia per l’intervenuta prescrizione, sia per la decadenza conseguente alla mancata denuncia entro un anno dalla scoperta; che pertanto la sentenza appellata andava confermata sia pur con diversa motivazione;

che era equa la compensazione tra le parti delle spese dei due gradi del giudizio.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Perugia è stata chiesta dal condominio e dai condomini con ricorso affidato ad un solo motivo articolato con due censure. Z.A. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale sorretto da un unico motivo. Il condominio ed i condomini hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale. I ricorrenti principali hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale e quello incidentale vanno riunito a norma dell’art. 335 c.p.c..

In via preliminare il resistente e ricorrente incidentale Z. A. ha eccepito:

a) il difetto di procura del condominio rilevando che M. I., indicata nell’intestazione del ricorso come “Amministratore” del condominio, ha conferito il mandato in proprio – quale condomina – e non nella detta asserita qualità;

b) l’inammissibilità del ricorso per omessa indicazione delle norme che si assumono violate.

Le dette eccezioni sono palesemente infondate ed al riguardo va rispettivamente osservato che:

– nell’intestazione del ricorso M.I. risulta indicata sia come “Amministratore” del condominio, sia come condomina ricorrente sicchè la firma della stessa apposta alla procura deve logicamente ritenersi attribuibile alla detta sua duplice qualifica;

b) questa Corte ha più volte affermato che il ricorso per cassazione deve considerarsi ammissibile anche se in esso non sono indicati gli articoli di legge che si assumono violati, ove (come appunto nella specie) gli argomenti addotti dal ricorrente, valutati nel loro complesso, consentano pur sempre di individuare le norme o i principi di diritto che si assumono violati e rendano possibile la delimitazione dei singoli punti controversi (tra le tante, sentenze 25/11/2010 n. 23961; 4/6/2007 n. 12929; 28/8/2006 n. 18640).

Con l’unico motivo del ricorso principale il condomino ed i condomini denunciano:

a) violazione di norme di legge;

b) vizi di motivazione. Deducono i ricorrenti che i difetti denunciati dopo il 1987 – con il ricorso per a.t.p. del 5/8/1988 – sono diversi da quelli ricompresi nella citazione del 19/4/1985 e del relativo lodo del 1987. Il deposito dell’accertamento esaurisce l’onere della formale denuncia entro un anno dalla scoperta (art. 1669 c.c.). La procedura di cui all’art. 696 c.p.c. si è trascinata per oltre tre anni non per colpa di essi ricorrenti. La corte di appello ha affermato che i vizi ed i difetti denunciati erano diversi da quelli di cui al lodo arbitrale essendo sopravvenuti ed ha poi, con ordinanza collegiale, disposto una c.t.u. al fine di accertare la reale situazione. Il rigetto dell’appello – per l’asserita prescrizione del diritto vantato da essi ricorrenti – si pone in contrasto con la decisione di acquisire un costoso nuovo accertamento peritale di ufficio. Su questo specifico punto – relativo al segnalato evidente contrasto – la corte di merito ha omesso di motivare.

Le dette censure non sono meritevoli di accoglimento.

Con riferimento alla prima è sufficiente il richiamo al principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui l’accertamento tecnico preventivo rientra nella categoria dei giudizi conservativi e, pertanto, la notificazione dell’atto con il quale è richiesto determina ai sensi dell’art. 2943 c.c. l’interruzione della prescrizione che si protrae fino alla conclusione del procedimento e, cioè, fino al deposito della relazione del consulente (tra le tante, sentenze 29/5/2009 n. 11743; 24/8/2000 n. 11087; 16/3/2000 n. 3045).

Va aggiunto che questa Corte ha anche avuto modo di precisare che qualora il procedimento di a.t.p. si prolunghi oltre il deposito della relazione del consulente, esso si trasforma in un procedimento atipico, con la conseguenza che, in tal caso, la permanenza dell’effetto interruttivo della prescrizione non è più applicabile (sentenza 8/8/2007 n. 17385).

Ai detti principi – che il Collegio condivide e ribadisce – si è correttamente attenuta la corte di appello la quale ha posto in evidenza che la relazione dell’ing. B., incaricato dell’a.t.p., è stata depositata in data 16/7/1991 e la notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado è stata effettuata solo in data 5/5/1993 allorchè si era ormai maturata la prescrizione annuale non essendovi stati tra le due indicate date atti interruttivi.

La censura concernente la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata – per aver la corte di appello prima disposto il “costosissimo nuovo accertamento peritale di ufficio” e poi ritenuto prescritto il diritto per il cui riconoscimento era stato disposta la nuova c.t.u. – è palesemente infondata risultando evidente che la corte di merito, di fronte al contenuto dei motivi posti a base del gravame avverso la sentenza di primo grado, ha ineccepibilmente ravvisato l’esigenza di accertare la natura, l’entità ed il momento del sorgere dei vizi e dei difetti denunciati dagli attori appellanti e ciò al fine di verificare non solo la coincidenza o meno di detti difetti rispetto a quelli oggetto del precedente esame del collegio arbitrale, ma anche il momento del verificarsi di eventuali vizi e difetti diversi onde poter affermare o escludere la fondatezza delle eccezioni di prescrizione e di decadenza sollevate dall’appellato Z. in primo e riproposte nel giudizio di appello.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale lo Z. si duole della decisione della corte di appello di compensare per intero le spese di entrambi i gradi del giudizio malgrado la già maturata prescrizione al momento della proposizione del gravame. Ad avviso del ricorrente incidentale la corte di appello avrebbe dovuto indicare, sia pur succintamente e non solo con il richiamo alla “equità”, le particolari ragioni che l’avevano indotta a mitigare il principio della soccombenza.

Il motivo non è fondato in quanto la compensazione delle spese di lite disposta dalla corte di appello con il richiamo alla “equità” trova una giustificazione agevolmente desumibile dall’intero contesto della sentenza impugnata – anche se non esplicitamente non menzionata – ove si consideri: l’operata modifica della motivazione della decisione di primo grado; l’avvertita esigenza di disporre un rinnovo della c.t.u.; la rilevata fondatezza della tesi degli appellanti in ordine alla non coincidenza (sostenuta dallo Z. ed erratamente ravvisata dal tribunale) tra difetti lamentati nella controversia in esame e quelli che avevano costituito oggetto di arbitrato.

In definitiva vanno rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale con la conseguente integrale compensazione tra le parti – stante la reciproca soccombenza – delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa per intero tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2011

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