Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9065 del 01/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 01/04/2021, (ud. 18/12/2020, dep. 01/04/2021), n.9065

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi iscritti ai nn. 8814/2014 e 11348/14 R.G. proposti da:

Euroitalia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Bernardi, con domicilio

eletto presso il suo studio, sito in Roma, via Monte Zebio, 28;

– ricorrente –

Procter & Gamble Italia s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv.

Alessandro Trivoli, con domicilio eletto presso lo studio “Trivoli

& Associati”, sito in Roma, via Marocco, 18;

– ricorrente –

Dolce & Gabbana s.r.l. a socio unico, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.

Gabriele Escalar e Vittorio Giordano, con domicilio eletto presso il

loro studio, sito in Roma, via Giuseppe Mazzini, 11;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 151/45/2013, depositata il 29 ottobre 2013.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 dicembre 2020

dal Consigliere Paolo Catallozzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale De Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo il rigetto

dei ricorsi;

udito gli avv. Giuseppe Bernardi, per la Euroitalia s.r.l.,

Alessandro Trivoli per la Procter & Gamble Italia s.p.a.,

Gabriele Escalar per la Dolce & Gabbana s.r.l. a socio unico, e

Paolo Gentili, per l’Agenzia delle Entrate.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Euroitalia s.r.l., la Procter & Gamble Italia s.p.a. e la Dolce & Gabbana s.r.l. a socio unico – con separati ricorsi iscritti, i primi due, al n. 8814/2014 r.g. e, l’ultimo, al n. 11384/2014 r.g. – impugnano la sentenza della Commissione tributaria regionale Lombardia, depositata il 29 ottobre 2013, che, in accoglimento dell’appello erariale, ha respinto i – riuniti – ricorsi delle società contribuenti per l’annullamento di un avviso di liquidazione avente ad oggetto il pagamento dell’imposta di registro, nonchè delle relative sanzioni, dovuto in relazione alla conclusione di tre contratti.

2. Dall’esame della sentenza impugnata emerge che tali contratti avevano ad oggetto, rispettivamente: la cessione, da parte della Euroitalia s.r.l. e in favore della Dolce & Gabbana s.r.l., di diritti di proprietà intellettuale (diritti esclusivi relativi a formule e packaging, nonchè diritti relativi alla pubblicità e ad attività promozionali); la cessione, da parte della Euroitalia s.r.l. e in favore della Dolce & Gabbana s.r.l., dei diritti relativi ad ulteriori formule su profumi; la cessione da parte della Euroitalia s.r.l. e in favore della Procter & Gamble Italia s.p.a., di stampi e dei relativi diritti contrattuali.

In essa si dà atto che, in relazione a tali cessioni, singolarmente considerati, le parti avevano versato la relativa i.v.a., ma che l’Ufficio, ritenendo che tali operazioni andassero considerate, sotto il profilo fiscale, in termini unitari, costituendo una cessione di ramo di azienda, aveva provveduto alla registrazione di ufficio, richiesto il versamento dell’imposta di registro e irrogato le relative sanzioni.

2.1. Il giudice di appello riferisce che la Commissione provinciale aveva accolto i ricorsi delle contribuenti, condannando l’Ufficio al rimborso di quanto medio tempore riscosso, evidenziando la non riconducibilità delle operazioni ad una cessione di azienda, avuto riguardo alla diversità, sia sotto il profilo giuridico, sia sotto quello economico, dei soggetti coinvolti, all’impossibilità di individuare nell’oggetto delle cessioni, sia pur complessivamente considerato, un insieme di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, all’assenza di un vincolo giuridicamente tutelato dell’approvvigionamento delle materie necessarie per realizzare un prodotto commerciale e all’impossibilità di identificare come beni immateriali quanto venduto frazionatamente.

2.2. Quindi, dopo aver disatteso le eccezioni di illegittimità dell’atto impugnato per incompetenza dell’Ufficio, violazione del principio del contraddittorio preventivo e carenza e contraddittorietà della motivazione, ha accolto il gravame dell’Amministrazione finanziaria ritenendo che l’oggetto della cessione dei menzionati contratti configurava, nel suo insieme, un ramo di azienda, in quanto comprensivo di beni materiali e immateriali, informazioni e conoscenze e facoltà di stipulare rapporti contrattuali funzionali allo sfruttamento commerciale di un marchio aziendale.

3. Il ricorso della Euroitalia s.r.l. è affidato a due motivi; quello della Procter & Gamble Italia s.p.a. ad otto; quello della Dolce & Gabbana s.r.l. a socio unico a sette.

4. Avverso i ricorsi di queste ultime due società resiste l’Agenzia delle Entrate con distinti controricorsi, ma dal contenuto sostanzialmente identico.

5. Tutte le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre preliminarmente dare atto che, con ordinanza disposta all’esito dell’udienza tenutasi il 4 ottobre 2019, i due ricorsi, trattati separatamente in quella sede, sono stati riuniti, in quanto contenenti impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza di appello.

L’esame di tali ricorsi è stato, poi, differito all’udienza del 18 dicembre 2020, in relazione all’opportunità di attendere l’esito dell’incidente di costituzionalità, sollevato da questa Sezione, con riferimento ad altro giudizio (ord. 23 settembre 2019, n. 23549), in ordine alla legittimità del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20.

1.1. Ciò posto, possono essere prioritariamente esaminate, in applicazione del criterio della ragione più liquida, e in via congiunta, le doglianze proposte dalle ricorrenti avverso la statuizione della Commissione regionale che, ai fini dell’applicazione della disciplina in tema di imposta del registro, ha qualificato le operazioni rilevate in termini di cessione di azienda.

In particolare, si rileva che la Euroitalia s.r.l. ha denunciato, con il primo motivo, la violazione dell’art. 2555 c.c. e del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, evidenziando l’inidoneità del complesso dei beni ceduti a consentire la prosecuzione dell’attività di produzione dei profumi, nonchè la diversità soggettiva dei cessionari, e, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 1362 c.c., per aver la sentenza impugnata interpretato i contratti conclusi attraverso la posizione, l’intenzione e il comportamento assunto da un soggetto estraneo ad essi (la Procter & Gamble International Operations SA) in favore della quale la Dolce & Gabbana s.r.l. avrebbe poi ceduto i diritti acquisiti con tali contratti.

1.2. Censure sostanzialmente analoghe sono formulate dalla Procter & Gamble Italia s.p.a. al quinto, sesto e settimo motivo di ricorso, con cui si deduce, rispettivamente, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 10, 20 e 57, e dell’art. 53 Cost., in relazione al rilievo attribuito alla posizione della Procter & Gamble International Operations SA, società estranea ai contratti in oggetto, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20, 21 e 40, per aver la sentenza impugnata desunto l’esistenza di un collegamento negoziale da un elemento, consistente nel contratto di licenza del marchio D&G concluso tra la Dolce & Gabbana s.r.l. e la Procter & Gamble International Operations SA, esogeno agli accordi ripresi a tassazione, e D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, e artt. 2555,2727 e 2729 c.c., con riferimento alla individuazione da parte del giudice di appello dell’oggetto delle operazioni rilevate in una cessione di azienda, pur in assenza di un apprezzamento oggettivo delle stesse, in relazione al coordinamento e all’organizzazione dei beni trasferiti con i relativi contratti, ma basandosi sulla sola potenzialità produttiva degli stessi e sulla disponibilità in capo ad un soggetto terzo dei beni necessari per funzionamento di un’azienda di produzione e commercializzazione nel settore di profumi.

1.3. La Dolce & Gabbana s.r.l. aggredisce la qualificazione delle operazioni effettuate dalla Commissione regionale sia con il quarto motivo del ricorso, con cui si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2555 c.c., del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 2, 4, 20, 43 e 51, della Dir. n. 77/388/CEE, art. 5, par. 8, della Dir. n. 2006/112/CE, art. 19, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2, per aver la sentenza impugnata ritenuto che ricorresse una cessione di azienda, benchè i beni trasferiti non fossero idonei, di per sè, all’esercizio di un’attività di impresa, sia con il quinto, con cui si allega la violazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’utilizzo di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, sia con il sesto motivo, con cui si censura la decisione di appello per violazione e falsa applicazione della Dir. n. 77/388/CEE, art. 5, par. 8, della Dir. n. 2006/112/CE, art. 19, par. 1 e 2, del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 2,4,20,43 e 51, nella parte in cui ha ritenuto che la cessione di un complesso aziendale, così come riqualificate le operazioni rilevate, benchè non assoggettata ad i.v.a. andasse assoggettata all’imposta di registro, privando di ogni effetto utile le disposizioni esonerative previste a livello unionale.

1.4. Con le memorie depositate la Procter & Gamble Italia s.p.a. e la Dolce & Gabbana s.r.l., nel richiamare le difese esposte nei rispettivi ricorsi, hanno invocato l’applicazione del jus superveniens rappresentato dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, che, ai fini che interessano in questa sede, avrebbe circoscritto l’oggetto dell’interpretazione negoziale al contenuto del singolo atto, con esclusione di elementi evincibili da altri atti o da indici esterni o da fonti extratestuali.

1.5. I riferiti motivi sono fondati.

1.6. Occorre rilevare che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, prevede, nella versione applicabile al caso in esame ratione temporis, che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

Tale disposizione è stata costantemente interpretata nel senso che, ai fini dell’interpretazione degli atti registrati, essa attribuisce prevalenza alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici degli stessi sul loro titolo e sulla loro forma apparente, vincolando l’interprete a privilegiare il dato giuridico reale dell’effettiva causa concreta dell’operazione economica rispetto al tipo negoziale cui le parti hanno fatto ricorso e che, a tal fine, i concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria ed è possibile valutare circostanze ed elementi di fatto diversi da quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali e, in particolare, anche di elementi desumibili da atti eventualmente collegati (cfr. Cass. 30 maggio 2018, n. 13610; Cass., ord., 20 marzo 2018, n. 7637; Cass., ord., 28 dicembre 2017, n. 31069).

Solamente in alcune decisioni è stato affermato che, l’Amministrazione finanziaria, pur non essendo tenuta a conformarsi alla qualificazione attribuita dalle parti al contratto, non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile, salva la prova, da parte sua, sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione ed alterazione degli schemi negoziali classici (cfr. Cass., ord., 15 gennaio 2020, n. 722; Cass. 27 gennaio 2017, n. 2954).

1.7. Tale disposizione è stata modificata dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), per effetto del quale la nuova formulazione della norma è nel senso che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Dall’esame letterale del nuovo articolato normativo appare evidente che, fermo restando il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo ha significativamente ristretto l’oggetto della interpretazione negoziale al solo atto e agli elementi solo da questo desumibili, non rilevando più gli elementi evincibili da atti eventualmente collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali (così, Cass., ord., 23 settembre 2019, n. 23549).

1.8. La nuova disposizione legislativa è stata inizialmente interpretata nel senso che non esplicasse, in mancanza di espressa previsione, effetto retroattivo, in quanto priva dei connotati della legge interpretativa, poichè, da un lato, introdurrebbe limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie in assenza non previsti e, da un altro, non sussisterebbe sulla portata della disposizione un contrasto giurisprudenziale, sicchè la nuova disciplina trova applicazione soltanto per gli atti stipulati successivamente alla data in vigore della stessa, ovvero al 1 gennaio 2018 (così, Cass. 23 febbraio 2018, n. 4407; Cass. 26 gennaio 2018, n. 2207).

In proposito, tuttavia, è intervenuto la L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, il quale ha stabilito che “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1, “.

Con tale disposizione, dunque, il legislatore ha palesato la volontà di attribuire portata retroattiva alla formulazione dell’art. 20, quale effetto riconducibile alla norma di interpretazione autentica e alla sua natura prettamente dichiarativa (cfr. Cass., ord., n. 23549/19).

1.9. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 158 del 21 luglio 2020, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, e della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, sollevata da questa Corte in relazione agli artt. 3 e 53 Cost..

Ha, sul punto, premesso che l’interpretazione evolutiva, cui la giurisprudenza della Corte di cassazione è pervenuta circa la rilevanza della causa concreta del negozio ai fini della tassazione di registro, non equivale a priori a un’interpretazione costituzionalmente necessitata, come invece ritenuto dal rimettente.

Ha, quindi, osservato che l’esclusione dalla rilevanza interpretativa degli elementi extratestuali e degli atti collegati, disposta dal legislatore con i menzionati interventi normativi del 2017 e 2018, non si pone in contrasto con i parametri invocati.

Infatti, “il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico”, salvaguardando “la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico”.

Ha aggiunto che gli evocati parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost., non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) a identificare i presupposti impostivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, senza alcun rilievo di elementi tratti aliunde, “salvo quanto disposto dagli articoli successivi” dello stesso testo unico.

Ha, da ultimo, evidenziato che l’interpretazione evolutiva dell’art. 20, incentrata sulla nozione di causa reale, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, in quanto “consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale”, pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea.

Ciò non toglie che eventuali condotte di sottrazione all’imposizione di effettiva ricchezza imponibile possa rilevare sotto il profilo dell’abuso del diritto, alla cui repressione, tuttavia, non è funzionale la disposizione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20.

1.10. Con successiva sentenza n. 39 del 16 marzo 2021 la Corte Costituzionale ha ribadito il giudizio di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, in relazione alla violazione degli artt. 3 e 53 Cost..

Nel richiamare la precedente pronuncia la Corte ha ritenuto che la retroattività conseguente alla natura di interpretazione autentica riconosciuta alla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), trova adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasta con altri valori e interessi costituzionalmente protetti, avuto riguardo al carattere di sistema assunto dall’intervento legislativo oggetto di scrutinio, e che, per tale motivo, si sottrae al dubbio sollevato dal remittente.

Evidenzia, inoltre, che la medesima ragione impone di disattendere la censura di irragionevolezza della disposizione anche sotto il profilo della ipotizzata violazione dei “motivi imperativi di interesse generale” desumibili dall’art. 6 CEDU, sottolineando che le norme della CEDU sono volte a tutelare i diritti della persona contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione e non viceversa.

Ritiene, infine, inammissibile la questione di legittimità costituzionale della norma in relazione agli altri parametri invocati, consistenti, in primo luogo, negli artt. 81 e 97 Cost., in secondo luogo, negli artt. 101,102 e 108, Cost., e, da ultimo, nell’art. 24, Cost.

1.11. Orbene, come già rilevato, la Commissione regionale ha condiviso la tesi dell’Ufficio secondo la quale i tre atti in oggetto, benchè qualificati quali atti di cessione (rispettivamente, di diritti di proprietà intellettuale, di contratti e di beni e contratti) e aventi quali effetti il trasferimento delle situazioni giuridiche soggettive ivi descritte, dessero luogo ad un’operazione di cessione di un complesso aziendale, ritenendo che gli oggetti di tali atti, unitariamente valutati, costituissero un ramo di azienda.

A tal fine, ha ritenuto irrilevanti sia la diversità dei soggetti che in tali atti figuravano quale cessionari (la Dolce & Gabbana s.r.l., nei primi due, e la Procter & Gamble Italia s.r.l., nel terzo), sia l’inidoneità dei beni ceduti a consentire lo svolgimento di un’attività produttiva, in quanto non comprendenti anche macchinari ed strutture organizzative di vendita, in ragione del fatto che dal contenuto degli atti emergeva che le cessioni erano effettuate nell’interesse della Procter & Gamble International Operation S.A., la quale avrebbe, poi, acquistato (dai rispettivi cessionari) i relativi diritti e beni e sarebbe divenuta la (nuova) licenziataria.

Risulta, dunque, evidente che la Commissione regionale non ha fatto corretta applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, così come interpretato alla luce della norma di interpretazione autentica introdotta con la L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), poichè ha ritenuto applicabile l’imposta di registro a singoli atti i quali, unitariamente considerati, presentavano natura di atti traslativi i cui effetti consistevano nella cessione di beni e/o diritti, attribuendo rilevanza decisiva, ai fini dell’accertamento della contestata cessione di azienda, ad elementi extratestuali, rivenuti nei diversi atti in oggetto, sul presupposto di un loro collegamento negoziale o, comunque, di una loro preordinazione alla realizzazione di un risultato economico unitario.

1.12. Non decisive, in senso contrario, sono le argomentazioni esposte dall’Amministrazione finanziaria nella memoria depositata ed illustrate in udienza concernenti la natura elusiva e/o abusiva della condotta posta in essere dalle contribuenti, nonchè la necessità di un’interpretazione restrittiva del concetto di “elementi extratestuali”, che rimanga circoscritta agli elementi che non trovano in maniera immediata e diretta un legame con le espressioni e le dichiarazioni contenute nell’atto oggetto di imposizione e che ne contemplano il contenuto volitivo permettendone di apprezzare gli effetti giuridici.

Infatti, sotto il primo aspetto, la mancata contestazione nell’atto impositivo della violazione di disposizioni antielusive non consente di poter dare ingresso ad una valutazione degli atti in esame in relazione a siffatti parametri di legittimità, pena un inammissibile allargamento del thema decidendum nel giudizio tributario, che non può estendersi a presupposti di fatto e di diritto non contestati con l’atto impositivo.

In ordine, poi, al secondo aspetto, la tesi della difesa erariale si scontra con l’orientamento espresso da questa Sezione con la richiamata ordinanza n. 23549 del 2019, da cui si ritiene di non doversi discostare, secondo cui il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, va inteso, alla luce della norma di interpretazione autentica contenuta nella L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), nel senso che “non rilevano quindi più… gli elementi evincibili da atti eventualmente collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali”.

Una siffatta interpretazione del dato legislativo si impone sia in ragione del tenore letterale della norma, sia della volontà del legislatore, quale desumibile (anche) dai lavori preparatori, in cui si dà atto che “La norma in esame (ossia, quella di interpretazione autentica) è volta a definire la portata della previsione di cui all’art. 20 TUR, al fine di stabilire che detta disposizione deve essere applicata per individuare la tassazione da riservare al singolo atto presentato per la registrazione, prescindendo da elementi interpretativi esterni all’atto stesso (ad esempio, i comportamenti assunti dalle parti), nonchè dalle disposizioni contenute in altri negozi giuridici “collegati” con quello da registrare. Non rilevano, inoltre, per la corretta tassazione dell’atto, gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte (non potrà, ad esempio, essere assimilata ad una cessione di azienda la cessione totalitaria di quote)” (così, della relazione tecnica al D.D.L., art. 13, avente ad oggetto “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020”).

1.13. All’accoglimento dei motivi in esame segue l’assorbimento dei motivi residui.

2. La sentenza va, dunque, cassata con riferimento ai motivi accolti e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito, accogliendo gli originari ricorsi.

3. In considerazione della novità della questione e, conseguentemente, dell’assenza di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla controversa questione dell’ambito di applicazione oggettiva dell’imposta di registro, appare opportuno disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte accoglie: il ricorso della Euroitalia s.r.l.; il quinto, sesto e settimo motivo del ricorso della Procter & Gamble Italia s.p.a.; il quarto, quinto e sesto motivo della Dolce & Gabbana s.r.l. a socio unico; dichiara assorbiti i restanti motivi dei ricorsi della Procter & Gamble Italia s.p.a. e della Dolce & Gabbana s.r.l. a socio unico; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi originari; compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2021

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