Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9058 del 20/04/2011

Cassazione civile sez. II, 20/04/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 20/04/2011), n.9058

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.G.C., (OMISSIS) rappresentato e difeso da

sè medesimo, elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avvocato Tittoni Giovanna Mura in Roma, via Sallustiana n. 1/a.

– ricorrente –

contro

C.A., D.M., C.A.M. e C.

S., rappresentati e difesi per procura in calce al

controricorso dagli Avvocati Fois Sebastiano e Marco Petrini,

elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

piazza di Villa Carpegna n. 58.

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 452 della Corte di appello di Cagliari,

Sezione distaccata di Sassari, depositata il 5 agosto 2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

gennaio 2011 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

udita la difesa di resistenti, svolta dal Avv. Marco Petrini;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 9 giugno 2005, l’Avvocato M.G.C. ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 452 della Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, depositata il 5 agosto 2004, che, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva accolto l’opposizione avanzata da C.A., D.M., C.A.M. e C. S. avverso il Decreto ingiuntivo n. 652/91 che intimava loro di pagare la somma di L. 12.682.302 a titolo di prestazioni professionali espletate in loro favore dall’attuale ricorrente e consistenti nella redazione di una scrittura di divisione di beni caduti in comunione con i consorti C.G.M. e C. M.G.. In particolare, la Corte territoriale motivo la propria decisione osservando che gli elementi istruttori raccolti erano insufficienti a dimostrare che gli intimati avessero effettivamente conferito l’incarico professionale alla controparte, fatto da essi contestato, avendo il professionista agito esclusivamente su mandato degli altri condividendi e non essendo sufficiente ad integrare o comunque dimostrare l’esistenza di un rapporto professionale la circostanza che gli opponenti avessero sottoscritto il contratto di divisione, traendo vantaggio quindi dall’opera del professionista, nè che essi gli avessero successivamente versato la somma di L. 700.000, dichiarandosi disposti a corrispondere altro importo di L. 400.000, trattandosi di mere erogazioni fatte in ragione del riconoscimento dell’utilità obiettiva della sua prestazione.

Gli intimati C.A., D.M., C.A.M. e C.S. resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va esaminata l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti nell’atto integrativo del controricorso notificato il 28 luglio 2005 in forza del rilievo che il ricorso sarebbe stato depositato il 5 luglio 2005, oltre il termine di 20 giorni stabilito dall’art. 369 cod. proc. civ.,, comma 1, decorrente dalla notifica del ricorso medesimo, avvenuta il 9 giugno 2005.

L’eccezione è infondata.

Dagli atti di causa risulta che il ricorrente, ai fini del deposito del ricorso, si è avvalso della modalità prevista dall’art. 134 disp. att. cod. proc. civ., inviando il ricorso alla Cancelleria di questa Corte a mezzo del servizio postale in data 17 giugno 2005. Ne consegue che il deposito dello stesso deve considerarsi tempestivo a mente del comma 5 del citato articolo, secondo cui il deposito si ha per avvenuto, a tutti gli effetti, dalla data di spedizione del plico.

Il primo motivo di ricorso denunzia vizio di omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, di violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729, 2753 e 2733, nonchè degli artt. 2222 e 2229 cod. civ., lamentando che il giudice territoriale sia giunto ad affermare la mancanza di prova in ordine al conferimento dell’incarico professionale da parte degli attuali resistenti omettendo del tutto, nella ricostruzione del fatto, di considerare e valutare la lettera spedita all’attuale ricorrente dall’Avvocato Sebastiano Fois, per conto delle controparti, in data 19 marzo 1991, che il ricorso riproduce per intero, nella quale si riferiva che gli intimati avevano dichiarato di avere concordato, per le prestazioni professionali espletate dall’Avvocato M., l’importo di L. 300.000 per ciascun condividente e che, successivamente, essi si erano accordati per definire la questione mediante versamento della somma di L. 400.000, dichiarazioni aventi valore di confessione extragiudiziale e che presupponevano chiaramente il fatto che gli intimati avevano effettivamente conferito l’incarico professionale. Si aggiunge, inoltre, che nel proprio atto di citazione in opposizione, le controparti avevano chiesto di essere dichiarati tenuti al pagamento della sola somma di L. 400.000, conclusione, questa, chiaramente ammissiva della sussistenza dell’obbligazione di pagare il compenso al professionista.

Il secondo motivo di ricorso denunzia vizio di omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, e violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729, nonchè degli artt. 2222 e 2229 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per non avere considerato, nella ricostruzione del fatto, che le fatture emesse dal ricorrente in occasione del pagamento ad opera delle controparti della somma di L. 700.000 portavano la dicitura, come causale, “in conio mie competenze pratica divisione beni comuni” e che le stesse non risultavano essere state contestate nella successiva risposta dell’Avvocato Fois.

I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della sostanziale identità della questione da essi sollevata, sono infondati.

Va premesso che, per giurisprudenza costante di questa Corte, la valutazione del materiale probatorio ai fini della ricostruzione del fatto costituisce attività demandata dalla legge alla esclusiva competenza del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, potendo il ricorrente nel giudizio di legittimità sindacare tale valutazione solo sotto il profilo della congruità e sufficienza della motivazione (Cass. n. 14972 del 2006; Cass. n. 4770 del 2006; Cass. n. 16034 del 2002).

Tanto precisato, nel caso di specie la Corte di appello ha affermato che il professionista non aveva fornito prova di avere agito anche su incarico degli attuali resistenti giustificando tale conclusione sul fatto, che il giudicante assume incontroverso, che l’incarico al professionista fu conferito autonomamente dai coniugi C.M. G. e C.G.M., sulla testimonianza di quest’ultima in base alla quale i suoi fratelli, attuali resistenti, si erano recati presso io studio dell’Avv. M. soltanto dietro invito dello stesso e per apporre la firma sul documento predisposto dal legale, e, infine, sulla circostanza che lo stesso professionista, in sede di interrogatorio formale, non aveva mai affermato di avere ricevuto l’incarico da parte di tutti i condividenti, ma soltanto di avere agito, in una seconda fase, nell’interesse di tutti; il giudice di merito ha quindi aggiunto che, in senso contrario, non poteva considerarsi rilevante la circostanza della corresponsione da parte dei C. di somme di denaro al legale, potendo esse ragionevolmente trovare titolo nel riconoscimento della obiettiva utilità dell’attività da questi espletata. Questa motivazione appare sufficiente ed adeguata, basandosi su clementi univoci e coerenti in relazione alla conclusione accolta.

Per conto non può essere condivisa la doglianza del ricorrente secondo cui il giudice territoriale non avrebbe valutato nè la lettera del legale di controparte del 19 marzo 1991 nè la dicitura ” in acconto ” apposta sulle fatture rilasciate dal professionista, fondandosi tale critica su elementi che non appaiono decisivi al fine di una diversa ricostruzione del fatto. La missiva del marzo del 1991, non contiene, infatti, alcun riconoscimento o ammissione in ordine al conferimento dell’incarico al professionista; a ciò può aggiungersi che, comunque, non essendo sottoscritta dalla parte personalmente ma dal suo difensore, ad essa non potrebbe mai attribuirsi, come invece ritenuto dal ricorrente, valore confessorio., ma solo elemento indiziario, soggetto, come tale, al prudente apprezzamento del giudice (Cass. n. 12096 del 1995; Cass. n. 1537 del 1997). Analoga conclusione può estendersi alle fatture, trattandosi di documenti in questo caso provenienti dalla stessa parte che si afferma creditrice.

In entrambi i casi si tratta, in sostanza, di elementi non decisivi, la cui mancata considerazione non appare sufficiente a ritenere viziato il percorso logico compiuto dal giudicante nel motivare la propria conclusione.

Il terzo motivo di ricorso, che denunzia vizio di omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, e violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729, nonchè degli artt. 2222 e 2229 cod. civ., osserva che la decisione impugnata ha affermato che l’incarico era stato conferito al legale dai soli C.G.M. e C.M.G., precisando che essi si erano rivolti al professionista al fine di dare esecuzione alla scrittura privata di divisione del 14 ottobre 1989. Tanto premesso, la conclusione del giudicante secondo cui l’Avv. M. ebbe a ricevere l’incarico esclusivamente da C.G.M. e C. M.G. appare in contraddizione con il passo della stessa sentenza che da atto dell’utilità dell’opera del professionista, riconoscendo che nella scrittura di divisione da lui preparata era stata dettata” un’articolata regolamentazione degli interessi di ciascun condividente .. non rinvenibile in alcun modo nella scrittura 14.10.1089″. Tale circostanza, ad avviso del ricorrente, dimostrerebbe, infatti, che l’attività svolta dal legale è stata più ampia di quella a cui erano interessati i condividendi C. G.M. e C.M.G., sicchè essa andava presumibilmente ascritta e collegata anche ad un incarico degli altri interessati alla divisione.

Il mezzo è infondato.

La circostanza, che costituisce un mero dato obiettivo, che l’opera del legale sia andata a vantaggio anche degli appellanti, attuali controricorrenti, non si pone infatti in alcun modo in contraddizione logica o giuridica con 1″accertamento secondo cui il professionista ricevette l’incarico non da tali soggetti, ma da altri interessati.

Trattasi infatti di valutazioni autonome, di cui l’una non esclude ma nemmeno fa presumere l’altra.

Il quarto motivo di ricorso, che denunzia vizio di omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, e violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729, 769 e 770 nonchè degli artt. 2222 e 2229 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere, adducendo ragioni del tutto incongrue ed in contrasto con i documenti in atti, ritenuto prova non idonea a dimostrare il conferimento dell’incarico al professionista l’avvenuto versamento in suo favore della somma di L. 700.000, degradando tale pagamento a mera erogazione a titolo remunerativo fatta senza vincolo giuridico, cioè ad una donazione cd. renumeratoria, senza preoccuparsi di accertare se esse erano state accettate a tale titolo dallo scrivente.

Anche questo motivo va respinto, apparendo l’affermazione della sentenza criticata coerente in realtà con il ragionamento seguito dal giudice territoriale ed adeguatamente motivata alla luce del rilievo, che non risulta efficacemente contraddetto dal ricorrente, che la corresponsione di tali somme avvenne, in assenza di elementi contrari, a mero titolo di riconoscimento dell’utilità dell’opera svolta dal professionista e senza vincolo di un rapporto contrattuale nascente dal conferimento di un incarico.

Il quinto motivo di ricorso, che denunzia vizio di omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata per avere fondato la propria decisione anche sulla testimonianza resa da C.G.M., il quale aveva riferito di avere contattato autonomamente l’Avv. M. e che i suoi fratelli si erano recati presso il suo studio dietro invito del medesimo, circostanze che tuttavia non dimostravano che l’incarico professionale non venne conferito anche dagli altri fratelli. Il motivo è infondato.

La valutazione della dichiarazione del teste condotta dal giudice di merito, nei limiti in cui è sindacabile in sede di giudizio di legittimità, appare infatti coerente e congrua in relazione al contenuto della testimonianza, come riferito nella sentenza e nello stesso ricorso. In ogni caso si osserva che, come precisato dal giudice di appello, incombeva al professionista dare la prova di avere ricevuto l’incarico professionale dalle controparti e non già a quest’ultime dimostrare di non averlo conferito, sicchè, sotto questo aspetto, la censura è anche inammissibile, dal momento il vizio denunziato potrebbe in astratto considerarsi rilevante e decisivo al fine della cassazione della decisione impugnata solo se si dimostrasse che la testimonianza che si assume male interpretata in realtà confermava l’avvenuto conferimento dell’Incarico ad opera delle controparti.

In conclusione il ricorso è respinto.

Le ragioni della decisione ed il rigetto dell’eccezione preliminare dei controricorrenti integrano giusti motivi di compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2011

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