Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9053 del 15/04/2010

Cassazione civile sez. III, 15/04/2010, (ud. 08/03/2010, dep. 15/04/2010), n.9053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3478-2006 proposto da:

R.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE CARSO 77, presso lo studio dell’avvocato PONTECORVO EDOARDO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERINI LUCIANO

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO VIA (OMISSIS), (OMISSIS) in

persona del suo Amministratore pro tempore Sig. D.C.

G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO ALBERTO

RACCHIA 2, presso lo studio dell’avvocato CANTONI GIOVANNA, che lo

rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso;

RAS SPA – RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA’ (OMISSIS) in persona dei

Procuratori Speciali M.G. e T.L.,

elettivamente domiciliatA in ROMA, VIA VERONA 9, presso lo studio

dell’avvocato GRANOZIO ROMANO, che la rappresenta e difende giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2645/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA, 4^

SEZIONE CIVILE, emessa il 6/4/2005, depositata il 08/06/2005, R.G.N.

5492/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2010 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato EDOORDO PONTECORVO; udito l’Avvocato ROMANO

GRANOZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con sentenza in data 6-4/8-6-2005 n. 2645, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Roma n. 36420/2001 di rigetto della domanda proposta da R.C. nei confronti del CONDOMINIO di (OMISSIS) (di seguito, brevemente, CONDOMINIO), avente ad oggetto il risarcimento dei danni fisici che l’appellante assumeva di aver subito in data (OMISSIS) a causa di una lamina metallica sporgente, apposta alla base del cancello del garage condominiale, al fine di impedire il deflusso di acqua e immondizia, da cui era stata colpita nella parte posteriore del piede sinistro all’uscita dal garage.

Con la medesima sentenza la Corte territoriale rilevato che l’appellante aveva rivolto le sue istanze anche nei confronti della compagnia di assicurazione R.A.S. RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA’ s.p.a., chiamata in garanzia dal CONDOMINIO nel primo grado del giudizio – condannava la R. al pagamento delle spese del grado nei confronti sia del CONDOMINIO, sia della R.A.S..

1.2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione R. C. formulando tre motivi, illustrati anche da memoria, e chiedendo la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c..

Hanno resistito, depositando distinti controricorsi, il CONDOMINIO e la s.p.a. R.A.S.. (ora ALLIANZ s.p.a.).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare la ricorrente deduce che l’installazione della lamina metallica alla base del cancello aveva determinato una situazione di pericolo che il CONDOMINIO aveva l’obbligo giuridico di rimuovere.

1.1. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare la ricorrente – richiamata la giurisprudenza elaborata in materia di cd.

insidia o trabocchetto – rileva che l’evento dannoso non è in alcun modo ad essa addebitabile a titolo di imprudenza e imperizia, dovendo esclusivamente attribuirsi al fatto che l’anta sinistra del cancello si era richiusa, mentre essa R. si era calata per raccogliere le chiavi.

2. I due motivi che – per la sovrapposizione o almeno per la connessione delle tematiche proposte si esaminano congiuntamente – non meritano accoglimento.

2.1. E’ da rilevare, innanzitutto, che non è ammissibile in questa sede la prospettazione della violazione dell’art. 2051 c.c..

La censura trae evidentemente spunto da un obiter della sentenza impugnata, laddove la Corte territoriale – dopo aver ascritto l’incidente ad “una macroscopica imprudenza” della R. – ha precisato che, qualora non si ritenesse addebitabile alla danneggiata, l’evento avrebbe dovuto ascriversi al fortuito, risultando in tal modo esclusa la configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c. “peraltro neppure evocato dall’appellante” (pag. 5 e 6 della sentenza impugnata).

Si rammenta che la pretesa avanzata per richiedere l’adempimento di una obbligazione risarcitoria ex art. 2043 c.c. e quella esperita, invece, per il risarcimento ai sensi dell’art. 2051 c.c. si pongono in una relazione di reciproca infungibilità e derivano da diritti cd. eterodeterminati, per la cui identificazione, cioè, occorre far riferimento ai relativi fatti costitutivi, tra loro sensibilmente divergenti sul piano genetico e funzionale (cfr. ex multis cfr. Cass. n. 726 del 2006), per cui l’introduzione del nuovo e diverso titolo della domanda costituisce inammissibile mutatio libelli.

2.2. Ciò precisato, ritiene il Collegio che i motivi all’esame – al di là della formale enunciazione del vizio della violazione di legge e di quello logico-motivazionale – postulano la rivalutazione di risultanze processuali già esaurientemente e coerentemente esaminate dalla doppia decisione conforme e risultano destituite di fondamento proprio alla stregua delle emergenze processuali quali riportate nella decisione impugnata, la quale ha segnatamente evidenziato: a) che l’apposizione e, quindi, la presenza della lamina alla base del cancello non potevano essere in alcun modo riguardate quale imprudenza o negligenza del CONDOMINIO, non costituendo di per sè un pericolo “in quanto un pericolo può essere determinato solo dall’uso inappropriato del cancello e ciò anche ove su di esso non fosse stata apposta la lamina”; b) che la sostituzione, due mesi dopo l’evento per cui è causa, da parte del CONDOMINIO della lamina metallica con altra di gomma era stata determinata dall’esigenza di una maggiore tenuta dell’acqua e non poteva essere interpretata come ammissione di colpa; c) che non erano ravvisabili i requisiti della non visibilità e non prevedibilità, propri dell’insidia, perchè la lamina era visibile e, comunque, nota all’appellante, dal momento che costei si recava nel box-garage più volte al giorno, attraversando il cancello in questione; d) che, esclusa un’anomalia di funzionamento dell’anta sinistra (posto che era l’altra anta, quella di destra – peraltro al momento del fatto fissata con un paletto – che aveva la tendenza a “ritornare un pochino indietro”, come riferito da una teste addotta dall’attrice) ed escluso altresì il fatto del terzo, neppure dedotto dall’originaria attrice, l’unica spiegazione possibile dell’incidente era quella di un’imprudenza della R., “la quale, avendo evidentemente tirato a sè l’anta in procinto di varcare la soglia, si arrestò poi invece quasi contemporaneamente a tale manovra, essendosi chinata a raccogliere le chiavi cadutale”.

Va precisato che l’esattezza delle suddette valutazioni non può formare oggetto di contestazione in questa sede, perchè trattasi di valutazioni di stretto merito, sorrette da una ricostruzione delle risultanze probatorie, che non appare palesemente incongrua e da un percorso argomentativo coerente e privo di vizi logici.

Si rammenta che il vizio di “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 06/08/2008, n. 21153).

Nella specie il tessuto motivazionale della sentenza impugnata non presenta evidenti aporie di ragionamento che, sole, possono indurre a ritenere sussistente il vizio di assenza, contraddittorietà o illogicità di motivazione; nè le deduzioni della ricorrente, pur corredate da copiosi richiami giurisprudenziali, rivelano alcun errore nell’interpretazione della normativa rilevante in materia.

Vero è che la ricorrente sollecita una nuova valutazione delle risultanze fattuali ad opera di questa Corte, tentando surrettiziamente di trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito, nel quale ridiscutere il contenuto della vicenda per cui è processo, nonchè le opzioni espresse al riguardo espresse dai giudici di appello, non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altra alternativa e consona ai propri desiderata (e ciò sebbene la fungibilità nella ricostruzione di un fatto non sia postulabile nel giudizio di cassazione).

2. Resta ovviamente assorbito l’altro motivo di ricorso con cui si ridiscute la regolazione delle spese, sul presupposto di un diverso esito della causa.

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in favore del CONDOMINIO di (OMISSIS) in Euro 2.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese) e in favore della ALLIANZ s.p.a. in Euro 2.700,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre, per entrambi, il rimborso spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2010

 

 

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