Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 905 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. I, 20/01/2021, (ud. 23/10/2020, dep. 20/01/2021), n.905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8788/2019 proposto da:

M.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Barone,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4514/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 09/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/10/2020 dal Cons. Dott. CLOTILDE PARISE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 4514/2018 depositata il 9-10-2018, la Corte d’appello di Napoli ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Napoli emessa il 4-1-2017 con cui era stato dichiarato inammissibile per tardività il ricorso proposto da M.S., cittadino del (OMISSIS) e ha rigettato, nel merito, le domande dallo stesso proposte, aventi ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito del rigetto delle stesse domande da parte della competente Commissione Territoriale. La Corte territoriale ha ritenuto che le ragioni addotte dal richiedente per giustificare l’abbandono del suo Paese fossero sostanzialmente di carattere economico, dovendo egli provvedere al sostentamento dei genitori e di tre sorelle. La Corte d’appello ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte d’appello ha evidenziato che nel Paese di origine del richiedente non vi erano allarmanti situazioni di conflitto armato interno, come da fonti di conoscenza indicate nella sentenza impugnata, essendosi normalizzato il clima di instabilità politica, dovuto ai violenti scontri tra il partito conservatore (OMISSIS) e il partito islamico (OMISSIS), dopo le elezioni del gennaio 2014. I Giudici d’appello hanno ritenuto che neppure vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo allegati elementi di significativa fragilità o vulnerabilità soggettiva, anche considerando la reale situazione politico sociale dello Stato di provenienza, nonchè effettuata la comparazione tra la situazione personale in cui l’appellante si trovava in Italia e quella in cui lo stesso si sarebbe trovato in caso di rimpatrio.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia, sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: (i) con il primo motivo la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, lamentando la violazione del dovere di cooperazione ufficiosa, con ampi richiami alla giurisprudenza di questa Corte, e del principio dell’onere probatorio attenuato, nonchè dolendosi del mancato svolgimento, da parte della Corte territoriale, di un ruolo attivo nell’istruttoria sulla sua situazione personale; (ii) con il secondo motivo la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7 8 e 11, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Deduce che la Corte territoriale aveva motivato il diniego dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria asserendo che il ricorrente non aveva chiesto la protezione delle autorità in Bangladesh. Afferma che i fatti dallo stesso narrati non erano smentiti da elementi di segno contrario e non erano in contraddizione con le notizie ed informazioni generali sul suo Paese, che si trova in una difficile situazione di sicurezza, tale da rendere fondato il timore di gravi persecuzioni in caso di rimpatrio; (iii) con il terzo motivo la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Corte d’appello deciso in modo corretto, come da sentenze di questa Corte e della Corte di Giustizia che richiama, poichè dalle notizie diffuse su diversi siti emerge un allarmante e desolante quadro per la tutela di diritti inviolabili dell’uomo e qualsiasi cittadino del Bangladesh corre il pericolo di essere vittima di attentati, a causa della situazione politico-sociale ivi esistente; (iv) con il quarto motivo la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, deducendo che, anche in violazione dell’art. 2 Cost. e dell’art. 3CEDU, la Corte territoriale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato la condizione personale di vulnerabilità del ricorrente, che rischia di subire trattamenti umani e degradanti, e l’attuale situazione di instabilità sociale e politica, nonchè caratterizzata da ripetute violazioni dei diritti umani.

2. Il Collegio rileva preliminamente che il ricorso è inammissibile per difetto del requisito – prescritto dall’art. 365 c.p.c. – di specialità della procura. Si è andato consolidando nel tempo l’orientamento più restrittivo della giurisprudenza di legittimità (tra le più recenti Cass., ord., 24/07/2017, n. 18257; Cass., ord., 30/03/2018, n. 6070; Cass., ord., 11/10/2018, n. 25177; Cass., 2/07/2019, n. 17708; Cass., ord., 18/02/2020, n. 4069), al quale il Collegio ritiene di dover dare continuità, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione qualora – come nel caso all’esame – la procura, apposta su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso – peraltro privo di timbro di congiunzione – con tale atto contenga espressioni incompatibili con la proposizione di detta impugnazione e univocamente dirette ad attività proprie di altri gradi o fasi processuali.

2.1. Nel caso di specie la procura non solo contiene espressioni incompatibili con le attività processuali del giudizio di cassazione (quali quelle di chiamare in causa terzi, deferire giuramento, proporre domande riconvenzionali ed azioni cautelari) e non fa riferimento al provvedimento impugnato o al giudizio di cassazione, ma reca anche una data (2-3-2017) che è anteriore a quella della sentenza impugnata.

3. Nulla si dispone circa le spese del giudizio di legittimità, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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