Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9048 del 20/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 20/04/2011, (ud. 02/03/2011, dep. 20/04/2011), n.9048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

FAITA FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI ITALIANE DEI COMPLESSI TURISTICO

– RICETTIVI DELL’AREA APERTA, (d’ora in poi per brevità “Faita”), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 25, presso lo studio

dell’avvocato PAPARAZZO ETTORE, che la rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO COSSA

41, presso lo studio dell’avvocato PORCELLI VINCENZO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5573/2 006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/01/2007 r.g.n. 5780/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato PORCELLI VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso, per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Roma, per quello che interessa in questa sede, confermando la sentenza di primo grado accoglieva il capo della domanda avanzata da M.L. nei confronti della Federazione FAITA in epigrafe avente ad oggetto la condanna di detta Federazione al pagamento dell’indennità cassa e di maneggio danaro che assumeva doveva esserle corrisposta in relazione alle mansioni svolte alle dipendenze della convenuta Federazione.

La predetta Corte poneva a base del decisum il rilievo fondante che dalle dichiarazioni testimoniali emergeva che la M. era di fatto l’unica dipendente ad occuparsi in via continuativa della cassa, curando i prelievi delle somme di danaro occorrenti per le spese ordinarie ed inviando il resoconto al tesoriere che eseguiva controlli sporadici. Poichè la lavoratrice, aggiungeva la Corte del merito, maneggiava somme consistenti di denaro per l’attività della Federazione poteva fondatamente presumersi sulla base dell’id quod plerumque accidit che la stessa era obbligata a rispondere di eventuali differenze registrate nella contabilità. Nè, aggiungeva la Corte territoriale poteva assumere alcun rilievo contrario che non risultava che la M. di fatto si fosse accollata eventuali ammanchi di cassa non essendo provato, e neppure dedotto, che siffatti ammanchi si erano verificati.

Avverso tale sentenza la Federazione ricorre in cassazione sulla base di due censure.

Resiste con controricorso la M. la quale deposita, altresì, memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la Federazione deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Allega che la Corte del merito: non spiega perchè tiene conto delle dichiarazioni di testi, ritenuti di dubbia attendibilità; riconosce che non è stata fornita la prova sulla responsabilità della lavoratrice per ammanchi di cassa, ma poi desume tale responsabilità in base a presunzione.

Il motivo è infondato.

Innanzitutto occorre rilevare che la Corte di appello non ritiene affatto inattendibili i testi le cui dichiarazioni sono poste a base del decisum. Sottolinea solo la predetta Corte che le dichiarazioni dei testi S. e B. vanno valutate con particolare prudenza per essere, il primo legato alla ricorrente da vincoli affettivi, e il secondo in causa con la Federazione. Tuttavia, aggiunge la Corte del merito, tali dichiarazioni trovano riscontro in quelle del teste R. indotto dalla stessa Federazione.

Pertanto vi è adeguata ed esauriente motivazione sulle ragioni che hanno indotto i giudici di appello a porre le dichiarazioni in parola a fondamento della decisione, che nel riconoscere alla M. il diritto ad ottenere l’indennità rivendicata ha correttamente richiamato il disposto dell’art. 103 del contratto collettivo di categoria.

Quanto alla responsabilità per eventuali ammanchi questa è sì dedotta in base ad una presunzione, ma il relativo percorso logico è immune da incoerenza od omissione vertente su fatti decisivi, neppure, tra l’altro, dedotti.

Nè può certamente considerarsi fatto decisivo negativo la mancata prova che in concreto la lavoratrice si sia accollata eventuali ammanchi, non essendo stato dedotto o provato, come sottolineato dalla Corte di appello, che tali ammanchi si sono verificati.

Con la seconda censura la Federazione, denunciando violazione dell’art. 103 c.c.n.l. commercio pone il seguente quesito di diritto:

“se sia conforme alla norma di legge e del CCNL del settore Commercio, nello specifico art. 103, nonchè ai principi generali del diritto in ordine alla ripartizione degli oneri probatori processuali, porre a fondamento della decisione della causa, l’applicazione dell’art. 103 Commercio, indipendentemente dalla dimostrazione, o meglio dalla prova che la ricorrente fosse tenuta ad accollarsi eventuali differenze di cassa, come richiesto dal predetto articolo”.

La censura è infondata.

Di contro vi è, infatti, non solo la considerazione che la censura, alla stregua del formulato quesito, non pone una questione d’interpretazione della norma collettiva, bensì una questione di fatto relativa alla sussistenza o meno della prova circa la responsabilità di eventuali ammanchi, ma anche il rilievo che la Federazione ricorrente muove dal presupposto che non vi sia stato da parte dei giudici di appello un accertamento circa la responsabilità per eventuali ammanchi, ma tale accertamento, invece, come rilevato nell’esame del primo motivo, vi è ed è supportato da adeguata e coerente motivazione.

Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso pertanto va respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 25,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorario oltre IVA, CPA e spese generali che attribuisce all’avv.to Vincenzo Porcelli.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2011

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