Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9048 del 18/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 18/05/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 18/05/2020), n.9048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 13531 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

ISTITUTO VENDITE GIUDIZIARIE SO.C.CO.V. S.r.l., (P.I.: (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, C.V.

rappresentato e difeso dall’avvocato Paola Bertelli (C.F.: BRT PLA

74R44 B157L);

– ricorrente –

nei confronti di:

SOCIETA’ AGRICOLA L.F., P., S. E G.F.

s.s., (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro

tempore, L.F. rappresentato e difeso dall’avvocato Carlo

Sicuro (C.F.: SCR CRL 40H14 G337I);

– controricorrente –

per la cassazione dell’ordinanza del Tribunale di Brescia pronunciata

nella causa civile iscritta al n. 17958 dell’anno 2017 del R.G.A.C.,

pubblicata in data 12 marzo 2018;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 21 novembre 2019 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

RILEVATO

Che:

Il giudice dell’esecuzione, a seguito dell’estinzione di una procedura esecutiva di espropriazione mobiliare, ha liquidato il compenso dovuto al locale Istituto di Vendite Giudiziarie So.C.Co.V. S.r.l. per le attività svolte. La società che aveva promosso l’esecuzione, Società agricola L.F., P., S. e G.F. s.s., ha proposto opposizione al decreto di liquidazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, (T.U.S.G. – Testo Unico delle Spese di Giustizia).

L’opposizione è stata accolta dal Tribunale di Brescia, che ha liquidato in favore dell’istituto opponente l’importo di Euro 3.802,10 (in luogo di quello di Euro 15.463,99 liquidato dal giudice dell’esecuzione), condannando la società opposta alle spese del giudizio ed al pagamento di una ulteriore somma, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Ricorre la So.C.Co.V. S.r.l., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso la Società agricola L.F., P., S. e G.F. s.s..

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

La società controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Il Collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (D.M. n. 80 del 2009, – D.M. n. 109 del 1997)”.

La società ricorrente sostiene che la liquidazione delle proprie spettanze per la custodia dei beni mobili oggetto del pignoramento avrebbe dovuto essere effettuata ai sensi del D.M. 15 maggio 2009, n. 80, (“Regolamento in materia di determinazione dei compensi spettanti ai custodi dei beni pignorati”) e non ai sensi del D.M. 11 febbraio 1997, n. 197, artt. 33 e 37, (“Regolamento di modifica al D.M. 20 giugno 1960, e successive modificazioni, e tariffa dei compensi dovuti agli istituti di vendite giudiziarie”).

L’assunto è manifestamente infondato.

Il tribunale ha correttamente rilevato che il Reg. n. 197 del 1997, ed il Reg. n. 80 del 2009, hanno ambiti applicativi diversi, onde il secondo non ha abrogato, neanche parzialmente, il primo, che costituisce una anteriore normativa speciale.

Il Reg. n. 197 del 1997, disciplina in modo esaustivo la liquidazione di spese e compensi spettanti agli Istituti di Vendite Giudiziarie, nell’ambito della regolamentazione generale delle attività ad essi consentite (tra cui la custodia, il trasporto e la vendita dei beni pignorati, anche all’incanto), mentre il Reg. n. 80 del 2009, disciplina esclusivamente i compensi per i soggetti nominati custodi dei beni pignorati in sostituzione del debitore ai sensi dell’art. 520 c.p.c., comma 2, diversi dai suddetti istituti (e che di regola vanno con questi ultimi sostituiti al momento dell’istanza di vendita, ai sensi dell’art. 521 c.p.c., comma 4), come si desume del resto anche dalla disposizione normativa che ne ha autorizzato l’emanazione (della L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 21, che ha autorizzato il Ministro della Giustizia a definire, tra l’altro, i compensi ai “custodi dei beni pignorati nominati in sostituzione del debitore”, non quelli spettanti agli istituti di vendite giudiziarie).

Dunque, le attività di custodia e trasporto dei beni pignorati, se poste in essere da un istituto di vendite giudiziarie, cioè da uno degli istituti autorizzati ai sensi dell’art. 159 disp. att. c.p.c., alla vendita all’incanto e all’amministrazione dei beni pignorati, i cui requisiti, la cui istituzione, organizzazione e le cui attività sono dettagliatamente regolate nel D.M. n. 197 del 1997, devono essere liquidate esclusivamente in base alle previsioni di tale ultimo decreto, il quale, d’altra parte, prevede una disciplina completa ed esaustiva anche in relazione ai compensi spettanti agli istituti stessi (con norme in taluni casi di speciale favore rispetto a quanto previsto per attività analoghe svolte da altri soggetti, dettate per la specialità della posizione di detti istituti).

Questa disciplina completa ed esaustiva non può essere oggetto di una applicazione solo parziale. Non si giustifica quindi l’esclusione di alcune delle disposizioni dalla stessa previste e la loro sostituzione, per alcune attività, con le disposizioni di un regolamento non specificamente dettato per gli istituti di vendite giudiziarie, ma, al contrario, volto a coprire un vuoto normativo, esistente proprio in relazione alla liquidazione dei compensi dovuti nell’ipotesi in cui sia nominato custode dei beni pignorati, in sostituzione del debitore, un soggetto diverso da tali istituti.

2. Con il secondo motivo si denunzia “violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.”.

Il motivo è manifestamente infondato.

Il tribunale ha correttamente applicato il disposto dell’art. 91 c.p.c., secondo il quale la parte soccombente va condannata al rimborso delle spese in favore di quella vittoriosa (cd. principio di soccombenza): non vi è dubbio infatti che l’opposizione della società creditrice procedente avverso il provvedimento di liquidazione delle spettanze dell’istituto vendite giudiziarie sia stata accolta e che sia stata correttamente ritenuta la sostanziale soccombenza di quest’ultimo, nell’ambito di tale giudizio.

Come emerge dalla stessa decisione impugnata (e diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, peraltro privo della necessaria specificità sul punto), la società opponente aveva infatti, in via principale, contestato proprio la genericità e comunque l’erroneità dei parametri posti dall’istituto a base della propria istanza di liquidazione, istanza sostanzialmente accolta dal giudice dell’esecuzione e che l’istituto stesso ha infondatamente chiesto di confermare, in sede di opposizione (e finanche, in parte, nella presente sede); e tale domanda è stata certamente accolta.

D’altronde, la facoltà di disporre la compensazione (anche parziale) delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito (e ciò, del resto, anche in caso di reciproca parziale soccombenza, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2), e questi non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 – 01; conf., in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 851 del 01/03/1977, Rv. 384463 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1898 del 11/02/2002, Rv. 552178 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10861 del 24/07/2002, Rv. 556171 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524 – 01; successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006, Rv. 592581 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 28492 del 22/12/2005, Rv. 585748 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590664 – 01). 3. Con il terzo motivo si denunzia “violazione o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 3”.

Il motivo, diversamente da quanto prospettato dal relatore, è manifestamente fondato.

La condotta processuale tenuta dalla società nel corso del procedimento esecutivo, anteriormente all’instaurazione del presente giudizio, nel richiedere al giudice dell’esecuzione la liquidazione delle proprie competenze, non avrebbe potuto essere direttamente valutata ai fini della condanna di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3, che ha esclusivo riguardo al comportamento tenuto dalla parte nel giudizio le cui spese sono oggetto di liquidazione ai sensi dell’art. 91 c.p.c., e, segnatamente, presuppone un abuso dello strumento processuale, che deve però essersi concretizzato nell’azione proposta o nella resistenza operata nell’ambito del suddetto giudizio.

D’altra parte, la mera circostanza che la società ricorrente abbia resistito all’opposizione proposta dalla controparte, nel presente giudizio e, in particolare, la sua richiesta di applicazione delle disposizioni di cui al D.M. 15 maggio 2009, n. 80, art. 4, ai fini della liquidazione delle proprie competenze, pur destituita di fondamento in diritto, non appare idonea, di per sè, a configurare un vero e proprio abuso dello strumento processuale, nè può considerarsi tale – diversamente da quanto affermato nel provvedimento impugnato la mancata richiesta “anche in sede di domanda subordinata”, della “rideterminazione del compenso secondo i parametri a suo tempo indicati dal G.E.”.

4. Sono rigettati i primi due motivi del ricorso, è accolto il terzo. Per l’effetto, la decisione impugnata è cassata senza rinvio, limitatamente al capo di condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione della parziale reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta i primi due motivi ricorso, accoglie il terzo e, per l’effetto, cassa senza rinvio la decisione impugnata, limitatamente alla condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3;

– dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2020

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