Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9047 del 15/04/2010

Cassazione civile sez. III, 15/04/2010, (ud. 02/03/2010, dep. 15/04/2010), n.9047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 798-2006 proposto da:

F.L. (OMISSIS) titolare dell’omonima ditta

individuale, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO

22, presso lo studio dell’avvocato COLUCCI ANGELO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato VENTURI MARINA giusta delega in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.A. (OMISSIS), G.G. (OMISSIS),

R.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DELLA MERCEDE 52, presso lo studio dell’avvocato MENGHINI MARIO,

che li rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

A.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 38/2005 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, 3^

SEZIONE CIVILE, emessa il 17/12/2004, depositata il 11/01/2005,

R.G.N. 1448/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato ANGELO COLUCCI;

udito l’Avvocato MENGHINI MARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’iter del giudizio può essere così ricostruito sulla base della sentenza impugnata. Con citazione notificata il 14 luglio 1995 G.G., G.A. e R.R. proponevano opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Pretore di Ravenna a istanza di F.L., per il pagamento della somma di L. 18.297.274, oltre accessori, quale residuo importo del corrispettivo dovuto per opere di falegnameria eseguite dall’ingiungente in un immobile di loro proprietà.

Sostenevano gli opponenti che i manufatti erano difettosi, tanto vero che il F. aveva accettato di ridurre il compenso originariamente pattuito a L. 22.000.000. E tuttavia, versata la somma di L. 15.000.000, essi non avevano pagato il residuo, in quanto sulle prestazioni eseguite e sul materiale fornito dal F. erano stati riscontrati ulteriori difetti. Deducevano inoltre che responsabile dei vizi riscontrati era anche A.G., che aveva eseguito le opere murarie, di talchè chiedevano, e ottenevano, l’autorizzazione a chiamarlo in causa. Concludevano per la revoca del decreto ingiuntivo opposto e la condanna del F., in via riconvenzionale, al risarcimento dei danni arrecati col proprio operato. Tali conclusioni venivano da essi successivamente estese all’ A..

Resisteva il F., che contestava l’avversa pretesa, eccependo, in ogni caso, la decadenza per mancata denunzia dei vizi nel termine di cui all’art. 2226 cod. civ..

Con sentenza depositata il 9 novembre 2001 il Tribunale dichiarava inammissibile la chiamata in causa dell’ A., conseguentemente ordinandone l’estromissione dal giudizio. Revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava gli opponenti a pagare al F. la somma di L. 7.000.000, oltre interessi.

Proposto gravame principale dal F. e incidentale da G. A. e G. nonchè da R.R., la Corte d’appello di Bologna, in data 11 gennaio 2005, così provvedeva: revocava l’espromissione dal giudizio di A.G.; revocava il decreto ingiuntivo; condannava G. e G.A. nonchè R. R., in solido tra loro, al pagamento in favore di F. L. della somma di Euro 3.768,73, oltre interessi; condannava F.L. e A.G., in solido tra loro, al pagamento in favore degli appellanti G. e R., a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 3.047,10, oltre rivalutazione e interessi.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione F. L. articolando tre motivi e notificando l’atto a A. G., G.G., G.A., R.R..

Solo questi ultimi hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Col primo motivo l’impugnante deduce insufficienza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, violazione e falsa applicazione dell’art. 2226 cod. civ., ex art. 360 c.p.c., nn. 5 e 3.

Rileva che, secondo la Corte d’appello, la ditta F. aveva espressamente riconosciuto, fin dalla comparsa di risposta, i vizi lamentati dagli opponenti con riferimento a tre scuroni esterni, vizi che il consulente nominato in prime cure aveva individuato in una imperfetta chiusura degli infissi. Sennonchè, posto che l’esperto non aveva riscontrato problemi su tutti i diciassette scuroni realizzati, non era possibile ritenere provata la tempestività della denuncia, non essendo dato sapere se tra gli scuroni ritenuti difettosi dal c.t.u. vi fossero anche quelli per i quali vi era stato riconoscimento del vizio.

1.2 Col secondo motivo il ricorrente denuncia insufficienza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale affermato il diritto degli appellanti di ottenere dal F. una riduzione del prezzo dell’opera in misura corrispondente all’importo della somma, determinata dal c.t.u. in L. 11.000.00, occorrente per la sostituzione di tutti gli scuroni, sostituzione resa necessaria dall’insufficiente spessore del legno impiegato, e tanto in contrasto con quanto poco prima statuito in punto di tempestività della denunzia dei vizi, espressamente limitata a tre scuroni soltanto.

1.3 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondate.

Esse ruotano sulla pretesa limitazione a tre infissi del riconoscimento dei vizi da parte del convenuto. Trattasi tuttavia di assunto che non trova alcun riscontro nella sentenza impugnata. Ivi invero il giudicante, dato atto che l’appellato F. aveva eccepito la decadenza degli opponenti da ogni azione, non avendo essi provato di avere effettuato la denuncia entro otto giorni dalla scoperta, e cioè entro il termine di cui all’art. 2226 c.c., comma 2, ha disatteso l’eccezione, specificamente evidenziando che il convenuto aveva riconosciuto, fin dalla comparsa di costituzione e risposta, la tempestività delle doglianze sollevate dalla controparte, aggiungendo che, in ogni caso, i ripetuti interventi del F. per la sistemazione dei manufatti, si prestavano a essere interpretati come riconoscimento dei vizi, con conseguente esonero del committente dall’onere di dimostrare la tempestività della denuncia.

Non è dunque vero che la scelta operata in dispositivo dal decidente sia in contrasto con la ricostruzione dei fatti dallo stesso accolta.

Nè è vero che, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, il consulente ebbe a limitare ad alcuni opere soltanto i riscontrati difetti esecutivi.

In realtà il riferimento a tre scuroni contenuto a pagina 18 della impugnata sentenza appare frutto di un refuso, perchè le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale e in ordine alla insussistenza dei presupposti per l’operatività della decadenza di cui alla norma codicistica innanzi richiamata, e in ordine alla incidenza dei lamentati vizi, attengono indistintamente a tutti i manufatti esterni, per tutti essendo state riscontrate dal consulente, sulla base di rilievi obiettivi e con logica e adeguata motivazione, dilatazioni e incurvature di sensibile entità con conseguenti problemi di chiusura e di ermeticità, per effetto del ridotto spessore dell’abete impiegato. Ed è significativo che nulla i ricorrenti abbiano opposto a tali puntuali e consequenziali rilievi.

Il primo e il secondo motivo di ricorso devono pertanto essere rigettati.

2.1 Col terzo mezzo l’impugnante lamenta insufficienza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, violazione e falsa applicazione dell’art. 2226 cod. civ., in combinato disposto con l’art. 1668 cod. civ., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la Curia bolognese riconosciuto agli opponenti le restanti spese necessarie alla sistemazione dell’opera, ponendo quindi solidalmente a carico di F.L. e di A.G., ex art. 2055 cod. civ., un ulteriore importo a titolo di risarcimento del danno.

Tale decisione sarebbe errata sotto molteplici aspetti.

Essa violerebbe anzitutto il comb. disp. degli artt. 2226 e 1668 cod. civ. perchè, dopo avere riconosciuto la tempestività della denuncia dei vizi per tre scuroni soltanto, la Corte territoriale aveva liquidato i danni con riferimento a tutti i suddetti manufatti. Sotto altro, concorrente profilo, non avrebbe il decidente considerato che le azioni proponibili nei confronti dell’appaltatore in caso di difetti o difformità dell’opera appaltata condanna all’eliminazione dei vizi a spese dell’appaltatore ovvero riduzione del prezzo, salvo il diritto del committente al risarcimento del danno ove dai difetti dell’opera siano derivati pregiudizi non riparabili in forma specifica e sussista la colpa dell’appaltatore – non sono tra loro surrogabili. Nella fattispecie, invece, il giudice d’appello, dopo avere riconosciuto una riduzione del prezzo pari all’importo ritenuto congruo dall’esperto per la sostituzione di tutti gli scuroni, aveva attribuito altre somme per l’eliminazione dei vizi di quelli esistenti, ponendole solidalmente a carico dei due artigiani coinvolti, falegname e muratore, in conseguenza della mancata individuazione dello specifico grado di colpa addebitabile all’uno e/o all’altro.

2.2 Il collegio ritiene fondate le esposte critiche nei termini che si vanno a precisare.

Sulla base del motivato parere del c.t.u., la Corte territoriale ha individuato la causa della imperfetta chiusura degli infissi in una non corretta esecuzione sia da parte del F., che da parte del muratore A., dei lavori di rispettiva competenza e comunque nella mancanza del necessario coordinamento tra le due attività. Ha evidenziato in proposito che gli inconvenienti lamentati erano dovuti e al ridotto spessore del legno utilizzato; e alla cattiva esecuzione dei vani in muratura, che risultavano fuori squadro, e alla erronea misurazione di tali vani da parte del falegname, misurazione eseguita prima che gli stessi venissero ultimati.

In tale contesto, considerato che era al F. anzitutto imputabile la cattiva scelta del materiale, ha ritenuto di dover porre a carico dello stesso la spesa, quantificata dal c.t.u. in L. 11.000.000, occorrente per la sostituzione di tutti gli scuroni, così operando una corrispondente riduzione del costo dell’opera.

Rilevato poi che il prezzo non poteva essere ulteriormente ridotto per la mancata individuazione, da parte del c.t.u., del rimanente grado di colpa del falegname, concorrente con quella del muratore, ha condannato entrambi gli artigiani in solido al pagamento delle restanti spese necessarie per la definitiva sistemazione dei manufatti.

2.3 Ora, siffatta decisione, mentre è ineccepibile, sul piano logico e giuridico, nella parte in cui addossa a entrambi gli operatori i costi del rifacimento delle parti murarie, dovendo entrambi rispondere di quel difetto di coordinamento dal quale è dipesa la loro cattiva esecuzione, non resiste alle critiche formulate in ricorso laddove ha addossato al F., sia pure in solido con l’ A., il costo del recupero degli scuroni esistenti, pur dopo avere decurtato le spettanze del ricorrente dell’esborso necessario al rifacimento di tutti gli scuroni.

Ne deriva che il terzo motivo di ricorso deve, entro gli esposti limiti, essere accolto. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al motivo accolto. Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 2, con la riduzione a Euro 1.187,86 (Euro 3.047,10 – Euro 1859,24) della somma al cui pagamento, in favore di G.G., G.A. e R.R. sono tenuti in solido F.L. e A.G., oltre rivalutazione e interessi nella misura e con la decorrenza riconosciute nella sentenza impugnata.

L’esito complessivo della lite consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso. Accoglie il terzo.

Cassa in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, riduce la somma al cui pagamento in favore di G.G., G.A. e R.R. sono tenuti in solido F.L. e A. G., a Euro 1.187,86. Compensa integralmente tra tutte le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2010

 

 

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