Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9045 del 15/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/05/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 15/05/2020), n.9045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24318-2017 proposto da:

C.R., P.P., domiciliati in ROMA presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentati e difesi

dall’avvocato FRANCESCO IUDICE giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

REGIONE PUGLIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1077/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 19/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dai ricorrenti.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

I ricorrenti proponevano opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione del 12 febbraio 2014 con la quale era stato loro ingiunto il pagamento della sanzione di Euro 138.928,00, quali proprietari dell’uliveto di cui al foglio (OMISSIS), p.lle (OMISSIS) in località (OMISSIS) del comune di Mola di Bari, per la violazione della L.R. n. 14 del 2007, art. 10, comma 1, e successive modifiche, per effetto del verbale di accertamento n. (OMISSIS) del Corpo Forestale dello Stato, ed in conseguenza dell’avvenuto espianto di 23 alberi di ulivo secolari con caratteri di monumentalità, in assenza di autorizzazione.

Nella resistenza della Regione Puglia, il Tribunale rigettava l’opposizione e la Corte d’Appello di Bari con la sentenza n. 1077 del 19/4/2017 ha rigettato l’appello proposto dagli opponenti.

Quanto all’inapplicabilità al caso di specie della previsione di cui alla L.R. n. 14 del 2007, art. 10, comma 1, che contempla il divieto di espianto e danneggiamento di ulivi inseriti nell’elenco regionale di cui alla medesima legge, rilevava che, sebbene gli ulivi espiantati non risultassero effettivamente inclusi nell’elenco in questione, tuttavia poteva farsi applicazione della diversa previsione di cui alla stessa legge, art. 15, che, per il periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore della legge e quella di pubblicazione dell’elenco, e comunque per non più di tre anni, prevede come illecito il danneggiamento e l’espianto degli ulivi di cui all’art. 2, norma che definisce le caratteristiche di monumentalità di tali piante.

La successiva L.R. n. 5 del 2010, art. 18, ha poi prorogato tale regime transitorio sino al 31/12/2011, sicchè risalendo la condotta sanzionata ad epoca anteriore a tale ultima data, ben poteva farsi applicazione della norma de qua senza che spieghi efficacia l’erroneo riferimento della norma violata nel verbale di accertamento.

Quanto alla contestazione della tardività della contestazione, i giudici di appello osservavano che in realtà dal verbale si evinceva che gli accertatori avevano compiuto dei sopralluoghi in data anteriore al 3/10/2011, che solo in tale giorno avevano effettivamente accertato l’espianto degli ulivi, precisandosi che non era stato possibile procedere alla contestazione immediata ai proprietari del terreno in quanto occorrevano degli accertamenti per verificare e classificare le piante espiantate, sicchè gli accertatori si erano avvalsi della previsione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 14, che consente la notifica della violazione nei novanta giorni.

Inoltre si trattava di una giustificazione che non si palesava come pretestuosa.

In merito alla valenza del verbale di accertamento, i giudici di appello ritenevano che effettivamente quanto documentato dal verbale in merito agli accertamenti compiuti dal personale del Corpo Forestale aveva efficacia probatoria privilegiata, essendo contestabile solo con la proposizione della querela di falso, palesandosi in ogni caso inidonee a provare il contrario le richieste istruttorie formulate sul punto dagli appellanti.

Quanto al merito, si osservava che la giustificazione degli opponenti, secondo cui si erano limitati solo a rimuovere dei monconi e delle ceppaie carbonizzate a seguito di incendi verificatisi nel terreno a causa dell’incuria in cui versava prima del loro acquisto, non era idonea ad escludere l’esistenza dell’illecito, atteso che è possibile rimuovere piante di ulivo, previa autorizzazione, solo quando ne sia stata accertata la morte fisiologica ovvero l’improduttività.

Ciò non era avvenuto nel caso in esame, tenuto conto anche della circostanza che gli attori erano consapevoli dell’iter procedimentale da seguire per la rimozione delle piante, come attestato dal fatto che in precedenza avevano presentato un’istanza per rimuovere 35 piante di ulivo, al fine di impiantare un vigneto di uva da tavola, ricevendo però un parere sfavorevole.

Era altresì rigettato il motivo concernente la pretesa assenza di colpa in capo agli opponenti, che non erano proprietari del terreno al momento in cui si erano verificati gli incendi che avevano distrutto le piante, e ciò sia perchè alcuni incendi erano scoppiati anche in epoca successiva al loro acquisto, sia perchè la condotta sanzionata, consistente nell’espianto non autorizzato, era avvenuta quando erano già divenuti proprietari.

Infine, in ordine al quantum della sanzione, la sentenza di seconde cure osservava che tutte le 23 piante avevano carattere di monumentalità, e che era stata applicata la sanzione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 16, pari al doppio del minimo edittale della sanzione di cui alla L.R. n. 14 del 2007, art. 17, che è quindi più favorevole di quella che sarebbe stata irrogata facendo semplice applicazione dell’art. 17.

Avverso tale sentenza propongono ricorso C.R. e P.P. sulla base di tre motivi.

La Regione Puglia non ha svolto difese in questa fase.

Il primo motivo di ricorso, articolato in più punti, denuncia plurime violazioni di legge.

In primo luogo si contesta l’inapplicabilità alla fattispecie della norma contestata, e precisamente della L.R. n. 14 del 2007, art. 10, comma 1, con la conseguente inapplicabilità della sanzione.

Infatti, l’art. 10 in esame prevede che sia sanzionato l’abbattimento, il danneggiamento o l’espianto di piante di ulivo inserite nell’elenco regionale di cui all’art. 5. Tuttavia all’epoca dei fatti tale elenco non era stato ancora compilato e pubblicato, con la conseguenza che era escluso che le piante di cui è stato contestato l’abbattimento facessero parte del medesimo.

I giudici di appello hanno però ritenuto che la condotta ascritta ai ricorrenti potesse comunque essere ricondotta alla previsione di cui alla L.R., art. 15, che prevede un regime transitorio, prorogato sino al 31/12/2011, sanzionando l’abbattimento e la rimozione delle piante che sono in possesso dei requisiti di monumentalità di cui alla L., art. 2.

Ne deriva quindi che la sanzione è illegittima in quanto fondata su di una norma diversa da quella invece contestata.

La censura è infondata.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 9790/2011) in tema di sanzioni amministrative, sussiste la violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e fatto assunto a base della sanzione irrogata, previsto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, tutte le volte in cui la sanzione venga irrogata per una fattispecie, individuata nei suoi elementi costitutivi e nelle circostanze rilevanti delineate dalla norma, che sia diversa da quella attribuita al trasgressore in sede di contestazione, posto che in tali casi viene leso il diritto di difesa del trasgressore medesimo; la relativa indagine rientra tra i compiti del giudice di merito, le cui conclusioni sono insindacabili in sede di legittimità, ove adeguatamente motivate (conf. Cass. n. 18883/2017; Cass. n. 10145/2006). Nel caso di specie i fatti materiali oggetto di contestazione sono sempre rimasti gli stessi, avendo i giudici di appello semplicemente individuato la norma (peraltro prevedente una sanzione del tutto identica a quella prevista per la norma inizialmente contestata, attesa la riferibilità della L.R., art. 17, alle violazioni sia dell’art. 10 che dell’art. 15) in concreto applicabile alla fattispecie, ed essendosi dato atto nel verbale che si era poi proceduto ad accertamenti per quantificare e classificare le piante espiantate, al fine di riscontrare le caratteristiche della monumentalità (cfr. pag. 4 e 5 della sentenza impugnata).

Appare pertanto applicabile alla fattispecie l’altrettanto pacifico orientamento per cui (cfr. Cass. n. 6638/2007) in tema di sanzioni amministrative, il mutamento dei termini della contestazione rispetto all’originario verbale di accertamento della violazione non è causa di illegittimità del provvedimento sanzionatorio qualora riguardi, come nella specie, soltanto la qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’accertamento, sulla base della quale l’ente irrogatore della sanzione ritenga di passare dalla contestazione di un illecito ad un altro, purchè non sia posto a fondamento del rettificato addebito alcun fatto nuovo; in questa ipotesi non si verifica alcuna violazione del diritto di difesa, mantenendo il trasgressore la possibilità di contestare l’addebito in relazione all’unico fatto materiale accertato nel rispetto delle garanzie del contraddittorio (conf. Cass. n. 4725/2016).

L’identità dei fatti contestati non può seriamente essere posta in discussione nè la diversa qualificazione ha obiettivamente inciso sul diritto di difesa, atteso che essendo ben identificati i fatti materiali sottoposti a sanzione, erano ben delineate anche le necessarie contestazioni da muovere avverso l’accertamento compiuto.

Il secondo punto del motivo denuncia la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, per la tardiva contestazione dell’illecito, con la conseguente estinzione della sanzione pecuniaria, lamentandosi altresì che non vi erano i presupposti per non procedere a contestazione immediata dell’illecito.

Anche tale censura va disattesa.

Costituisce orientamento di questa Corte quello secondo cui (cfr. Cass. n. 26734/2011) il termine di legge previsto per la contestazione degli illeciti amministrativi decorre, qualora non vi sia stata la contestazione immediata dell’infrazione, dalla data in cui l’autorità amministrativa ha completato l’attività intesa a verificare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi della violazione, competendo al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per accertamento, in relazione alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato (conf. ex multis Cass. n. 18574/2014; Cass. n. 9311/2007; Cass. n. 7681/2014).

Nel caso in esame, i giudici di merito, con evidente apprezzamento in fatto, hanno evidenziato che, sebbene vi fossero stati dei precedenti sopralluoghi, solo in data 3 ottobre 2011 era stato possibile verificare l’espianto degli alberi e che, al fine di riscontrare se effettivamente l’espianto rientrasse nel novero delle condotte sanzionate era stato necessario compiere ulteriori accertamenti, palesandosi quindi come tempestiva la redazione del verbale di contestazione in data 17 novembre 2011 e la sua successiva notificazione in data 3/12/2011.

Del pari oggetto di un accertamento in fatto insuscettibile di sindacato in questa sede è il riscontro dell’impossibilità di procedere a contestazione immediata, e ciò proprio alla luce dell’esigenza di compiere quegli ulteriori accertamenti per la quantificazione e classificazione delle piante espiantate (si veda peraltro Cass. n. 27508/2009, secondo cui in tema di sanzioni amministrative non attinenti alla circolazione stradale, la mancata contestazione immediata della sanzione, anche quando ne sussista la possibilità, non costituisce causa di estinzione dell’obbligazione di pagamento della sanzione e non invalida perciò la pretesa punitiva dell’autorità amministrativa, quando si sia comunque proceduto, nel termine prescritto, alla notificazione del verbale di accertamento della violazione; conf. Cass. n. 6097/2001).

Il terzo punto del primo motivo contesta la validità e l’efficacia del verbale di contestazione e la necessità di contestarne la valenza probatoria solo con la querela di falso, come invece affermato in sentenza.

La censura è fondata nei limiti di cui in motivazione.

Si assume che quanto riportato nel verbale non avrebbe l’efficacia probatoria privilegiata dell’atto pubblico, sostenendosi che in realtà nello stesso sarebbero riportate valutazioni unilaterali e discrezionali dei verbalizzanti, suscettibili di contestazione anche a mezzo di prova testimoniale ovvero di consulenza tecnica d’ufficio.

Rileva il Collegio che ai sensi della norma in relazione alla quale è stata poi effettuata la contestazione, in assenza dell’adozione dell’elenco degli ulivi con carattere monumentale di cui all’art. 10, la condotta dei ricorrenti rientrasse nella previsione di cui all’art. 15, che in via provvisoria sanziona l’abbattimento e la rimozione delle piante che sono in possesso dei requisiti di monumentalità di cui alla L.R. Puglia n. 14 del 2007, art. 2.

L’art. 2 in particolare prevede che il carattere di monumentalità possa essere attribuito quando la pianta d’ulivo possegga un’età plurisecolare deducibile alternativamente dalle dimensioni del tronco della pianta con diametro uguale o superiore a centimetri 100, misurato all’altezza di centimetri 130 dal suolo (con la specificazione che nel caso di alberi con tronco frammentato il diametro è quello complessivo ottenuto ricostruendo la forma teorica del tronco intero), ovvero sia accertato con valore storico – antropologico per citazione o rappresentazione in documenti o rappresentazioni iconiche storiche.

Il comma 2 aggiunge poi che può prescindersi da suddetti caratteri quando il diametro sia compreso tra i 70 ed i 100 centimetri, ricostruendo nel caso di tronco frammentato la forma teorica del tronco intero nei seguenti casi:

a) Forma scultorea del tronco (forma spiralata, alveolare, cavata, portamento a bandiera, presenza di formazioni mammellonari);

b) riconosciuto valore simbolico attribuito da una comunità;

c) localizzazione in adiacenza a beni di interesse storico-artistico architettonico, archeologico riconosciuti ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004.

Nel caso in esame, come si rieva dal processo verbale di contestazione, dei ventitrè ulivi dei quali è stato contestato l’espianto non autorizzato, per dieci risultavano soddisfatte le condizioni dimensionali per l’attribuzione del carattere di monumentalità ai sensi del comma 1 (attesa l’esistenza di un diametro superiore a 100 cm.), mentre per le restanti tredici piante che avevano un diametro inferiore alle dimensioni minime legali, si è attribuito il carattere di monumentalità ad opera dei verbalizzanti tenuto conto delle forme scultoree del tronco ai sensi del citato art. 2, comma 2, lett. a).

Orbene, reputa il Collegio che mentre la verifica delle dimensioni del tronco e l’attribuzione del carattere di monumentalità legato a tale dato oggettivo faccia sì che il processo verbale in parte qua non sia contestabile se non con querela di falso, occorrendo a tal fine contrastare un dato oggettivo caduto sotto la diretta percezione sensoriale dei verbalizzanti, in relazione invece all’attribuzione del carattere della monumentalità legato alle peculiari forme del tronco, il verbale sia espressivo di un’attività valutativa da parte dei verbalizzanti e che non possa essere del pari ricoperto dell’efficacia di prova legale privilegiata, contestabile sino a querela di falso.

Ne consegue che l’assolutezza dell’affermazione del giudice di appello, secondo cui non vi era spazio per le richieste istruttorie della parte opponente volte a contrastare la valenza probatoria del processo verbale, essendo invece necessario far ricorso alla querela di falso, non tiene conto della differenza tra le attività di accertamento in concreto compiute, conservando efficacia solo in relazione alla verifica delle caratteristiche dimensionali delle piante, ma non anche in relazione all’attività valutativa in ordine alla conformazione e foggia del tronco, dal quale far discendere il connotato della monumentalità.

In tali limiti il motivo deve quindi essere accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Il secondo motivo lamenta invece l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto non si sarebbe considerato che in realtà il fondo su cui esistevano le piante di ulivo era stato interessato da incendi ancor prima che i ricorrenti ne divenissero acquirenti, sicchè gli stessi si erano limitati a rimuovere dei monconi di piante già carbonizzate. Si assume quindi che era necessario compiere approfondimenti istruttori anche al fine di verificare le caratteristiche di monumentalità delle piante eliminate.

Il motivo è evidentemente infondato.

L’incidenza sulle piante di incendi scoppiati in epoca anteriore all’acquisto dell’uliveto da parte dei ricorrenti costituisce in realtà circostanza espressamente esaminata dalla sentenza impugnata, la quale ha evidenziato come la consapevolezza della necessità di munirsi di autorizzazione anche per rimuovere piante improduttive fosse presente nei ricorrenti, che in data 20/9/2011 (e quindi ben oltre la data del loro acquisto risalente al mese di giugno dello stesso anno) avevano chiesto apposita autorizzazione, ricevendo però parere sfavorevole. In tal senso si è correttamente evidenziato che l’autorizzazione era necessaria anche per eliminare piante la cui vita fisiologica era cessata, e che quindi non rilevava il fatto che l’evento che ne aveva provocato la morte fosse anteriore o meno alla data dell’acquisto degli opponenti.

Il terzo motivo infine lamenta l’erronea ed ingiusta determinazione della sanzione, sul presupposto che erroneamente si sarebbero ritenute come monumentali tutte e 23 le piante di ulivo espiantate, ma lo stesso è assorbito per effetto del parziale accoglimento del primo motivo.

Il giudice del rinvio che si designa in una diversa sezione della Corte d’Appello di Bari, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo nei limiti di cui in motivazione, e rigettato il secondo motivo e dichiarato assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bari.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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