Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9043 del 20/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 20/04/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 20/04/2011), n.9043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.R.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TARVISIO 1,

presso lo studio dell’avvocato BARBIERI FRANCESCO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MACCARONE FRANCESCO SALVATORE, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati DE ROSE

EMANUELE, TADRIS PATRIZIA, FABIANI GIUSEPPE, giusta delega in atti;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 397/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 12/03/2007 R.G.N. 1694/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato TRIOLO VINCENZO per delega TADRIS PATRIZIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La sentenza di cui si chiede la cassazione rigetta l’appello proposto da L.R.R. nei confronti dell’INPS, avverso la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia 21 novembre-29 gennaio 2002, di rigetto del ricorso della stessa L.R. volto ad ottenere il riconoscimento del diritto all’indennità di maternità per l’astensione obbligatoria e facoltativa dal lavoro in relazione al parto del 24 ottobre 1995 (recte: 24 ottobre 1992).

Secondo la Corte d’appello, come ritenuto dal Tribunale, le risultanze dell’ispezione eseguita dall’INPS e delle generiche e lacunose prove testimoniali espletate portano ad escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la ricorrente e A.D. per l’anno 1991 e tra la ricorrente e il padre L.R.D. per il 1992.

D’altra parte, la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia 18 aprile-9 luglio 2001, con la quale è stata riconosciuta alla ricorrente stessa l’indennità di disoccupazione agricola per l’anno 1992, sul presupposto dello svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del padre nell’anno 1992, non ha alcun effetto di giudicato rispetto all’attuale controversia, “essendovi in essa un accertamento solo incidentale della natura del rapporto di lavoro” (vedi: Cass. n. 2038 del 1996).

Il ricorso di L.R.R. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; l’INPS è rimasto intimato, ma il difensore, munito di procura speciale, ha partecipato alla discussione orale chiedendo il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia – ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, – omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 2697 cod. civ..

La ricorrente sostiene che la Corte d’appello di Catanzaro non ha valutato l’attività istruttoria espletata in primo grado, in particolare non ha considerato la deposizione del teste A. P. in merito allo rapporto di lavoro dalla stessa ricorrente svolto alle dipendenze del padre L.R.D. nell’anno 1991.

Conseguentemente, la Corte avrebbe ricostruito i fatti, relativamente all’anno 1991, in modo inesatto e non corrispondente alla certificazione del Ministero del lavoro allegata agli atti del processo, cioè ritenendo che in quell’anno la L.R. abbia lavorato alle dipendenze di un unico datore di lavoro ( A. D.) per 102 giornate e omettendo di considerare che, invece, la ricorrente aveva sostenuto di aver lavorato, nel 1991, con l’ A. per 51 giornate e per altre 51 giornate alle dipendenze del padre, L.R.D..

1.2.- I motivo non è fondato.

Osserva il Collegio che trattasi di motivo che involge la valutazione di specifiche questioni di (alto, atteso che è incentrato sulla prospettazione da parte della ricorrente di una interpretazione delle risultanze processuali diversa da quella data dal giudice di appello e più favorevole alle proprie aspettative.

1.3.- In proposito va in primo luogo, ricordato che il ricorso per cassazione – in ragione del principio di cosiddetta “‘autosufficienza” – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Ne consegue che nell’ipotesi in cui, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l’incongruità, l’illogicità, l’insufficienza o contraddittorietà della sentenza impugnata per l’asserita mancala valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti, di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti (Cass. 28 luglio 2004 n. 14262; Cass. 20 gennaio 2006 n. 1113; Cass. 24 maggio 2006.

n. 12362; Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 27 febbraio 2009. n. 4849; Cass. 30 luglio 2010, n. 17915).

Nel caso di specie ciò non è avvenuto.

In ordine alla contestata nonchè asseritamente lacunosa ed erronea valutazione delle prove la ricorrente non ha indicato in modo adeguato e specifico, nè ha riprodotto per intero il contenuto di tutte le diverse prove espletate cui si riferisce la censura, limitandosi alla frammentaria citazione del contenuto di una sola prova testimoniale, cui peraltro la sentenza impugnata non fa riferimento.

In questo senso non è stato rispettato il principio di autosufficienza del ricorso, impedendo quel controllo che alla Corte è consentito sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative.

1.4.- D’altra parte, si deve anche sottolineare che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare. per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni. Nè tale regola subisce eccezioni nel rito del lavoro (vedi per tutte: Cass. 15 luglio 2009. n. 16499; Cass. 11 gennaio 2011 n. 313).

Conseguentemente, il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice de merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione (ex plurimis: Cass. 27 aprile 2005, n. 8718; Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; Cass. 22 marzo 2007, n. 7065; Cass. 9 agosto 2007. n. 17477; Cass. 11 gennaio 2011, n. 313 cit).

Sicchè, sinteticamente, può dirsi che l’unico limite che incontra il giudice del merito. nel l’adottare le proprie statuizioni sulla valutazione delle diverse risultanze probatorie (come tale, comportante apprezzamenti di fatto riservatigli) è quello di indicare le ragioni del proprio convincimento. D’altra parte, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, in sede di legittimità, non può essere effettuata una revisione del “ragionamento decisorio”‘ che ha condotto il giudice del merito ad adottare una determinata soluzione della questione esaminata, ma può soltanto essere operato un controllo, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, dell’esame e della valutazione delle risultanze processuali compiuti dal giudice del merito e riportati nella sentenza (vedi per tutte: Cass. 8 marzo 2007, n. 5328: Cass. 21 luglio 2010, n. 17097).

Orbene, nel caso di specie la Corte d’appello di Catanzaro, nel ritenere fittizio il rapporto dichiarato per Fanno 1991. non solo ha posto in rilievo che vi erano evidenti contraddizioni tra le dichiarazioni del presunto datore di lavoro A.D. e il contenuto della certificazione del Ministero del lavoro (sia con riferimento alla durata del rapporto sia con riguardo alla retribuzione corrisposta), ma ha, altresì, evidenziato l’assenza di altre prove in merito al “lavoro presuntivamente prestato dalla ricorrente nell’anno 1991”, facendo, con tale locuzione, generico riferimento a tutto il lavoro eventualmente svolto in quell’anno dalla L.R. (in ipotesi anche alle dipendenze di diversi datori di lavoro).

Tale conclusione, oltre ad essere corretta sul piano logico, è altresì conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui, in linea generale, per superare la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative rese in ambito familiare (che trova la sua fonte nella circostanza che tali prestazioni vengono normalmente rese affectionis vel benevolentiae causae) è necessario che la parte che faccia valere in giudizio diritti derivanti da tali rapporti offra una prova rigorosa degli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato e, in particolar modo, dei requisiti indefettibili della subordinazione e della onerosità (Cass. 19 maggio 2003, n. 7845). In particolare. con riferimento all’attività lavorativa prestata in agricoltura in favore di parenti o affini (nel quadro di colture tradizionali e di piccole proprietà) la mera prestazione di attività lavorativa non è sufficiente a far configurare un rapporto di lavoro subordinato, essendo invece necessaria una specifica prova della subordinazione e della onerosità delle prestazioni, che può essere fornita anche al di fuori degli clementi sintomatici più tipici della subordinazione, purchè risulti un nesso di corrispettività tra la prestazione lavorative e quella retribuiva, entrambe caratterizzate dall’obbligatorietà, e la prestazione lavorativa sia soggetta a direttive e controlli, pur se in un eventuale quadro caratterizzato da maggiore elasticità di orari (Cass. 23 gennaio 2004, n. 1218).

Ne consegue che, avendo la Corte d’appello illustrato le ragioni poste a base del proprio convincimento, esplicitando l’iter motivazionale che ha condotto alla scelta e alla valutazione delle risultanze probatorie su cui si è fondata la relativa decisione, per le suddette ragioni, è da escludere che possa dirsi sussistente il vizio denunciato, non potendo trovare ingresso, in questa sede, una istanza di riesame della valutazione effettuata dal giudice di appello, fondata su una tesi contrapposta al convincimento da questi espresso (Cass. 28 gennaio 2008, n. 1759; Cass. 10 gennaio 2011, n. 313 cit.).

2.1.- Con il secondo, articolato, motivo si denunciano a) violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2909 cod. civ., al D.Lgt. n. 212 del 1946, artt. 3 e 4, alla L. n. 1204 del 1971, art. 15 (ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3); b) insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’efficacia di sentenza passata in giudicato (art. 2909 cod. civ.), nonchè in relazione all’art. 2697 cod. civ. (ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5).

In particolare, si rileva che la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare, sulla base della sentenza del Tribunale di Vibo Valentia n. 758 del 2001 passata in giudicato, l’esistenza e l’effettività del rapporto di lavoro della L.R. per l’anno 1992, con conseguente accoglimento della domanda relativa all’indennità di maternità per il periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per un parto del 24 ottobre 1992 (e non del 24 ottobre 1995, come indicato, per errore, nella sentenza impugnata).

Per superare la presunzione di legittimità dell’atto di iscrizione della lavoratrice negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli subordinati per il prescritto periodo l’INPS ha prodotto rapporti ispettivi e la L.R., da parte sua, ha prodotto la suddetta sentenza del Tribunale di Vibo Valentia, con la quale le è stato riconosciuto il diritto a percepire l’indennità di disoccupazione agricola per l’anno 1992.

Entrambe le prestazioni (indennità di disoccupazione agricola e indennità di maternità) presuppongono l’iscrizione negli elenchi nominativi, che si ottiene con l’effettuazione di almeno 51 giornate annue di lavoro dipendente.

Conseguentemente, la attuale domanda non avrebbe potuto non essere accolta visto che l’esistenza di un giudicato formatosi tra le stesse parti avrebbe dovuto precludere ogni valutazione sui fatti costitutivi già in precedenza valutati. Viceversa, nella sentenza impugnata, è stato disposto il rigetto della domanda sul rilievo secondo cui la sentenza con la quale è stato riconosciuto il diritto della ricorrente a percepire l’indennità di disoccupazione agricola per l’anno 1992 non ha effetto di giudicato nella presente controversia perchè contiene un accertamento solo incidentale del rapporto di lavoro.

2.2 – Anche tale motivo non è fondato.

Per orientamenti consolidati di questa Corte che il Collegio condivide, in linea generale. l’autorità del giudicato sostanziale opera solo entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione, e presuppone che tra la causa precedente e quella in atto vi sia identità di soggetti, oltre che di petitum e causa petendi; l’accertamento del contenuto sostanziale e dell’effetto preclusivo che il giudicato può spiegare in un successivo giudizio, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. 15 luglio 2002, n. 10252; Cass. 19 luglio 2005, n. 15222).

Conseguentemente, è da escludere che la sentenza concernente il riconoscimento del diritto dell’assicurata a beneficiare dell’indennità di disoccupazione agricola possa spiegare effetti di giudicato nel giudizio relativo all’indennità per astensione obbligatoria per maternità. Infatti, tra l’assicurazione contro la disoccupazione e la tutela previdenziale della maternità non è configurabile un unitario rapporto fondamentale, date le differenze esistenti sia per l’oggetto sia per la disciplina: diversi essendo i requisiti contributivi e anche il termine di prescrizione, decennale in un caso, annuale nell’altro (Cass. 10 febbraio 2006, n. 2897;

Cass. 30 gennaio 2006. n. 2027; Cass. 9 aprile 2001, n. 5235).

3.- In sintesi, il ricorso va respinto.

Nulla sulle spese, ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo anteriore alla sostituzione disposta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326 (avente decorrenza: 2 ottobre 2003) applicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2011

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