Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9043 del 15/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/05/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 15/05/2020), n.9043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26298-2018 proposto da:

T.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ETTORE

ROLLI 24, presso lo studio dell’avvocato ARTURO SFORZA,

rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA CALVANI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 610/10/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della PUGLIA, depositata il 23/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 29/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPOZZI

RAFFAELE.

Fatto

RILEVATO

che il contribuente T.F. propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR della Puglia, di rigetto dell’appello da lui proposto avverso la sentenza della CTP di Bari, che aveva respinto il suo ricorso avverso il silenzio rifiuto serbato dall’ufficio in merito ad una sua istanza di rimborso di somme da lui versate per ritenute alla fonte IRPEF e relative addizionali, effettuate dall’INAIL sulle indennità per malattia corrispostegli nel 2013.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a tre motivi;

che l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso; che il contribuente ha altresì presentato memoria difensiva; che, con il primo motivo di ricorso, il contribuente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 e art. 11, comma 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1 bis, e della L. n. 125 del 2015, art. 4 bis, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto l’atto di costituzione dell’ufficio sarebbe stato sottoscritto da soggetto non munito della rappresentanza legale dell’ufficio periferico, essendo stato tale atto sottoscritto con le parole “il capo team F. M. A. A.”, con la specificazione “su delega del direttore provinciale”; la formula non dava la certezza che il sottoscrittore dell’atto fosse legittimato ad agire con la delega di firma del direttore provinciale, in carenza dei documenti attestanti l’esistenza della delega di firma conferita al delegato da parte del capo ufficio nel rispetto dei criteri oggettivi e trasparenti, di cui alla L. n. 125 del 2015, art. 4 bis, comma 2, e con i requisiti di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1 bis, quali: le ragioni della delega di firma; il termine di validità; l’importo minimo e massimo delle controversie ed il nominativo del soggetto delegato; nella specie, al contrario, non sussisteva alcuna delega di firma con riferimento alla sottoscrizione della costituzione in giudizio; e detta delega scritta doveva sussistere al momento della redazione delle controdeduzioni, nel termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, con conseguente inefficacia giuridica esterna degli atti, siccome inseriti nel fascicolo il 5 agosto 2016; che il motivo di ricorso in esame è infondato, atteso che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 11013 del 2019; Cass. n. 8814 del 2019), nel caso di delega di firma, conferita, nella specie, dal titolare dell’ufficio al dipendente che ha sottoscritto l’atto di costituzione in giudizio, quest’ultimo dipendente non esercita alcun potere o competenza riservata al delegante, rientrando la delega nell’ambito dei poteri di ordine, direzione, coordinamento e controllo che competono al dirigente preposto all’ufficio, si che, in caso di contestazione della sottoscrizione dell’atto di costituzione in giudizio, non è richiesta alcuna indicazione nominativa della delega, ovvero la relativa determinazione temporale, apparendo conforme alle esigenze del buon andamento e legalità della pubblica amministrazione ritenere che, nell’ambito dell’organizzazione interna di un ufficio, l’attuazione della delega di firma può ben avvenire attraverso la mera emanazione di ordini di servizio, che hanno essi stessi valore di delega e con i quali il soggetto delegato ben può essere individuato attraverso l’indicazione della qualifica rivestita, che consente la successiva verifica della corrispondenza fra il sottoscrittore ed il soggetto destinatario della delega medesima;

che, con il secondo motivo di ricorso, il contribuente lamenta violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1918 del 1937, art. 24, convertito con modificazioni nella L. n. 831 del 1938, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la norma da ultimo citata riconosceva ai lavoratori marittimi, al cui novero egli apparteneva, in caso di malattia, oltre all’assistenza medico-chirurgica gratuita, anche un’indennità giornaliera pari al 75 % del salario effettivamente goduto dall’assicurato alla data dell’annotazione di sbarco sul ruolo fino alla guarigione clinica; e il medesimo testo di legge, art. 24, comma 2, esentava dette indennità dall’imposta di ricchezza mobile; secondo la CTR detta esenzione era da ritenere abrogata fin dal 1 gennaio 1974, per effetto dell’abrogazione dell’imposta di ricchezza mobile disposta dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 82; e la successiva esclusione, dal novero dei provvedimenti soppressi, di quelli contenuti nel citato R.D.L. n. 1918 del 1937, era da ritenere riferita solo alle norme del citato R.D.L. vigenti al dicembre 2008, e non certo alla norma di cui all’art. 24, comma 2, per essere la medesima stata già espressamente abrogata fin dal gennaio 1974; al contrario la ricchezza mobile e l’imposta IRPEF erano imposte identiche e la L. delega n. 246 del 2005 si era limitata a delegare il governo ad individuare le disposizioni legislative pubblicate prima del 1 gennaio 1970 da ritenere ancora in vigore ed a procedere all’abrogazione di quelle ritenute implicitamente o tacitamente abrogate; inoltre la circostanza che la disciplina dell’assicurazione contro le malattie della gente di mare, di cui alla L. n. 831 del 1938, inclusa dal D.L. n. 200 del 2008 nell’elenco di quelle oggetto di abrogazione e successivamente espunta da tale elenco con la L. di conversione n. 9 del 2009, significava che la disposizione agevolativa fosse stata reintrodotta nel nostro ordinamento; inoltre l’indennità di malattia in esame non poteva essere considerata come un reddito da lavoro dipendente, assoggettabile all’IRPEF, avendo essa natura risarcitoria, siccome corrisposta in via eventuale od occasionale, in presenza di un’invalidità temporanea assoluta, tale da impedire la prestazione lavorativa; pertanto la sua liquidazione non era collegabile al rapporto di lavoro dipendente;

che anche detto motivo di ricorso è infondato;

che, invero, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 18022 del 2016; Cass. n. 22781 del 2017) è ferma nel ritenere che, in materia d’imposta sui redditi, con l’abrogazione dell’imposta di ricchezza mobile, disposta dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 82, è venuta meno l’esenzione dall’imposta di ricchezza mobile dell’indennità per inabilità temporanea assoluta al lavoro corrisposta alla “gente di mare”, esenzione prevista dal R.D.L. n. 1918 del 1937, art. 24, comma 2, sopra citato; e detta indennità è soggetta a tassazione IRPEF, in quanto strettamente ed indissolubilmente collegata al rapporto di lavoro, si da essere necessariamente ricompresa nella fattispecie di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2;

che, con il terzo motivo di ricorso, il contribuente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, che aveva formato oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; invero una legge di abrogazione generale non poteva abrogare una legge speciale anteriore, a meno che non fosse chiara la volontà del legislatore di abrogare la legge speciale anteriore; e la norma di cui al R.D.L. n. 1918 del 1937, art. 24, comma 2, era una norma speciale, come tale destinata a sopravvivere; la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sussisteva per non avere la CTR preso in esame tale sua doglianza, relativa alla mancata applicazione di detto principio di diritto;

che il motivo di ricorso in esame è inammissibile, atteso che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014), il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, che ha aggiunto l’art. 348 ter c.p.c., si applica anche ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pronunciate dalle CTR; a tali ultimi ricorsi è, in particolare, applicabile la norma introdotta dall’ultimo comma del citato art. 348 ter c.p.c., secondo la quale la proponibilità del ricorso per cassazione è ammessa esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), qualora l’impugnazione sia proposta avverso una sentenza di appello che confermi la decisione di primo grado per le medesime ragioni, inerenti a questioni di fatto poste a base della decisione appellata;

che, nella specie in esame, sia la CTP di Bari, sia la CTR della Puglia hanno concordemente ritenuto che la norma agevolativa contenuta nel R.D.L. n. 1918 del 1937, art. 24, comma 2, fosse da ritenere abrogata per effetto dell’abrogazione dell’imposta di ricchezza mobile, disposta dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 82;

che, pertanto, il ricorso in esame va respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, quantificate come in dispositivo;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del contribuente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, quantificate in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del contribuente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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