Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9041 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 31/03/2021), n.9041

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

S.M., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv.

Claudio Paolone ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in

(OMISSIS);

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno ((OMISSIS)), rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato nei suoi uffici

di Roma, via dei Portoghesi 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli, depositata il

05/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/11/2020 dal Consigliere ANDRONIO Alessandro M..

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Napoli ha confermato l’ordinanza del Tribunale di Napoli, con cui era stato rigettato il ricorso proposto dall’interessato avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Avverso la sentenza l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo: 1) l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione ai requisiti per la protezione sussidiaria, per la mancata considerazione della vicenda persecutoria personale narrata dal richiedente, essendosi i giudici di merito limitati a ritenere non credibili le sue affermazioni circa la persecuzione da lui subita ad opera di sette religiose nel paese di origine e la persecuzione subita in Libia, paese di transito; 2) la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la mancata considerazione della vulnerabilità del ricorrente ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria; 3) l’omessa valutazione della situazione del paese di origine, nonchè della condizione personale del richiedente, sotto il profilo della vulnerabilità e dell’integrazione in Italia, con documentazione relativa alla situazione lavorativa, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

3. L’amministrazione intimata si è costituita al solo scopo di partecipare all’eventuale discussione della causa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. Con il primo motivo di doglianza si ribadisce, in sostanza, quanto già affermato di fronte aì giudici di merito circa una asserita situazione di persecuzione e minaccia alla quale il richiedente sarebbe sottoposto nel suo paese di origine (Nigeria); situazione che non sarebbe stata considerata dalla Corte d’appello, la quale non avrebbe approfondito il tema dell’esistenza e del funzionamento delle sette religiose in quel paese.

Si tratta, a ben vedere, di una prospettazione che non prende in considerazione la motivazione del provvedimento impugnato, la quale risulta pienamente logica e coerente, laddove evidenzia, in totale continuità con l’ordinanza di primo grado, che l’interessato ha fornito una versione dei fatti del tutto inattendibile, non solo con riferimento alle vicende relative alle persecuzioni che in concreto avrebbe subito, ma anche circa il nucleo essenziale del suo narrato, che non richiama dati concreti, ma un generico atteggiamento superstizioso ed è intrinsecamente contraddittorio anche quanto alla reale appartenenza religiosa del soggetto. Nè il ricorrente ha dichiarato di avere sviluppato un legame con la Libia, paese di transito, cosicchè le eventuali persecuzioni subite in tale paese – anche esse meramente asserite dall’interessato sarebbero comunque irrilevanti ai fini della protezione richiesta.

Ne consegue l’inammissibilità del primo motivo di ricorso.

1.2. Le altre censure del ricorrente, relative alla mancata valutazione della situazione del paese di provenienza, anche ai fini della protezione umanitaria, sono inammissibili. Nel ricorso non si deducono compiutamente profili di vulnerabilità o cause di potenziale persecuzione e la sua prospettazione, quanto alla mancata indagine d’ufficio sulla situazione del paese di provenienza si limita al profilo delle eventuali persecuzioni ad opera di sette religiose; profilo reso irrilevante dalla sua inattendibilità.

Quanto allo specifico aspetto della protezione umanitaria, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (ex multis, Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01). E deve ricordarsi, inoltre, che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02). Tale valutazione comparativa è stata compiutamente effettuata dalla Corte d’appello, che – come visto – ha reputato non credibile la versione fornita dall’interessato e insussistenti situazioni di particolare pericolo nel paese di origine; cosicchè non può essere ritenuta configurabile alcuna vulnerabilità, nè vi è alcun rischio di trattamenti inumani in caso di rimpatrio nel paese di provenienza.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla è dovuto per le spese dal ricorrente soccombente, non avendo la controparte costituita formulato deduzioni.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

 

 

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