Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 904 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. I, 20/01/2021, (ud. 24/09/2020, dep. 20/01/2021), n.904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7934/2019 proposto da:

B.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Roppo Francesco, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2073/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 02/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/09/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto dal sig. B.M., nato in (OMISSIS), avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Bologna non gli aveva riconosciuto alcuna forma di protezione, internazionale e umanitaria.

1.1. Come si legge a pag. 2 della sentenza impugnata, l’appellante lamentava che il Tribunale “aveva omesso di valutare, nella sua effettiva realtà, la situazione sociale del Bangladesh, così come il rischio derivante dalle minacce inferte da creditori usurai e quello afferente al rischio di ripiombare in una povertà estrema in caso di rientro nel Paese, in una situazione già estremamente critica per i diritti umani ed errando nel ritenere che l’odierno appellante sarebbe protetto dalle autorità del paese di origine, posto che il “Prevention and Suppression of Human Trafficking Act 2011″ – cd. PSHTA – (…) è rimasta a tutt’oggi inapplicata”; si doleva inoltre che il Tribunale avesse del tutto omesso di motivare sul diniego della protezione umanitaria.

1.2. Avverso la decisione di secondo grado il ricorrente ha proposto ricorso affidato a due motivi. Il Ministero intimato, pur depositando un “atto di costituzione”, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14.

2.1. In particolare censura l’affermazione della Corte territoriale circa la “non credibilità della narrazione” fondata sul fatto che “il Bangladesh, al fine di arginare il fenomeno dell’usura abbia adottato nel 2011 un importante atto normativo che inasprisce le pene per il “debt bondage” con pene sino a 12 anni di reclusione”, al tempo stesso sminuendo “il fatto che, a detta del ricorrente, tali disposizioni siano praticamente inattuate”. Lamenta al riguardo che il giudice di secondo grado non abbia analizzato l’effettiva portata del “Prevention and Suppression of Human Trafficking Act 2011”, nonostante nell’appello fosse stato specificamente segnalato come il Rapporto del Dipartimento di Stato Americano – Trafficking in Person Report 2016 – ne avesse “dimostrato il drammatico fallimento”.

2.2. Si duole altresì del non essere stati ravvisati gli estremi dei trattamenti umani e degradanti nella riduzione del ricorrente in condizioni di “estrema povertà”, che lo priva della “possibilità di sopravvivere e condurre una vita dignitosa”.

3. Con il secondo mezzo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dell’art. 10 Cost., in uno all’omesso esame di fatti decisivi “anche con riferimento alla integrazione socio lavorativa in Italia”.

3.1. In particolare, viene contestata l’affermazione del giudice a quo per cui la protezione umanitaria sarebbe riconoscibile solo nei casi previsti dagli artt. 18,19 e 20 del TUI, quando invece, per giurisprudenza consolidata, il permesso umanitario – nella versione applicabile ratione temporis – è una “misura atipica e residuale idonea ad integrare l’ampiezza del diritto di asilo costituzionale così come definito dall’art. 10 Cost.”, che consente di tutelare tutte le forme di vulnerabilità variamente dovute a ragioni di salute, integrità psico-fisica, dignità umana, povertà, analfabetismo o giovane età, anche se i corrispondenti beni siano “minacciati da fenomeni diversi da quelli presi in considerazione dalla protezione del rifugiato e dalla protezione sussidiaria”.

3.2. Segnala dunque il conseguente errore della Corte territoriale che non ha preso in considerazione le vulnerabilità emergenti dalla vicenda personale del ricorrente – tra cui “la necessità di espatriare per trovare un lavoro remunerativo per restituire il prestito usuraio e avere la possibilità di sfamare la propria famiglia e possibilmente una vita dignitosa che gli è preclusa nel suo Paese” – nonchè “l’importante percorso di inserimento sociale intrapreso” in Italia.

4. I motivi, che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente, meritano accoglimento, nei termini che si vanno ad illustrare.

5. Invero, la motivazione della sentenza impugnata è sicuramente idonea a sorreggere il diniego della protezione internazionale, nelle due forme dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, anche sulla base della argomentata mancanza di “coerenza e plausibilità delle circostanze relative alle presunte minacce dei creditori, vaghe e generiche”.

6. Analoga conclusione non può invece trarsi per il diniego della protezione umanitaria – riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U., 29459/2019) – in quanto: i) la “non credibilità della narrazione” circa il fenomeno dell’usura nel Bangladesh è stata collegata esclusivamente all’adozione di un atto normativo – il richiamato “Prevention and Suppression of Human Trafficking Act 2011” – sulla cui inefficacia la Corte territoriale ha omesso di indagare, nell’esercizio del proprio dovere di cooperazione istruttoria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 (ex plurimis, Cass. 15215/2020), sebbene il ricorrente avesse allegato al riguardo specifici elementi informativi (Cass. 19177/2020); ii) appare manifestamente erronea l’affermazione per cui la protezione umanitaria potrebbe essere concessa solo nelle ipotesi contemplate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 18,19 e 20, che ha evidentemente indotto il giudice a quo a non prendere in considerazione i profili di vulnerabilità personale specificamente allegati dal ricorrente, in uno al segnalato percorso di integrazione da costui realizzato nel nostro Paese, sui quali la Corte d’appello non spende alcuna parola, perpetrando l’omessa motivazione di cui il ricorrente si era invero già doluto nei confronti dell’ordinanza di primo grado.

7. La sentenza va quindi cassata con rinvio alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bologna che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

 

 

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