Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9036 del 06/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9036 Anno 2015
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: DI IASI CAMILLA

SENTENZA
sul ricorso 21626-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2014
4113

PRALMACAR SRL in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE
GIULIO CESARE 61, presso lo studio dell’avvocato
LUCIANO

DRISALDI,

rappresentato

e

difeso

dall’avvocato BENEDETTO GUGLIELMO giusta delega a

Data pubblicazione: 06/05/2015

margine;
– resistente –

avverso

la

sentenza

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST.

n.

di LATINA,

186/2008

della

depositata il

07/05/2008;

udienza del 18/12/2014 dal Consigliere Dott. CAMILLA
DI IASI;
udito per il ricorrente l’Avvocato MELONCELLI che si
riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

RGN 21626/08

Considerato in fatto
L’Agenzia delle Entrate ricorre nei confronti della PR.AL.MA.CAR. s.r.l. (che ha
depositato “mandato per la discussione” al difensore) per la cassazione della
sentenza n. 186/39/08 con la quale -in controversia concernente impugnazione di
avviso di accertamento per Irpeg, Iva e Irap relativo all’anno di imposta 2001- la

notificazione e l’inefficacia dell’avviso impugnato perché la relata non riportava il
nome della persona alla quale veniva consegnato il plico, non conteneva
indicazioni circa l’identità del notificatore, e risultava siglata con uno
“scarabocchio”, dovendo pertanto ritenersi come se non fosse mai stata
sottoscritta. Inoltre, i giudici d’appello aggiungevano che in presenza di
contabilità regolare non poteva ritenersi legittimo l’accertamento induttivo basato
esclusivamente sul saldo negativo risultante dalle scritture contabili, e che non era
stata fornita alcuna prova dei ricavi asseritamente non contabilizzati, essendosi
fatto ricorso a “praesumptio de praesumpto”.

Ritenuto in diritto
Col primo motivo, deducendo violazione del combinato disposto degli artt. 60
d.p.r. 600/1973 nonché 149 e 156 c.p.c., l’Agenzia ricorrente censura la sentenza
impugnata rilevando che non può ritenersi invalida la notifica qualora la
sottoscrizione del notificante non sia decifrabile e che in ogni caso una eventuale
invalidità risulterebbe nella specie sanata dall’impugnazione dell’atto oggetto di
notifica proposta dal destinatario della medesima.
La censura è fondata. Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità
(alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per
discostarsene), la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un
elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, cosicché il
vizio di nullità ovvero di inesistenza della stessa è irrilevante ove l’atto abbia
raggiunto lo scopo, ad esempio per essere stato impugnato dal destinatario in data
antecedente alla scadenza del termine fissato dalla legge per l’esercizio del potere
impositivo (v. tra le altre cass. nn. 654 e 1238 del 2014). E nella specie l’atto
oggetto di notifica è stato impugnato tempestivamente né risulta affermata nella

CTR Lazio accoglieva l’appello del contribuente affermando l’inesistenza della

sentenza impugnata o dedotta dal contribuente l’intervenuta decadenza, nel
suddetto termine, dal potere impositivo.
Tanto premesso in linea generale, è peraltro nello specifico da rilevare che,
secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la nullità di un atto non
dipende dalla illeggibilità della firma di chi si qualifichi come titolare di un
pubblico ufficio, ma dall’impossibilità oggettiva di individuare l’identità del

dell’autore dell’atto, con la conseguenza che, nel caso di sottoscrizione illeggibile
della relata di notificazione di un avviso di accertamento, spetta al contribuente,
superando la presunzione che il sottoscrittore aveva il potere di apporre la firma,
dimostrare la non autenticità della sottoscrizione o l’insussistenza della qualità
indicata (o comunque del potere esercitato), con la conseguenza che, in assenza di
una tale dimostrazione (nella specie mancante), va escluso il vizio di nullità (e a
maggior ragione di inesistenza) della notificazione (v. cass. n. 16407 del 2003).
Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 40
d.p.r. 600/73, 62 sexies d.l. 331/93 e 54 d.p.r. 633/73, l’Agenzia ricorrente censura
la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici d’appello hanno ritenuto che in
presenza di contabilità regolare non è consentito l’accertamento induttivo del
reddito fondato esclusivamente sulla base del protratto saldo negativo dell’attività.
Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del combinato
disposto degli artt. 39 e 40 d.p.r. 600/73, 62 sexies d.l. 331/93 e 54 d.p.r. 633/73
nonchè degli artt. 2727 e 2728 c.c., la ricorrente duole del fatto che i giudici
d’appello non abbiano considerato che l’art. 62 sexies di. 331 del 1993 ha esteso i
margini di applicazione dell’accertamento induttivo e che pertanto, anche in
presenza di contabilità formalmente regolare, l’esistenza di un contrasto con gli
elementi presuntivi dati dagli studi di settore ovvero di gravi incongruenze tra i
ricavi e compensi dichiarati con quelli desumibili dalle condizioni di esercizio
della specifica attività svolta legittima la presunzione di maggior reddito con
onere della prova a carico del contribuente, essendo la presunzione di cui al citato
art. 62 sexies una “presunzione legale che può essere vinta solo dalla prova
contraria” offerta dal contribuente.

firmatario, senza che rilevi la soggettiva ignoranza di alcuni circa l’identità

Col quarto motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente censura la
sentenza impugnata nella parte in cui i giudici d’appello hanno affermato che
l’accertamento del maggior reddito era basato su di una praesumptio de
praesumpto senza considerare che la presunzione di maggior reddito non
dichiarato nasceva dal fatto noto emergente dalla contabilità e costituito dalla
complessiva antieconomicità della gestione risultante dalla eccedenza delle uscite
rispetto agli incassi senza giustificazione della provenienza delle suddette uscite di

Giova premettere che le sopra esposte censure sono ammissibili.
E’ vero che le sezioni unite di questa Corte (con sentenza n. 3840 del 2007) hanno
affermato che qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o
declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della
“potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia
impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte
soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare, con la conseguenza che è
ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è
viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui
pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad
abundantiam” nella sentenza gravata. Tuttavia nella specie il giudice d’appello ha
deciso su di una questione che, benchè logicamente pregiudiziale rispetto alle
altre, attiene anch’essa al merito (riguardando la dedotta invalidità della notifica
relativa -non ad un atto processuale bensì- all’avviso opposto) e non priva
pertanto il giudice della “potestas iudicandi” in relazione alle ulteriori questioni di
merito. Nella specie dunque, avendo il giudice ritenuto di pronunciarsi anche su
altre questioni di merito, le relative decisioni non possono considerarsi alla
stregua di obiter dicta ma si configurano come ulteriori rationes decidendi (sia
pure logicamente successive alla precedente), rispetto alle quali la parte ha
l’interesse e l’onere dell’impugnazione, giacchè, ove non impugnate, esse, in
ipotesi di ritenuta infondatezza della censura riferibile alla ratio decidendi
logicamente prioritaria, sarebbero da sole idonee a sostenere il decisum e quindi
determinerebbero la mancanza di interesse anche alla censura sulla suddetta ratio
decidendi pregiudiziale (v. in proposito cass. n. 2736 del 2013, secondo la quale, in
tema di opposizione a sanzioni amministrative, qualora il giudice, accolto un primo motivo,
attinente ad un vizio formale del decreto, anziché adottare la tecnica dell’assorbimento, abbia

liquidità per il pagamento, ad esempio, di fornitori e dipendenti.

comunque esaminato e riconosciuto fondato altresì un secondo motivo, di carattere sostanziale,
fatto valere dall’opponente -attinente alla non riconducibilità della vicenda alla fattispecie
contestata-, si è di fronte non ad una mera argomentazione “ad abundantiam”, proveniente da
giudice ormai privo di “potestas iudicandi” bensì alla manifestazione di separate ragioni del
decidere che risolvono distinti punti della regiudicanda, sicché ciascuna di esse deve essere
impugnata, pena l’inammissibilità del gravame per difetto di interesse, restando altrimenti la
decisione fondata in modo autonomo sulla ragione non censurata).

di contabilità regolare non esclude, in presenza di determinate condizioni, la
possibilità di procedere ad un accertamento di tipo induttivo (v. tra le molte cass.
n. 23551 del 2014, secondo la quale in tema di Iva il ricorso al metodo induttivo è ammissibile
anche in presenza di contabilità formalmente regolare, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. n. 633 del
1972, che autorizza l’accertamento anche in base ad “altri documenti” o ad “altre scritture
contabili” o ad “altri dati e notizie” raccolti nei modi prescritti,

nonché cass. n. 5731 del

2012, secondo la quale, in tema di accertamento delle imposte, l’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973
consente la rideterminazione dei ricavi e, quindi, dei redditi su base induttiva, facendo ricorso a
presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., pur in presenza di scritture contabili
formalmente corrette, quando la contabilità possa essere considerata complessivamente ed
essenzialmente inattendibile).

Più in particolare, non risulta corretta l’affermazione dei giudici d’appello
secondo la quale, in presenza di contabilità formalmente corretta, è da escludere
la possibilità di un accertamento induttivo fondato esclusivamente sul saldo
negativo delle scritture contabili, trattandosi di affermazione che, in maniera
aprioristica e generalizzata (perciò senza un approfondito esame degli elementi di
valutazione relativi al caso concreto) esclude che un rapporto ricavi-costi non
congruo possa essere sintomo di infedeltà dei ricavi dichiarati, laddove la
giurisprudenza di questo giudice di legittimità si è invece ripetutamente
pronunciata in proposito affermando che la presenza di scritture contabili
formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analiticoinduttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) D.P.R. n.
600 del 1973, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente
inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto
il profilo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente, essendo in tali
casi consentito all’Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e
desumere, sulla base di presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti,
maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della

Il secondo motivo di ricorso è altresì fondato. In linea di principio, la sussistenza

prova contraria a carico del contribuente, nonchè affermando altresì che il citato
art. 39 comma 1 lett. d) consente l’accertamento induttivo del reddito, pur in
presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa
essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto
confliggente con regole fondamentali di ragionevolezza, potendo il giudizio di
non affidabilità della documentazione fiscale essere determinato dall’abnormità
dell’espressione finale” (v. Cass. n. 13976 del 2001; n. 6337 del 2002; n. 1711 del

formalmente regolare non è di ostacolo alla rettifica delle dichiarazioni fiscali e, in
presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia,
che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento su base
presuntiva, con la conseguenza che il giudice di merito, per poter annullare
l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali
ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia
sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (v. tra le altre cass. n.
14428 del 2005; n, 20422 del 2005 e 21536 del 2007).
Il terzo motivo di ricorso è invece infondato.
A differenza di quanto la ricorrente mostra di ritenere nel motivo in esame, la
procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei
parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la
cui gravità, precisione e concordanza non è tout-court determinata per legge sulla
base dello scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé
considerati -meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della
normale redditività- ma nasce solo in esito al contraddittorio col contribuente, da
attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento (v. SU n. 26635 del
2009).
Tanto chiarito, la sussistenza dei presupposti per un accertamento induttivo non
comporta di per sé una inversione dell’onere della prova a carico del contribuente,
ma comporta soltanto che l’accertamento può essere basato su presunzioni la cui
gravità, precisione e concordanza deve essere valutata in concreto dal giudice.
L’onere della prova del maggior reddito resta perciò a carico
dell’Amministrazione, che ovviamente può assolverlo anche a mezzo di

2007), ed ulteriormente precisando che la tenuta della contabilità in maniera

ESENTE DA REGISTRAZIONE
Al SENSI DEL D.P 26/4/1946
N. 131 TAB. ALL. 8.- N. 5
MATERIA TRIBUTARIA
presunzioni semplici -la cui adeguatezza deve essere valutata dal giudice- rispetto
alle quali il contribuente è ammesso alla prova contraria.
• Nella specie pertanto correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che
gravasse sull’Amministrazione l’onere probatorio del maggior reddito, e sono
passati quindi a valutare la prova presuntiva offerta (ritenendo poi che l’onere
probatorio non fosse stato assolto in quanto la prova offerta era fondata su di una

Il quarto motivo di ricorso è fondato. I giudici d’appello hanno in maniera
assolutamente apodittica espresso una valutazione negativa circa la prova
presuntiva offerta dall’Amministrazione, affermando in maniera piuttosto oscura
(e con un incomprensibile riferimento al lavoro di tale “signor Mura”) che
l’Ufficio aveva fondato la propria pretesa su di una presunzione di secondo grado
ed omettendo completamente di considerare dati oggettivi (ad esempio il saldo
negativo emergente dalle scritture contabili, pure riferito nella stessa sentenza) che
avrebbero potuto in ipotesi fondare una valida presunzione di maggior reddito non
dichiarato, in presenza dell’accertamento di determinate caratteristiche (ad
esempio gravità, intensità, ripetitività di perdite accompagnate dalla continuità
dell’attività e quindi di esborsi di liquidità per il pagamento di fornitori e
dipendenti).
Sulla base di quanto sopra esposto i motivi primo, secondo e quarto devono essere
accolti, mentre il terzo deve essere rigettato. La sentenza impugnata deve essere
cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altro giudice che provvederà a
decidere la controversia facendo applicazione dei principi sopra esposti ed a

presunzione di secondo grado).

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