Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9034 del 06/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9034 Anno 2015
Presidente: BIELLI STEFANO
Relatore: MARULLI MARCO

SENTENZA

sul ricorso 18106-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2014
1972

ALTO MILANESE GESTIONI AVANZATE AMGA LEGNANO SPA;

intimato –

avverso la sentenza n. 116/2007 della COMM.TRIB.REG.
Mh mbareb
Lo
014. Mtb*NC, depositata il 04/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Data pubblicazione: 06/05/2015

, udienza del 27/05/2014 dal Consigliere Dott. MARCO
MARULLI;
udito per il ricorrente l’Avvocato MELONCELLI che ha
chiesto il rinvio in attesa della decisione delle
SS.UU. e in subordine accoglimento, l’Avv. dello

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’accoglimento per quanto di ragione dei motivi 3 e
4, rigetto dei restanti.

Stato deposita in udienza cartolina di ricevimento;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza
116/13/07 del 4.6.2008 con la quale la CTR Lombardia, in accoglimento
dell’appello spiegato dalla contribuente, ha riformato la sentenza di primo
formatosi sull’istanza con cui la parte aveva chiesto a rimborso l’IVA
corrisposta per gli anni 2000, 2001 e 2002 in relazione all’acquisto di
autoveicoli e telefoni mobili, silenzio rifiuto che la CTP aveva ritenuto
legittimo in quanto il ricorso era stato proposto oltre il termine di decadenza
dell’art. 21 D.1g. 546/92.
La CTR ha motivato il proprio deliberato favorevole alla contribuente
osservando, circa il profilo afferente al quantum del rimborso, che le
somme richieste in restituzione non erano contestate e, quanto alla
decadenza dichiarata dal primo giudice, sul rilievo che il termine biennale
previsto dall’art. 21, secondo comma, ultima parte, D.1g. 546/92 possa
decorrere dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione
se posteriore al giorno del pagamento, che la sentenza della Corte di
Giustizia CEE 14.9.2006 n. 228/05, che ha dichiarato il contrasto con l’art.
17, n. 7 , della sesta Dir. n. 77/338 dell’art. 19 bis 1, D.P.R. 633/1972, lett c)
e d) nella parte in cui prevedono l’ indetraibilità totale dell’IVA afferente
l’acquisto e l’importazione dei mezzi di trasporto considerati “autoveicoli”,
nonché dell’Iva sulle relative spese di impiego, manutenzione e riparazione,
compresi i carburanti e lubrificanti, “ben si configura come
quell’avvenimento posteriore previsto dallo stesso art. 21”, in guisa del
quale “il termine di decadenza va fatto decorrere pertanto dalla
pubblicazione della sentenza della Corte di Giustizia Europea”, di modo
che, recando questa la data del 14 settembre 2006 l’istanza di rimborso
presentata dalla parte il 17 marzo 2005 “è addirittura in anticipo su tale
termine”.
L’odierno ricorso è affidato a cinque motivi di gravame.
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grado che ne aveva respinto il ricorso nei confronti del silenzio rifiuto

Non ha svolto attività difensiva la controparte.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1. Nel corso dell’odierna discussione la difesa erariale ha rammentato che
con ordinanza interlocutoria del 28.11.2012, n. 959 la sottosezione V della
alla decorrenza del termine di cui all’art. 21, comma 2, nig. 546/92
nell’ipotesi di una norma impositiva, nell’osservanza della quale il
contribuente abbia versato l’imposta richiesta in restituzione, contrastante
con il diritto comunitario e su questo rilievo, ravvisando evidentemente
l’analogia del caso qui in disamina con quello portato al vaglio delle S.U.,
ha invitato il Collegio a valutare l’opportunità di differire la decisione
successivamente al pronunciamento delle S.U.
2.2. Il rilievo non è pertinente. Come si legge nella citata ordinanza
interlocutoria la questione sulla quale le S.U. sono chiamate ad interloquire,
ancorchè effettivamente riguardi il termine dell’ art. 21, comma 2, alg.
546/92 nel caso in cui l’obbligo impositivo sia dichiarato incompatibile con
il diritto eurounitario, concerne, rispetto a quella qui in discussione, la
diversa ipotesi del contrasto della norma di diritto interno con le fonti
comunitarie allorché queste ultime, tanto se trattasi di direttive della
Commissione che di sentenze della Corte, “possano essere applicate dal
giudice nazionale (con eventuale disapplicazione delle fonti interne con
quelle contrastanti) in quanto risultino incondizionate e precise (c.d. selfexecuting)”. Non è questo tuttavia il caso, come si è data premura di
precisare l’ordinanza stessa, del rimborso dell’IVA pagata sugli acquisti e
la gestione degli autoveicoli attinenti all’attività di impresa ritenuta non
dovuta dalla sentenza della Corte di Giustizia CEE 14.9.2006 n. 228/05 —
che è oggi la vicenda in discussione —, atteso che, come già si era rilevato in
uno specifico precedente di questa Sezione (5411/12), peraltro
significativamente confermato anche da pronunciamenti successivi
all’ordinanza 959/13 (3024/13; 3259/13; 3260/13), in questa ipotesi,
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VI sezione di questa Corte ha investito le SS.UU. della questione afferente

essendo stata fatta la materia oggetto di un intervento legislativo ad hoc, è
parso evidente che “la sentenza della Corte Europea non possa essere
immediatamente applicata, ma richieda una disciplina di attuazione”.
Come i ricordati precedenti successivi alla rc.milsione della questione alle
della stessa ordinanza 959/13, di attenderne il pronunciamento differendo
perciò la decisione.
3.1. Ciò detto con il primo motivo di gravame l’Agenzia ricorrente censura
l’impugnata sentenza sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di
legge rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in relazione
all’art. 234 del Trattato CE in combinato disposto con l’art. 21, secondo
comma, D.lg. 546/92 in quanto la CTR, nell’erronea convinzione, contraria
alla giurisprudenza comunitaria e a quella di questa Corte, che la citata
sentenza della Corte di Giustizia non abbia efficacia dichiarativa, ha
ritenuto che l’insorgenza del diritto al rimborso “fosse da individuarsi nel
momento in cui è stata depositata la sentenza, cosicché il termine biennale
di decadenza sarebbe decorso da quella data e non dalla data in cui la
contribuente avrebbe potuto far valere il diritto”.
3.2. Il motivo è fondato, ma non è decisivo.
L’art. 21, comma 2, alg. 546/92 recita testualmente: “il ricorso avverso il
rifiuto tacito della restituzione di cui all’ articolo 19, comma 1, lettera g),
può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di
restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e
fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto. La domanda di
restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere
presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in
cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.
La CTR con la sentenza qui impugnata, nella convinzione che la domanda
di restituzione dell’IVA assolta su beni e servizi inizialmente non detraibili
non fosse disciplinata da disposizioni di carattere specifico, ha applicato
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SS.UU. attestano inconfutabilmente non vi è dunque ragione, sulle tracce

alla vicenda al suo esame l’ultima parte del citato articolo 21, comma 2 e,
di fronte all’alternativa offerta dalla norma di far decorrere il termine per la
presentazione della domanda “dal pagamento ovvero, se posteriore, dal
giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”, ha
228/05, con cui i giudici comunitari hanno dichiarato il contrasto con l’art.
17, n. 7 , della sesta Dir. n. 77/338 delle disposizioni di cui alle lettere c) e
d) dell’art. 19 bisl, D.P.R. 633/1972, che prevedono l’indetraibilità totale
dell’IVA afferente l’acquisto e l’importazione dei mezzi di trasporto
considerati “autoveicoli”, nonché l’Iva sulle relative spese di impiego,
manutenzione e riparazione, compresi i carburanti e lubrificanti, “il
presupposto per la restituzione” venuto ad esistenza successivamente
all’epoca del pagamento, di modo che, decorrendo da essa il termine per la
la i* malhol.% Mi

presentazione della domanda, ha conclusivamente ritenutorTT.3 -72005 non
solo fagè tempestiva, ma tasse “addirittura in anticipo”. In tal modo, però.
la CTR, pur non facendone espressa menzione, ha mostrato di ritenere che i
pronunciamenti della Corte di Giustizia siano provvisti di efficacia
costitutiva ed operino dm:q= exttunc, laddove è al contrario insegnamento
stabilmente invalso nella giurisprudenza comunitaria ed in quella di questa
Corte che l’interpretazione di una norma di diritto comunitario data dalla
Corte nell’esercizio della competenza attribuitale dall’art. 234 CE chiarisce
e precisa, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata di detta
norma, quale deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento
della sua entrata in vigore (Corte giustizia comunita’ Europee Grande Sez.,
12.2.2008, n. 2/06; 10.2.2000, n. 50/96; 27.3.1980, n. 61/79; 61/79; Cass.
22577/12; 4466/05; 14468/99).
Errano perciò i giudici di appello nel ritenere che la sentenza della Corte di
Giustizia CEE 14.9.2006 n. 228/05 costituisca “il presupposto per la
restituzione” avveratosi successivamente all’epoca del pagamento, poiché
in ossequio al visto principio dell’efficacia dichiarativa delle sentenze del
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individuato nella sentenza della Corte di Giustizia CEE 14.9.2006 n.

giudice europeo, in guisa del quale la norma interna dichiarata in contrasto
va conseguentemente disapplicata (17966/11; 26285/10) l’obbligo
impositivo a suo tempo previsto dall’art. 19-bisl lett. c) e d) è venuto meno

presentazione della domanda di rimborso.
3.3. Il motivo, come anticipato, non è però decisivo, poiché corre l’obbligo
di osservare che, successivamente alla pronuncia della Corte di Giustizia, il
legislatore nazionale, per non incorrere nelle più severe sanzioni previste
per l’inosservanza degli obblighi nascenti dalla sua appartenenza alla
Comunità, si è immediatamente affrettato a dare attuazione al
comandamento ivi contenuto con il D.1. 15.9.2006, n. 258, convertito in I.
10.11.2006, n. 278, il cui art. 1, facendo espresso richiamo alla citata
sentenza comunitaria, prevede testualmente che “i soggetti passivi che fmo
alla data del 13 settembre 2006 hanno effettuato nell’esercizio dell’impresa,
arte o professione acquisti ed importazioni di beni e servizi indicati
nell’articolo 19-bisl, comma 1, lettere c) e d), del decreto del Presidente
della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, presentano in via telematica entro
il 15 aprile 2007 apposita istanza di rimborso …”. Da tale disposizione
questa Corte ha tratto il convincimento “che il legislatore nazionale,
dettando il D.L. 15 settembre 2006, n. 258, convertito, con modificazioni,
dalla L. 10 novembre 2006, n. 278, recante “disposizioni urgenti di
adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europea
in data 14 settembre 2006 nella causa C-228/05, in materia di detraibilità
dell’Iva” – ha ritenuto che detta sentenza non sia self-executing, ma richieda
“norme di adeguamento”; e quindi solo con l’emanazione di tali norme si è
costituito in capo al contribuente il diritto a chiedere rimborso (e, perciò,
iniziassero a decorrere i termini di decadenza). Del resto, dalla stessa
dizione letterale del D.L. n. 258 del 2006 (come modificato dalla legge di
conversione) emerge con chiarezza come il legislatore abbia inteso
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sin dalla sua istituzione, di tal ché l’indebito si è determinato all’atto del
pagamento ed è da esso che conseguentemente decorre il dies a quo per la

plasmare un “nuovo” diritto del contribuente con specifiche modalità di
esercizio e cadenze temporali, che decorrono dalla entrata in vigore della
nuova normativa, proprio perché le relative istanze debbono essere
conformi a modelli indicati nelle norme dello stesso decreto legge;
emerge una disciplina completa ed innovativa che regola i diritti (o meglio
le legittime aspettative) che nascono dalla sentenza della Corte di giustizia
delle Comunità europee nella causa C-228/05″ (5411/13). Poiché, come
condivisibilmente affermato anche in pronunciamenti successivi (3024/13;
3259/13; 3260/13), non vi è ragione di discostarsi da questo indirizzo e se
dunque il d.l. 258/06 ha “plasmato” un nuovo diritto del contribuente ad
ottenere il rimborso dell’imposta indebitamente assolta da cui far decorrere
il termine di decadenza per la presentazione della relativa istanza, a nulla
serve constatare che la CTR, pronunciandosi in parte qua erroneamente,
abbia disatteso il principio dell’efficacia dichiarativa delle decisioni del
giudice comunitario, posto che di fronte alla novità rappresentata dal d.l.
258/06, essa avrebbe dovuto più rettamente interrogarsi sugli effetti dello
ius supervenies in relazione all’istanza presentata dalla parte, giacché se in
forza del ricordato insegnamento la norma dichiarata in contrasto con il
diritto comunitario rendeva inesorabilmente caduca l’istanza del
contribuente perché tardiva, nondimeno il diritto di esso a ripetere
l’imposta indebitamente assolta in ragione della previgente indetraibilità
non poteva dirsi pure perento, in considerazione appunto della sua
reviviscenza alla luce delle nuove disposizioni emanate dal legislatore.
4.1. Violazione e falsa applicazione di legge sempre ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 21, secondo comma,
546/92 in combinato disposto con gli artt. 1 e 2 D.1. 258/06 si deduce con il
secondo motivo di ricorso, poiché pronunciandosi nei riferiti termini, la
CTR ha erroneamente creduto che la normativa sopravvenuta al
pronunciamento del giudice comunitario di cui alle citate disposizioni del
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cosicché, in definitiva, deve concludersi che dal D.L. n. 258 del 2006

D.1. 258/06, che pure faceva salvo il disposto dell’art. 21, comma 2, Dig.
546/92 per coloro che non intendessero accedere alla procedura del
rimborso forfetario, “abbia modificato il termine di decadenza per l’istanza
di rimborso non presentata secondo il nuovo modello previsto dall’art. 1 del
domanda di rimborso presentata nell’anno 2005 non fosse soggetta ai
termini decadenziali già scaduti secondo la legge vigente in quel tempo”.
4.2. Il motivo è fondato.

rfil

L’art. 1, comma 1, d.l. 258/06, dopo che negli incisi precedenti
provveduto a disciplinare la procedura del rimborso forfetizzato per tutti
coloro che avessero presentato l’istanza a seguito del pronunciamento della
Corte di Giustizia, stabilisce al quarto inciso che “resta ferma, per i
contribuenti che non aderiscono al suddetto rimborso forfetario, ovvero per
coloro che non presentano l’istanza entro il predetto termine del 15 aprile
2007, apposita istanza ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 31
dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni, contenente i dati e gli
elementi comprovanti la misura, nell’esercizio dell’impresa, arte o
professione, dell’effettivo utilizzo in base a criteri di reale inerenza, stabiliti
con il provvedimento di cui al presente comma”.
E’ evidente, alla luce della salvezza decretata dalla norma e, segnatamente,
della “possibilità di dimostrare il diritto ad una detrazione in misura
superiore presentando apposita istanza ai sensi dell’art. 21 del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”, l’intenzione del legislatore di
salvaguardare comunque il diritto alla ripetizione del contribuente che non
aderisca alla procedura del rimborso forfetizzato o che non presenti
l’istanza entro il termini a questo fine previsto, veicolandone tuttavia
l’esercizio nell’alveo previsionale dell’art. 21 Dig. 546/92, di guisa che
sarebbe occorso non solo che il contribuente, come richiesto da
quest’ultimo, formalizzasse la richiesta di rimborso a mezzo di una
“domanda di restituzione”, ma pure che la presentazione della stessa, ove
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D.I. 258/2006, ma secondo la disciplina ordinaria previgente, e che la

non vi siano disposizione specifiche per ciascuna legge di imposta,
avvenisse entro il termine di “due anni dal pagamento ovvero, se posteriore,
dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.
Ma altrettanto evidente è perciò pure l’errore commesso dal giudice
di essa al rimborso delle imposte indebitamente versate. Si è infatti in tal
modo violato non solo, come dedotto con il primo motivo di ricorso, l’art.
21, comma 2, Dig. 546/92, ma, senza neppure porsi l’interrogativo cui si è
fatto cenno in chiusa di 3.3., anche il pedissequo dettato del D.1. 258/06, dal
momento che come si è dianzi accennato, l’errore compiuto accordando
efficacia costitutiva ai pronunciamenti del giudice europeo, in conseguenza
del quale si è ritenuto che l’istanza di rimborso presentata dal contribuente
fosse addirittura in anticipo, è premessa pure del successivo errore
compiuto nell’obliterare completamente quanto previsto dal legislatore in
via d’urgenza, ancorchè il D.1. 258/06, lungi dal sancire un incondizionato
diritto di rimborso, sottoponesse il medesimo o alla procedura forfetizata o
alla domanda di restituzione dell’art. 21, comma 2, Dig. 546/92, nell’uno e
nell’altro caso stabilendo che l’istanza fosse comunque soggetta ad un
termine di decadenza. Diversamente il giudice d’appello, errando, ne ha
invece manifestamente disatteso il disposto, ritenendo che pure se la
disposizione dell’art. 21 Dig. 546/92 fosse stata fatta salva dal D.I. 258/06,
fosse semplicemente bastevole il pronunciamento comunitario a rendere
tempestiviWla domanda di rimborso presentata dalla parte.
5.1. Il terzo motivo di ricorso denuncia error in procedendo ex art. 360,
primo comma, n. 4 c.p.c. per violazione del principio di non contestazione
ex art. 23, comma terzo, D.1g. 546/92 nonché dell’art. 115 c.p.c. in
relazione alla natura dispositiva e al sistema di preclusioni del processo
tributario, in combinato disposto con l’art. 1, comma secondo, Dig. 546/92
relativamente all’eccezione sollevata dalla ricorrente sull’esistenza dei costi
in cui è incorsa l’impugnata sentenza affermando falsamente che “quanto
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territoriale nell’accogliere il gravame della parte e nel riconoscere il diritto

alla prova del quantum del rimborso richiesto l’ufficio non ha mai
contestato i prospetti allegati sia all’istanza di rimborso che al ricorso
introduttivo”.
5.2. Il motivo è fondato.
applicano le norme del presente decreto e, per quanto da essetnon disposto
e con esse compatibili le nonne del codice di procedura civile” e che l’art.
115, primo comma, c.p.c., ancorché nel testo risultante dall’art. 45, comma
14,1. 18.6.2009, n. 69, – ma il principio a livello sistematico era già a tempo
presente nell’ordinamento del processo civile alla stregua del dettato di cui
agli artt. 167 e 416 c.p.c. – stabilisce ora espressametne che “salvi i casi
previsti dalla legge il giudice deve porre a fondamento della decisione le
prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non
specificatamente contestati dalle parti costituite”, risponde
inoppugnabilmente al vero che “anche al processo tributario sia
applicabile il principio generale di non contestazione che informa il sistema
processuale civile (con il relativo corollario del dovere del giudice di
ritenere non abbisognevoli di prova i fatti non espressamente contestati)”
(1540/07; 16345/13; 29613/11).
E’ però palesemente errato farne applicazione, come hanno fatto i giudici di
appello, e dunque si viola il disposto di legge che ne legittima il richiamo e
l’applicazione al contenzioso tributario, laddove l’istanza ricorrente, lungi
dall’essere incontestata in punto di quantum, è stata fatta invece oggetto nei
gradi di merito, di una puntuale disamina critica intesa a contestare, come
qui si perita di rammentare la difesa erariale in ossequio al precetto
dell’autosufficienza, a fronte dello scarno prospetto allegato dal
contribuente all’istanza, “la tipicità dell’operazione d’acquisto effettuata, la
tipologia dei beni acquistati, la tempistica di tali acquisti e l’entità
dell’imposta registrata”, in tal modo risultando controverso non solo il più
limitato profilo dell’imposta richiesta in restituzione, a cui si riferisce la
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Premesso che in base all’art. 1, comma 2, D.1g.546/92 “i giudici tributari

rivendicazione in tema di non contestazione operata dalla CTR, ma
sin’anco il fondamento dello stesso diritto alla restituzione azionato nella
specie.
6.1. Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di legge
combinato disposto con gli artt. 2727 e 2729 c.c. e l’art. 21, comma
secondo, D.1g. 546792 in quanto la CTR, ritenendo falsamente che il
quantum non fosse contestato, ha disatteso il principio di diritto evincibile
dalle norme anzidette, per cui è il contribuente che deve provare il diritto al
rimborso, e ribaltato l’onere della prova sull’amministrazione sul
presupposto erroneo che “la prova del diritto al rimborso possa essere
ottenuta per presunzione assumendo, come fatto noto da cui inferirla, il
silenzio serbato dall’amministrazione nel corso del procedimento
amministrativo e attribuendogli il significato di non contestazione del fatto
allegato anche nel processo dalla contribuente”.
6.2. Il motivo è fondato.
Come questa Corte ha di recente nuovamente ribadito “qualora la
controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di
rimborso di un tributo avanzata dal contribuente, è il contribuente ad
assumere la qualità di attore in senso non solo formale – come nei giudizi di
impugnazione di un atto impositivo -, ma anche sostanziale. Di qui la
duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e di provare i
fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella
domanda e che le argomentazioni con le quali l’ufficio nega la sussistenza
di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente,
costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione
processuale, salvo la formazione del giudicato interno o, qualora ne
ricorrano i presupposti, l’applicazione del principio di non contestazione”
(9792/14). Di conseguenza, presentandosi il giudizio nelle controversie in
materia di diniego di rimborso “a ruoli invertiti”, tenuto a dare la prova
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ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c. in

della fondatezza della pretesa esercitata impugnando il relativo
provvedimento o più semplicemente il silenzio serbato
dall’amministrazione sull’istanza di rimborso è coerentemente con la veste
di attore anche in senso sostanziale, che in tale caso coincide con quella di
altro giudizio in cui si intenda esercitare un diritto, il titolare di esso che, in
ottemperanza al principio generale dell’art. 2697 deve provare “i fatti che
ne costituiscono il fondamento”.
Né la prova in parola può ritenersi soddisfatta presuntivamente in forza del
silenzio serbato dall’ufficio sull’istanza del contribuente perché come
questa Corte ha nuovamente chiarito nel rapporto che si instaura tra
Amministrazione e contribuente per effetto della domanda di rimborso da
questi proposta, “l’Ufficio assume il ruolo passivo di colui che “resiste” alla
pretesa creditoria del contribuente, e non è – pertanto – gravato dall’onere di
motivare compiutamente le proprie ragioni” (8988/14).
7.1. Il quinto motivo investe l’impugnata sentenza della violazione di legge
ex art.360, primo comma, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 1, comma primo,
D.1. 258/06 in combinato disposto con gli artt. 19 e 19-bisl D.P.R. 633/72
che, sebbene disciplinasse le modalità di rimborso a seguito del
pronunciamento dei giudici comunitari per i contribuenti che avessero
effettuato acquisti ed importazioni di beni e servizi indicati nell’art. 19bisl, comma primo, lett. c) e d) D.P.R. 633/72 fino al 13.9.2006, la CTR ha
invece erroneamente disapplicato ritenendo “implicitamente che le
disposizioni contenute nel d.l. 258/06 avessero efficacia solo per le
fattispecie successive alla sua entrata in vigore”, malgrado il dato testuale e
la ratio della norma depongano “nel senso di individuare il suo ambito
temporale a tutti i rapporti non esauriti”.
7.2. Il motivo è doppiamente inammissibile.
Per un lato si tratta invero di questione nuova non precedentemente
prospettata nei precedenti gradi di giudizio e non sottoposta perciò al vaglio
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attore in senso processuale è, non diversamente da quel che accade in ogni

del giudice di appello. La sua introduzione per la prima volta in questa sede
urta dunque contro il consolidato principio affermato da questa Corte
secondo cui “non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di
legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti
7981/07), posto che il giudizio di cassazione “ha per oggetto solo la
revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed
alle questioni di diritto proposte” (4087/12). E poi appena il caso di
aggiungere sempre sotto questo primo profilo che l’allegazione in parola si
espone anche al rilievo della mancanza di autosufficienza del ricorso, non
avendo il ricorrente(proprio in ragionyiel resto/della novità della questione)
neppure indicato dove e quando essa sia stata prospettata nel corso dei
pregressi gradi di giudizio, laddove al contrario è suo onere precipuo “di
indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde
dar modo alla Suprema Corte di controllare #ex actis la veridicità di tale
asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione” (SS.UU.
2399/14; 6230/14; 5679/14).
Occorre poi ancora ricordare, evidenziando un ulteriore profilo di
inammissibilità, che “il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado
di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza
impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a
critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia
attraverso il vizio o i vizi dedotti (SS.UU. 7931/13) ed esso perciò “deve
investire la ratio decidendi della sentenza impugnata” (4409/09). Nella
specie si lamenta tuttavia, e su questo si chiede il pronunciamento di questa
Corte, che il giudice d’appello avrebbe disapplicato le disposizioni del d.1
258/06 ritenendo implicitamente che esse avessero efficacia solo per le
fattispecie successive alla sua entrata in vigore, ma come si è già avuto
modo di osservare in accoglimento del secondo motivo di gravame, il
dettato del d.l. 258 e, dunque, anche le disposizioni di esso che regolano il
RG 18106/2013

12

gradi del giudizio di merito, né rilevabili di ufficio” (17041/13; 19164/07;

diritto alla ripetizione dell’indebito successivamente alla sentenza della
Corte di Giustizia CEE 14.9.2006 n. 228/05, sono argomenti a cui la
sentenza di appello, quantunque statuendo in spregio a quanto da essi si
sarebbe potuto evincere, è rimasta per vero del tutto estranea, avendoli essa
potesse essere convenientemente regolata alla stregua del deliberato
comunitario. Ne consegue che la critica che ad essa si muove con il motivo
in rassegna non ne coglie perciò la ratio ed è perciò anche sotto questo
ulteriore profilo inammissibile.
8. In accoglimento perciò del primo, del secondo, del terzo e del quarto
motivo di impugnazione, la sentenza va dunque cassata e la causa rimessa
al giudice territoriale per il necessario riesame ai sensi dell’art. 383, primo
comma, c.p.c.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Accoglie il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso,
dichiara inammissibile il quinto, cassa l’impugnata sentenza e rinvia avanti
alla CTR Lombardia che, in altra composizione, provvederà pure alla
liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della V sezione civile il
27.5.2014

(iiIi2Cons.
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Il Presidente
Marullitt

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puramente e semplicemente ignorati, nella convinzione che la vicenda

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