Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9031 del 15/05/2020

Cassazione civile sez. I, 15/05/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 15/05/2020), n.9031

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAZZICONE Loredana – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17870/2017 proposto da:

Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

Roma, Via Cesare Beccaria n. 29, presso lo studio dell’avvocato

D’Aloisio Carla, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati De Rose Emanuele, Maritato Lelio, Matano Giuseppe, Sciplino

Ester Ada, Sgroi Antonino, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Università Magna Grecia di (OMISSIS), in persona del Rettore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

Fondazione per la Ricerca e Cura dei Tumori T.C. in

liquidazione e in concordato preventivo, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Buccari n. 3, presso lo studio dell’avvocato Salvucci Maria

Cristina, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Mardegan Giampaolo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

To.An.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1013/2017 della CORTE D’APPELLO CATANZARO,

depositata il 24/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/03/2020 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, di rigetto del reclamo proposto dall’INPS avverso il decreto con cui era stato omologato il concordato preventivo della Fondazione per la ricerca e la cura dei tumori T.C.. La predetta Corte ha rilevato che con riguardo ai debiti previdenziali è esclusa l’obbligatorietà della transazione fiscale da parte del debitore che intende proporre istanza di concordato preventivo: ha rilevato, in particolare, che la L. Fall., l’art. 182 bis prevede la mera facoltà del debitore di promuovere contestualmente sia la procedura di concordato preventivo sia il procedimento per la conclusione della transazione fiscale, “con la conseguenza che in presenza di un passivo gravato da debiti previdenziali, il debitore può unilateralmente scegliere tra due ipotesi di concordato preventivo: una che prescinde da un preventivo accordo con l’INPS e l’altra, speciale, che prevede il ricorso alla transazione fiscale”.

2. – Il ricorso dell’INPS si fonda su due motivi. Resistono con controricorso la Fondazione e l’Università Magna Graecia di (OMISSIS), la quale aveva pure proposto reclamo avverso il decreto di omologazione. L’INPS ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso si riassumono come segue.

Primo motivo: violazione o falsa applicazione della L. Fall., artt. 160, 161, 162, 163, 164, 165, 166 e ss., artt. 180 e 182 ter inserito dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 146, comma 1, sostituito dal D.L. n. 185 del 2008, art. 32, comma 5, lett. a), e successivamente modificato dal D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 2, lett. a). Assume la ricorrente che, a differenza di quanto sostenuto dal giudice del reclamo, il concordato preventivo avente ad oggetto crediti previdenziali non è sempre ammissibile, ma lo è “solo a condizione che vi sia prova che per i crediti fiscali e previdenziali non sarebbe assicurato un migliore trattamento neppure in sede di fallimento”.

Secondo motivo: violazione o falsa applicazione della L. Fall., artt. 160, 161, 162, 163, 164, 165, 166 e ss. e artt. 180 e 182 ter, inserito dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 146, comma 1, sostituito dal D.L. n. 185 del 2008, art. 32, comma 5, lett. a), successivamente modificato dal D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 2, lett. a) e, da ultimo, dalla L. n. 232 del 2016, art. 1, comma 81. Osserva l’ente ricorrente che la norma in cui è stato modificato la L. Fall., art. 182 ter avrebbe natura di norma di interpretazione autentica, essendo diretta ad attribuire un significato a norme già esistenti dell’ordinamento, che prima erano di dubbia portata. La disposizione, quindi, avrebbe dovuto essere necessariamente applicata nella fattispecie.

2. – I due motivi non possono trovare accoglimento.

2.1. – Il primo è inammissibile.

La Corte di appello si è pronunciata sulla sola questione fatta valere dall’INPS col proprio reclamo: quella dell’obbligatorietà della transazione fiscale che preveda una falcidia o una dilazione del debito previdenziale (cfr. sentenza impugnata, pag. 5).

La pronuncia impugnata si basa su di una giurisprudenza che, con riguardo alla disciplina anteriore alla modifica, ad opera della L. n. 232 del 2016, art. 1, comma 81, dell’art. 182 ter c.p.c. è da considerarsi ampliamente consolidata. E’ sufficiente ricordare, in proposito, l’affermazione delle Sezioni Unite secondo cui “quando abbia debiti tributari, per il debitore sono disponibili due ipotesi di concordato preventivo: una principale, che prescinde da un previo accordo con il fisco; l’altra speciale, che include la transazione fiscale” (Cass. Sez. U. sez.U., 27 dicembre 2016, n. 26988, in motivazione). Discende da ciò che la previsione dell’infalcidiabilità del credito per le ritenute fiscali operate e non versate, prevista dalla L. Fall., art. 182 ter, comma 1, trova applicazione solo nell’ipotesi speciale di proposta di concordato preventivo che sia accompagnata da una transazione fiscale, e non anche quando ricorra la fattispecie generale di concordato senza transazione fiscale (Cass. 9 gennaio 2017, n. 1337; la regola è stata affermata per la prima volta da Cass. 4 novembre 2011, n. 22931). In base alla previsione dell’art. 182 ter, comma 1, cit., il principio opera, oltre che per i “tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori”, anche per i “contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori”.

All’affermazione della Corte di appello, corretta in diritto, l’ente ricorrente contrappone il rilievo per cui, secondo quanto ritenuto dalla Corte di giustizia, la falcidia dell’IVA non troverebbe ostacolo in una “normativa nazionale come la legge fallimentare italiana, interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito dell’IVA attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento” (così Corte giust. 29 marzo 2012, C500/10, Belvedere Costruzioni).

Il richiamo non è per la verità pertinente, dal momento che nella fattispecie non viene in questione il debito per una imposta armonizzata, quale è l’IVA, ma una obbligazione avente ad oggetto non meglio precisati contributi previdenziali. Vero è, tuttavia, che, su di un piano generale, la L. Fall., art. 160, comma 2, subordina la falcidia dei crediti privilegiati alla condizione che il piano ne preveda “la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione”.

Ciò detto, il motivo è anzitutto radicalmente carente di specificità, in quanto non spiega cosa prevedesse il piano concordatario con riguardo ai crediti che qui interessano. In secondo luogo, esso pone una questione di diritto (circa i limiti della falcidia attuabile in base alla richiamata disposizione) che, ove pure ritualmente introdotta, sfuggirebbe al sindacato di legittimità: infatti, in questa sede non è consentita la proposizione di nuove questioni di diritto, ancorchè rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di cassazione, salvo che nelle ipotesi previste dall’art. 372 c.p.c., tra le quali rientra la nullità della sentenza, purchè il vizio infici direttamente il provvedimento e non sia effetto di altra nullità relativa al procedimento (Cass. 8 febbraio 2016, n. 2443; Cass. 5 maggio 2006, n. 10319).

2.2. – Il secondo motivo è infondato.

Parte ricorrente sostiene, in sintesi, la natura interpretativa, e quindi la portata retroattiva della norma con cui è stato novellato la L. Fall., art. 182 ter, secondo cui, oggi, il debitore “esclusivamente mediante proposta presentata ai sensi (dello stesso) articolo” può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonchè dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, oltre che dei relativi accessori.

Mette conto anzitutto di evidenziare che il novellato art. 182 ter, comma 1, indica la medesima condizione relativa al soddisfacimento dei creditori privilegiati in sede di liquidazione, che è prevista dal cit. art. 160, comma 2: condizione la cui concreta ricorrenza è insuscettibile di verifica in questa sede per le ragioni che si sono sopra indicate.

Peraltro, la disposizione di cui cit. art. 182 ter, comma 1, non dichiara espressamente il suo carattere interpretativo, nè reca la struttura tipica della disposizione interpretativa, la quale postula l’integrazione della fattispecie di quest’ultima con elementi desunti dalla disposizione interpretata (Cass. 9 dicembre 1983, n. 7297); è da considerare, infatti, che il carattere interpretativo di una legge implica la concorrenza di un momento logico-assertivo, consistente nell’enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa il significato di un precetto antecedente cui la nuova norma si ricollega nella formula e nella ratio, e di un momento precettivo, con il quale il legislatore conferisce valore normativo all’interpretazione della norma anteriore, escludendone ogni altra (Cass. 5 novembre 1981, n. 5822). Se è vero, poi, che tra le norme d’interpretazione autentica sono ricomprese non solo quelle che, rilevato un dissenso interpretativo, si propongono di chiarire la portata di una disposizione precedente ma anche quelle che, pur non perseguendo tale dichiarato scopo, implicano necessariamente la ricognizione del valore di una disposizione precedente (Cass. 4 febbraio 1992, n. 1171), è da sottolineare che la disposizione in esame non presenta quest’ultima connotazione: in tal senso si rivela ingiustificato l’assunto, espresso nel ricorso (pag. 16), per cui la norma avrebbe natura di interpretazione autentica, non essendo di certo sufficiente, a tal fine, che la disposizione novellata ponesse dubbi sul piano ermeneutico.

3. – Il ricorso è rigettato.

4. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza; va operata la distrazione in favore dei difensori della Fondazione, secondo quanto richiesto.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore delle due controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, disponendo, per quanto attiene alla Fondazione, la distrazione delle spese in favore dei difensori della stessa; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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