Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 903 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/01/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 17/01/2020), n.903

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 11862/2013 R.G. proposto da:

Banca del Lavoro e del Piccolo Risparmio S.p.A. (incorporante della

Roseto immobiliare s.r.l.), in persona del l.r.p.t., rappresentata e

difesa dall’avv. Italo Giovanni Dalmato Palumbo, del foro di

Benevento, con cui elettivamente domicilia in Roma alla via Attilio

Regolo n. 12/D, presso l’avv. Annunziata D’Andrea;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domicilia ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 306/45/12 della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, pronunciata in data 20/9/2012, depositata

in data 15/11/2012 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20/11/2019 dal

Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Basile Tommaso, che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso;

udito l’Avv. Italo Giovanni Dalmato Palumbo per la società

ricorrente e l’Avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per

l’Agenzia delle Entrate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Banca del Lavoro e del Piccolo Risparmio S.p.A. ricorre con tre motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 306/45/12 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, pronunciata in data 20/9/2012, depositata in data 15/11/2012 e non notificata, che ha rigettato l’appello della società contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento, con cui veniva accertato nei confronti della Roseto Immobiliare s.r.l., società incorporata nell’odierna ricorrente, un reddito minimo presunto per l’anno di imposta 2007 pari ad Euro 145.706,44 sulla base dei parametri di cui al L. n. 724 del 1994, art. 30.

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R., preliminarmente, riteneva ammissibile l’appello della contribuente ed infondata l’eccezione dell’Agenzia delle entrate relativa al difetto di specificità dei motivi; inoltre, rilevava l’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento, che consentiva alla contribuente di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa.

Nel merito, il giudice di appello riteneva che la società ricorrente dovesse essere ricompresa nel novero delle società che la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, parte prima, nella formulazione vigente per l’anno 2006 a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, considera non operative, soggette pertanto al regime fiscale dello stesso art., commi 3 e ss., tenuto conto delle prescrizioni del comma 2.

Secondo la C.T.R., l’assoggettabilità al regime suindicato poteva essere esclusa verificandosi le condizioni di cui al comma 4 bis (e 4 ai fini Iva), cioè la presenza di situazioni oggettive di carattere straordinario, che avessero reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi di legge o di effettuare le operazioni rilevanti ai fini Iva nei limiti previsti, per le quali la società avrebbe potuto chiedere la disapplicazione delle norme antielusive ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8.

Riteneva la C.T.R. che le situazioni rappresentate dalla società erano piuttosto da ricollegarsi alla gestione imprenditoriale e non potevano costituire causa di disapplicazione della normativa antielusiva.

Inoltre, il giudice di appello rilevava che l’Amministrazione, nell’accogliere l’interpello per l’anno di imposta 2006, aveva chiarito che le situazioni rappresentate dalla società contribuente erano idonee a giustificare la disapplicazione della normativa in questione, a condizione che fossero riferite ad un periodo ragionevole di tempo.

La C.T.R. riteneva, infine, che la società avesse fornito giustificazioni generiche ed indimostrate dell’impossibilità di praticare canoni di locazione sufficienti per superare il test di operatività e che non avesse provato di aver avviato procedure di sfratto, di aver pubblicizzato adeguatamente la volontà di concedere in locazione gli immobili, nè di averne venduti alcuni ad un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto.

3. A seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

4. Il ricorso è stato fissato alla pubblica udienza del 20/11/2019.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 5, L. n. 241 del 1990, art. 3, e L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’insufficiente motivazione sul dedotto difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Secondo la ricorrente, il giudice di appello avrebbe erroneamente ritenuto sufficientemente motivato l’avviso di accertamento, senza considerare che lo stesso avrebbe dovuto avere una motivazione “rafforzata”, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 5, tanto più che era stato instaurato il contraddittorio con la contribuente, a seguito dell’istanza di accertamento con adesione, conclusa con esito negativo.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omesso esame di circostanze decisive, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Secondo la ricorrente, il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere che non sussistessero situazioni oggettive, che avevano reso impossibile alla Roseto Immobiliare s.r.l. il conseguimento dei ricavi minimi e non avevano consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’Iva, nonostante fosse notoria la difficile condizione del mercato immobiliare e la mancanza di recettività dello stesso.

La ricorrente deduce di aver costituito la Roseto Immobiliare s.r.l. con lo scopo specifico di partecipare alla aste immobiliari conseguenti alle ipoteche costituite in favore della Banca del Lavoro e del Piccolo Risparmio S.p.A., al fine di evitare lo svilimento del valore degli immobili, che, acquisiti dalla Roseto s.r.l., spesso non venivano venduti ad un prezzo superiore rispetto a quello di acquisto e, comunque, non venivano locati, perchè occupati dai debitori.

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè la carenza di motivazione su di un motivo di appello (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

1.2. I motivi sono inammissibili ed infondati e devono essere rigettati.

1.3. Preliminarmente, deve rilevarsi che nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012 sicchè il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

Al compito assegnato alla Corte di Cassazione dalla Costituzione resta estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito. L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

1.4. Pertanto, con riferimento al primo motivo, risultano inammissibili le doglianze relative alla semplice insufficienza della motivazione sul motivo di appello relativo alla carenza motivazionale dell’avviso di accertamento, che non denunziano l’omesso esame di un fatto decisivo, per altro senza neanche riprodurre la motivazione dell’atto impositivo, che si assume essere inadeguata.

Per il resto, il motivo è infondato, poichè il giudice di appello, con una specifica motivazione sul punto, ha valutato che l’avviso di accertamento fosse sufficientemente motivato, in quanto riportava gli elementi essenziali richiesti, quali il reddito effettivamente conseguito ed il divario tra il reddito accertato e quello minimo presunto dalla legge, nonchè la ragione della pretesa tributaria, non essendo necessaria, ai fini della validità dell’atto impositivo, la specifica confutazione delle giustificazioni fornite dal contribuente.

In particolare, nel caso di specie, come è pacifico tra le parti, l’avviso di accertamento faceva riferimento al provvedimento di diniego di disapplicazione della disciplina delle società di comodo, emesso su istanza della contribuente e noto alla stessa, con cui l’Agenzia delle Entrate rilevava che la società non aveva dimostrato le circostanze addotte a giustificazione, consistenti nella vendita di alcuni immobili ad un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto.

1.5. Con riferimento al secondo motivo, risulta inammissibile il profilo di doglianza relativo al vizio motivazionale, in quanto si limita a denunziare l’insufficienza della motivazione del giudice di appello in ordine alla sussistenza delle oggettive situazioni che avevano reso impossibile alla Roseto Immobiliare s.r.l. il conseguimento dei ricavi minimi.

All’evidenza, le censura non denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo, ma si limita a richiedere una rivalutazione del merito, preclusa in sede di legittimità.

Per quanto riguarda le denunziate violazioni di legge, esse non sussistono.

Invero, la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4 bis, vigente ratione temporis, faceva riferimento a situazioni oggettive, che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi.

Il giudice di appello, con una valutazione in fatto, che è divenuta definitiva, in quanto non risulta validamente impugnata per vizi attinenti alla motivazione, ha ritenuto che le circostanze addotte a giustificazione dalla società contribuente (mancata locazione di immobili, vendita antieconomica di alcuni di essi), oltre ad essere sprovviste della necessaria prova, fossero ricollegabili a scelte di gestione imprenditoriale, piuttosto che a situazioni oggettive, che determinavano l’impossibilità di maggiori ricavi.

1.6. Infine, per quanto riguarda il terzo motivo, non si ravvisa un’omessa pronuncia sul motivo di appello, relativo all’inapplicabilità della L. n. 724 del 1994, art. 30, al caso di specie, per essere la Roseto Immobiliare s.r.l. interamente partecipata dalla Banca del Lavoro e del Piccolo Risparmio S.p.A., società ad azionariato diffuso, in quanto il giudice di appello ha espressamente disatteso ogni altro motivo, sia pure richiamando la decisione del giudice di prime cure, genericamente condivisa.

Nè si rinviene la dedotta violazione di legge, in quanto il suddetto art. , comma 1, lett. c), n. 6, prevede che le disposizioni del primo periodo (relative alla società ed enti non operativi) non si applicano alle società con un numero di soci non inferiore a 100, evenienza che non ricorre nel caso di specie, in cui la Banca del Lavoro e del Piccolo Risparmio S.p.A era socio unico della Roseto Immobiliare s.r.l.

Pertanto, il ricorso va complessivamente rigettato.

Parte ricorrente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 7.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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