Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9029 del 15/05/2020

Cassazione civile sez. I, 15/05/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 15/05/2020), n.9029

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAZZICONE Loredana – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 26817/2017 proposto da:

(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via San Nicola Dè Cesarini n. 3,

presso lo studio dell’Avvocato Angela Buccico, rappresentata e

difesa dall’Avvocato Nicola Rocco giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate – Riscossione, già Equitalia Servizi di

Riscossione S.p.a., Equitalia Sud S.p.a., Equitalia Basilicata

S.p.a. in liquidazione, Equitalia Basilicata S.p.a., Equitalia

Matera S.p.a. e Ri.Tri.Mat. S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Barnaba Tortolini n. 30, presso lo studio del Dott. Alfredo Placidi,

rappresentata e difesa dall’Avvocato Rocco Pedoto giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

Edilcassa di Basilicata, Fallimento (OMISSIS) S.r.l.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 491/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA

pubblicata il 5/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

5/3/2020 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO, che chiede il

rigetto del ricorso, con le conseguenze di legge.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Matera, con sentenza in data 9 marzo 2017, dichiarava il fallimento di (OMISSIS) s.r.l. su istanza di Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a. ed Edilcassa della Basilicata.

2. La Corte d’appello di Potenza, all’esito del reclamo proposto da (OMISSIS) s.r.l., riteneva che la disciplina sulla cd. rottamazione delle cartelle, prevista dal D.L. n. 193 del 2016, art. 6 convertito con modificazioni dalla L. n. 225 del 2016, non impedisse all’agente della riscossione di richiedere la dichiarazione di fallimento.

Peraltro la condivisione dell’interpretazione della norma proposta dal reclamante non avrebbe impedito la dichiarazione di fallimento, in presenza di una separata istanza presentata da un diverso creditore e riunita alla richiesta di Equitalia s.p.a..

La domanda di ammissione alla procedura di definizione agevolata di cui al D.L. n. 193 del 2016, art. 6 non escludeva poi – a dire della Corte di merito – la sussistenza dello stato di insolvenza, tanto perchè non vi era prova che il debitore avesse i mezzi per pagare il proprio debito, anche al netto della definizione premiale, quanto perchè il debitore non aveva dimostrato di essere in grado di onorare le proprie esposizioni nei confronti degli altri creditori.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) s.r.l. prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso Agenzia delle Entrate – Riscossione, già Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a..

Gli intimati Edilcassa di Basilicata e fallimento (OMISSIS) s.r.l. non hanno svolto difese.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380 bis.1 c.p.c., sollecitando la declaratoria di inammissibilità o comunque il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 5 e D.L. n. 193 del 2016, art. 6 dovendosi ritenere, a differenza di quanto opinato dalla Corte di appello, che il divieto per l’agente della riscossione, previsto dall’ultima norma citata, di avviare nuove azioni esecutive o di proseguire le procedure di recupero in precedenza avviate comprenda anche l’istanza di fallimento, inibendo la relativa presentazione.

4.2 Il secondo mezzo assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata e/o del procedimento in conseguenza della violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto il riferimento fatto all’interno della decisione al disposto del D.L. n. 193 del 2016, art. 6, comma 13, (a mente del quale si applica la disciplina dei crediti prededucibili alle somme occorrenti per aderire alla definizione agevolata oggetto di procedura concorsuale) al fine di escludere l’impossibilità di accedere al beneficio della definizione agevolata in sede prefallimentare risulterebbe ontologicamente incomprensibile.

4.3 Con il terzo motivo si prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “la nullità della sentenza e/o del procedimento in conseguenza dei vulnera subiti in concreto dal diritto di difesa della ricorrente per effetto del denunciato error in procedendo – violazione ed omessa applicazione L. Fall., art. 19 – violazione ed erronea applicazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato”: la società debitrice, a seguito della manifestazione di volontà di fruire delle agevolazioni previste dal D.L. n. 193 del 2016, art. 6 che comportava l’inesigibilità del credito erariale e si riverberava di conseguenza sullo stato di insolvenza, avrebbe vanamente chiesto che il procedimento prefallimentare fosse definito soltanto all’esito della verifica dell’ammissione alla definizione agevolata, senza ricevere sul punto alcuna risposta.

La Corte d’appello non si sarebbe preoccupata di accertare l’eventuale ammissione alla procedura premiale, infliggendo così un vulnus al diritto di difesa dell’impresa fallenda, a cui era stata preclusa la facoltà di avvalersi delle agevolazioni o di far ricorso a strumenti concordatari alternativi al fallimento.

Peraltro la reclamante – che non aveva alcun obbligo di provare il possesso di mezzi per pagare il proprio debito tributario, anche al netto della definizione premiale, nonchè le altre esposizioni nei confronti degli ulteriori debitori – non si sarebbe affatto limitata ad affermare apoditticamente che la sua situazione reddituale era tale da escludere ogni insolvenza o decozione, ma avrebbe rappresentato che l’accesso alla definizione agevolata era idoneo a creare le condizioni per estinguere il debito con l’erario e soddisfare in sicurezza il credito di Edilcassa, di modo che andava esclusa la sussistenza di una situazione di insolvenza in assenza di altri debiti liquidi ed esigibili il cui adempimento potesse incidere sugli equilibri finanziari della società.

4.4 I motivi, da esaminarsi congiuntamente per il rapporto di stretta connessione che li lega, sono i primi due inammissibili, il terzo infondato.

4.5 Prendendo le mosse da quest’ultimo, per ragioni priorità logica, va ricordato, in limine, che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento assumono rilievo esclusivamente i fatti esistenti al momento della sua decisione, e non quelli sopravvenuti, perchè la pronuncia di revoca del fallimento, cui il reclamo tende, presuppone l’acquisizione della prova che non sussistevano i presupposti per l’apertura della procedura alla stregua della situazione di fatto esistente al momento in cui essa venne aperta (Cass. 16180/2017, Cass. 3479/2011).

Se avevano rilievo unicamente i fatti esistenti al momento della dichiarazione di fallimento la Corte territoriale non era affatto tenuta a disporre alcun rinvio in attesa della comunicazione dell’agente della riscossione D.L. n. 193 del 2016, ex art. 6, comma 3, ai fini della definizione agevolata.

E tanto meno doveva essere risposto rinvio al fine di consentire a (OMISSIS) s.r.l., in caso di esito sfavorevole di tale richiesta, la possibilità di presentare una domanda di concordato preventivo, ove si consideri che non sussiste un diritto del debitore, nel corso del procedimento per la dichiarazione di fallimento, a ottenere il differimento della trattazione per consentire il ricorso a procedure concorsuali alternative, nè il relativo diniego da parte del giudice configura una violazione del diritto di difesa, in quanto tali iniziative sono riconducibili all’autonomia privata, il cui esercizio deve essere oggetto di bilanciamento, ad opera del giudice, con le esigenze di tutela degli interessi pubblicistici al soddisfacimento dei quali la procedura fallimentare è finalizzata (Cass. 23111/2014, Cass. 16950/2016).

4.6 Il significato oggettivo dell’insolvenza, che è quello rilevante agli effetti della L. Fall., art. 5, deriva da una valutazione circa le condizioni necessarie (secondo un criterio di normalità) all’esercizio di attività economiche, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa e si esprime, secondo una tipicità desumibile dai dati dell’esperienza economica, nell’incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte l’estinzione dei debiti), nonchè nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio.

Occorre dunque la prova dell’attuale oggettiva impossibilità per il debitore di soddisfare regolarmente e con mezzi normali le obbligazioni assunte e tale prova deve essere offerta in applicazione del principio generale sull’onere delle parti di fornire la dimostrazione delle rispettive allegazioni (Cass. 24310/2011).

Parte reclamante, a fronte dell’incontestata sussistenza dei crediti degli istanti, non poteva limitarsi a rappresentare che l’accesso al beneficio della definizione agevolata avrebbe ridimensionato la sua situazione debitoria in maniera tale da escludere l’insolvenza, ma aveva l’onere di dare concreta dimostrazione delle proprie allegazioni (spiegando, nello specifico, come avrebbe potuto “estinguere in sicurezza l’ulteriore partita debitoria azionata da Edilcassa di Basilicata”, oltre al debito con l’erario, e perchè era giunta a sostenere che non vi erano “altri debiti liquidi ed esigibili il cui adempimento” potesse “incidere sugli equilibri finanziari della società medesima”).

Non si presta perciò a censure il rilievo della corte territoriale in merito al mancato assolvimento, con la necessaria specificità, di un simile onere probatorio a conforto delle allegazioni compiute.

Nè un eventuale accesso alla definizione agevolata avrebbe influito su tale onere probatorio a motivo della sola inesigibilità temporanea, fino alle scadenze previste dal D.L. n. 193 del 2016, art. 6, comma 3, degli oneri erariali, giacchè l’insolvenza non suppone, necessariamente, l’esistenza di inadempimenti (Cass. 30209/2012, Cass. 19027/2013) e consiste invece in una situazione in prognosi irreversibile di regolare adempimento delle obbligazioni dovuta all’incapacità dell’imprenditore di fronteggiare con mezzi normali le proprie esposizioni debitorie.

4.7 La Corte territoriale, pur affrontando la questione interpretativa sollevata dal reclamante e in maniera difforme dalla spiegazione proposta con il motivo di impugnazione, ha rilevato in via aggiuntiva come la stessa non avesse rilievo alcuno, in termini sia di legittimazione a sollecitare la dichiarazione di fallimento che di apprezzamento della condizione di insolvenza.

Quanto al primo profilo la presenza di una separata istanza avanzata da un differente creditore (Edilcassa della Basilicata) faceva sì che la procedura prefallimentare dovesse comunque avere il suo corso.

Quanto al secondo profilo la mera rappresentazione della volontà di beneficiare del meccanismo premiale non escludeva automaticamente lo stato di insolvenza, dato che non risultava dimostrato che la società fosse in grado di far fronte alla sua esposizione debitoria tributaria, pur al netto della definizione premiale, ed agli altri debiti.

In questo modo la Corte di merito ha inteso sostenere che l’interpretazione propugnata dal reclamante non impediva l’accertamento dell’insolvenza, che andava comunque compiuto tenendo conto degli effetti della definizione premiale.

Una volta constatato – ai punti precedenti – come quest’ultimo accertamento non si presti a censura, non si può che constatare come la questione interpretativa posta dalla reclamante (adducendo una violazione vuoi della norma sostanziale, vuoi della disciplina processuale) non rivestisse alcuna decisività, in quanto, quand’anche si fosse acceduto all’interpretazione proposta dalla compagine debitrice, si sarebbe dovuto comunque dare corso alla procedura prefallimentare e verificare l’effettiva sussistenza di una condizione di insolvenza.

5.1 Il quarto motivo di ricorso lamenta, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione da un lato del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dall’altro dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 55 del 2014: la Corte d’appello avrebbe posto a carico del reclamante, in ragione del rigetto del gravame, il pagamento di un ulteriore importo pari al contributo unificato già versato, quando la devoluzione piena ed automatica insita nello strumento del reclamo impediva di ravvisare l’esigenza posta a base della norma, che intende scoraggiare impugnazioni dilatorie o pretestuose.

La liquidazione delle spese sarebbe poi avvenuta senza tener conto che la controversia, avente a oggetto la revoca della dichiarazione di fallimento, aveva valore indeterminabile, a prescindere dall’entità del passivo.

5.2 Il motivo risulta in parte inammissibile, in parte infondato, pur dovendosi correggere in diritto la motivazione offerta.

5.2.1 L’ulteriore importo del contributo unificato che la parte impugnante è obbligata a versare allorquando ricorrano i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater T.U.S.G. ha natura di debito tributario; pertanto, la questione circa la sua debenza è estranea alla cognizione della giurisdizione civile ordinaria, spettando invece alla giurisdizione del giudice tributario (Cass., Sez. U., 4315/2020, Cass. 29424/2019).

Ne discende l’inammissibilità del ricorso per cassazione avverso le statuizioni della sentenza di appello che abbiano dato atto della sussistenza o insussistenza dei presupposti per l’erogazione, da parte del soccombente, di un importo pari a quello corrisposto per il contributo unificato, poichè, trattandosi di un’obbligazione tributaria, il credito ed il procedimento per la sua riscossione spettano all’erario, che non è parte in causa, mentre la controparte del giudizio di merito è, rispetto a tale obbligazione, del tutto indifferente (Cass. 15166/2018).

5.2.2 Il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento è volto a sollecitare una pronuncia di revoca di tale statuizione ed ha a oggetto l’accertamento dell’insolvenza, che si fonda sulla comparazione tra i debiti dell’imprenditore e i mezzi finanziari a sua disposizione senza investire la delimitazione quantitativa del dissesto. Il valore della causa, da determinarsi sulla base della domanda ex art. 10 c.p.c., non va perciò desunto dall’entità del passivo o del credito fatto valere dall’istante, non essendo applicabile in via analogica l’art. 17 c.p.c. riguardante esclusivamente i giudizi di opposizione ad esecuzione forzata, ma deve considerarsi indeterminabile (Cass., Sez. U., 16300/2007).

La liquidazione compiuta dalla Corte di merito pertanto ha tenuto erroneamente a parametro, ai fini dell’individuazione dello scaglione di riferimento, il valore dei crediti degli istanti piuttosto che la domanda avanzata.

La tabella da applicare tuttavia non era quella relativa al procedimento per la dichiarazione di fallimento (n. 20), riguardante il giudizio di primo grado, ma quella concernente i giudizi innanzi alla Corte d’appello (n. 12), che prevede, per i giudizi di valore indeterminabile, un compenso (di Euro 9.515) superiore a quello determinato all’interno della sentenza impugnata (di Euro 7.855 oltre spese generali).

Il che comporta la necessità soltanto di correggere, ex art. 384 c.p.c., comma 4, la motivazione della decisione impugnata, il cui dispositivo risulta comunque conforme a diritto.

6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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