Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9029 del 15/04/2010

Cassazione civile sez. III, 15/04/2010, (ud. 10/02/2010, dep. 15/04/2010), n.9029

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21774/2006 proposto da:

F.C.M. (OMISSIS) in proprio e quale erede

del coniuge B.V., F.C.T., F.C.

A., F.C.E., F.C.F., D.

P. non in proprio bensì nei nomi del loro figlio minore

F.C.R., quali eredi di F.C.V.B.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA S. ANDREA DELLA VALLE N 3,

presso lo studio dell’avvocato MELLARO MASSIMO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BRUNACCI BERTO giusta delega in calce

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Z.L., LA FONDIARIA SAI SPA;

– intimati –

sul ricorso 26643/2006 proposto da:

Z.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato NARDONE LORENZO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCUCCI PILLI DANIELA

giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

FONDIARIA SAI SPA (OMISSIS) in persona del Dott. S.D.

procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE

FORNACI 38, presso lo studio dell’avvocato ALBERICI RAFFAELE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MORICI MAURIZIO giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

F.C.M., F.C.T., F.C.

A., F.C.E., F.C.F., D.

P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1108/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

Sezione Seconda Civile, emessa il 8/3/2005, depositata il 01/08/2005,

R.G.N. 1116/A/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/02/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato MASSIMO MELLARO;

udito l’Avvocato ELISABETTA NARDONE per delega dell’Avvocato LORENZO

NARDONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbimento dell’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2 gennaio 2001 il Tribunale di Firenze rigettava la domanda proposta da F.C.M. e B.C.V. contro Z.L. per essere risarciti dei danni, conseguenti ad asserito comportamento negligente tenuto dalla Z., loro legale, dal quale erano stati assistiti in una controversia giudiziaria.

Avverso siffatta decisione proponevano appello principale gli originari attori e appello incidentale la Z..

Con sentenza del 1 agosto 2005 la Corte di appello di Firenze rigettava entrambi i gravami.

Avverso questa decisione insorgono in proprio F.C.M. e nella qualità di erede della moglie B.V., nelle more deceduta, nonchè, nella qualità di eredi, F.C.T., F.C.A., oltre F.C.F. e C. P., questi ultimi non in nome proprio, bensì in nome e per conto del figlio minore F.C.R., con ricorso articolato in tre motivi.

Resiste con controricorso la Fondiaria-Sai s.p.a. nonchè la Z. che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato.

Le parti hanno depositato rispettive memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi vanno riuniti ex art. 335 c.p.c..

1. – In punto di fatto, va premesso che i coniugi F.C., proprietari di due appartamenti a destinazione alberghiera, concessi in locazione ad una società, intendendo riprendere in proprio l’esercizio di quella attività, avevano conferito all’avv. Z. l’incarico di inviare alla conduttrice lettera contenente il diniego del rinnovo del rapporto, in applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 29, per la scadenza del 30 aprile 1990.

Promosso il giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile, il Pretore con sentenza n. 1564/89 aveva rigettato la domanda, dichiarando la nullità dell’inviata comunicazione, non essendovi stato specificato alcuno dei motivi di diniego previsti dalla L. n. 392 del 1978, art. 29, commi 1 e 2.

Siffatta decisione passava in giudicato per difetto di impugnazione.

Assumevano, inoltre, gli attori che non erano stati avvisati dal proprio difensore circa il decorso del termine per proporre impugnazione, per cui il rapporto era proseguito per altri nove anni e ad essi era venuto meno il reddito che sarebbe stato ricavato dalla programmata attività commerciale.

Di qui, la domanda nei confronti dell’avv. Z. per responsabilità professionale e, conseguente risarcimento danni, respinta dal Tribunale di Firenze con la sopraindicata sentenza del 2001.

La Corte di appello di Firenze, rigettando l’appello proposto dagli attori, con la sentenza attualmente soggetta a ricorso, ha ritenuta diligente l’attività svolta dal professionista, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, ritenendo, contrariamente alla statuizione pretorile, non impugnata per inutile decorso del relativo termine, che la “disdetta” fosse stata, per la sua formulazione, idonea e valida a raggiungere lo scopo prefissato e voluto dai clienti della Z., che, per loro, conto inviò alla conduttrice la prescritta comunicazione di diniego del rinnovo del contratto alla scadenza.

2. – Con il primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, in relazione alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 29 – carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti (art. 360 c.p.c., nn. 2 e 5) i ricorrenti assumono, in estrema sintesi, che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice dell’appello, la Z. dovrebbe rispondere per colpa lieve, perchè sarebbe stata “imprudente” nel non specificare nella lettera, inviata per conto degli originari attori il 30 marzo 1988, il motivo di diniego del rinnovo del contratto alla conduttrice, non indicando in essa l'”attività alla quale i coniugi F.C. avrebbero destinato l’immobile una volta ottenutane la disponibilità” (p. 10 ricorso).

Il motivo va disatteso.

Di vero, il giudice dell’appello si è fatto carico di esaminare la lettera de qua, riportandone uno stralcio nella parte più significativa (p. 4 sentenza impugnata) e, applicando i principi di ermeneutica in tema contrattuale all’atto unilaterale, ne ha tratto il convincimento che nessuna colpa fosse imputabile alla Z..

Dopo aver correttamente affermato che, nella specie, andava applicato la L. n. 392 del 1978, art. 29, comma 4, ne ha desunto che la dicitura contenuta nella lettera “l’intenzione di adibire i locali…per l’esercizio dell’attività del sig. F.C. M.” non conteneva una generica dichiarazione dell’intento di svolgere, da parte del locatore, nell’immobile una attività non meglio specificata, in quanto non potendo essere addotto l’uso proprio per una diversa e mutata destinazione dell’immobile, la richiesta di averne la disponibilità per svolgervi la propria attività non poteva avere altro significato che quello di voler proseguire l’uso cui l’immobile era destinato.

E ciò unitamente alla circostanza che la precedente attività del F., di cui la stessa conduttrice era a conoscenza (tant’è che nulla fu eccepito dalla conduttrice in sede di comparsa di costituzione), ovvero l’esercizio di attività alberghiera, indicava univocamente la volontà degli attori di esercitare in proprio detta attività.

Con l’effetto che la lettera, così come redatta, era idonea a contenere i ed. specifici motivi perchè fosse condizione di procedibilità per l’azione di rilascio (Cass. n. 11681/91).

Una volta esclusa, dunque, con un giudizio ermeneutico non incongruo, la colpa della Z. ed avendo anche la Corte di merito ritenuto che, tutt’alpiù, si poteva “solamente ammettere la controvertibilità e opinabilità della questione” (p. 6-7 sentenza impugnata), ne consegue che in radice il motivo non merita accoglimento, essendovi un accertamento in fatto, congruamente e logicamente motivato, che sfugge, pertanto, al sindacato di legittimità.

Nè rileva l’ulteriore affermazione, secondo la quale la inesistenza del vincolo alberghiero non esiste più a seguito della sentenza costituzionale n. 4 del 1981 – come si evincerebbe, peraltro, anche dalla Delib. Consiglio Comunale di Firenze 29 aprile 1999, n. 21 di approvazione del “piano turistico cittadino” e dall’ordinanza sindacale 29 maggio 1998 n. 3697 di variante generale al Piano regolatore contenente norme tecniche di attuazione” (p. 14 ricorso) – per il semplice motivo, assorbente, che in punto di fatto, e non è contestato, l’immobile locato aveva una sua destinazione alberghiera, assoggettabile, pertanto, in materia di locazione, alla disciplina autonoma di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 29).

In altri termini, una volta che il giudice del gravame ha ritenuto idonea ed efficace nella sua formulazione l’attività difensiva dispiegata nell’interesse e per conto dei F.C. con l’invio della prescritta lettera di disdetta ed ha escluso ogni colpa, anche lieve, del professionista, non può trovare ingresso la imputabilità in capo alla Z. di quanto sanzionato per l’inosservanza da parte del debitore dell’obbligo di usare la diligenza del buon padre di famiglia, così come, invece, richiesto dai ricorrenti, di cui all’art. 1176 c.c., comma 2.

3. – Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione della L. 22 luglio 1978, n. 392, art. 29, in relazione agli artt. 1350 c.c., n. 13 e art. 2729 c.c., u.c.) i ricorrenti lamentano che, essendo prevista per la comunicazione ex art. 29 della legge citata la forma scritta, a loro avviso, ad substantiam, opererebbe la disciplina di cui all’art. 1350 c.c., n. 13 e, quindi, per il disposto dell’art. 2729 c.c., u.c., non era ammissibile la prova per presunzioni, perchè vietata la prova testimoniale.

Osserva il Collegio che il motivo è infondato.

Infatti, il giudice dell’appello ha escluso che l’immobile potesse essere stato richiesto per un utilizzo diverso da quello dell’attività alberghiera, come è pacifico fosse destinato.

4. – Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1334 e 1335 c.c., in relazione all’art. 325 c.p.c. – difetto di motivazione: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), i ricorrenti si dolgono del fatto che il giudice dell’appello non abbia accolto il rilievo, da essi prospettato, circa la mancata proposizione dell’appello, come imputabile alla negligenza del loro difensore.

In sintesi, essi lamentano di non essere stati informati che, per impugnare la sentenza dì primo grado, occorreva rispettare il termine breve, perchè la sentenza del pretore era stata notificata (p. 16 ss. ricorso).

Al riguardo, osserva il Collegio che il giudice dell’appello ha posto in rilievo che dalle risultanze istruttorie (corrispondenza inviata ai coniugi F.C. e prove testimoniali) è emerso che i coniugi manifestarono l’intenzione di non procedere oltre (p. 8 sentenza impugnata).

Si tratta di valutazione del materiale probatorio rimesso alla discrezionalità del giudice del merito e, quindi, non censurabile per cassazione.

Peraltro, questo motivo mostra tutta la sua contraddittorietà con la linea difensiva assunta in sede di appello dagli attori, in quanto se, come aveva ritenuto il pretore nella sua sentenza, la lettera di disdetta era da considerarsi nulla per difetto del necessario requisito della specificità del motivo, tra quelli tassativamente indicati nella L. n. 392 del 1978, art. 29, diveniva inutile la dedotta preclusione dell’impugnazione, che si assumeva, nel giudizio de quo avanti al Tribunale, provocata dalla negligenza del legale;

se, invece, vi era ancora spazio e interesse per coltivare l’impugnazione, ciò significava che era possibile riconoscere la validità e la efficacia della disdetta e, quindi, il difensore nella fase pretoriale era immune da colpa, come, logicamente e correttamente sottolinea la sentenza impugnata (p. 4).

Conclusivamente, il ricorso va respinto; il ricorso incidentale condizionato resta assorbito e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato e condanna i ricorrenti in solido alle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida per ciascuna delle parti costituite in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2010

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