Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9028 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 13/11/2020, dep. 31/03/2021), n.9028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9491/2019 proposto da:

M.H., domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la

cancelleria della Corte di cassazione e rappresentato e difeso

dall’avvocato Ennio Cerio per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., domiciliato per

legge presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, Via dei

Portoghesi, 12 che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1665/2018 della Corte di appello dell’Aquila,

pubblicata il 14/09/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Scalia Laura nella

camera di consiglio del 13/11/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello dell’Aquila con la sentenza in epigrafe indicata, respingendo l’impugnativa proposta, ha confermato l’ordinanza con cui il locale tribunale aveva respinto l’opposizione di M.H. avverso la decisione della competente Commissione territoriale di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

La Corte di merito ha ritenuto nel racconto reso in fase amministrativa – nel quale il richiedente riferiva di essere fuggito dal proprio Paese, il Ghana, in seguito ad un incendio scoppiato in una palazzina per un problema all’impianto elettrico a cui egli aveva lavorato come elettricista, non potendo risarcire il danno che ne era venuto agli occupanti della prima – l’insussistenza dei presupposti della protezione invocata, avendo la vicenda narrata una valenza di lite privata civile non integrativa per il richiedente di un rischio effettivo di soffrire trattamenti inumani o degradanti o di persecuzioni. I giudici di appello hanno escluso l’esistenza nel Paese di provenienza di una situazione di violenza indiscriminata e di conflitto armato come definita dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e situazioni di particolare vulnerabilità legittimanti il riconoscimento della protezione umanitaria, non integrata dallo svolgimento di attività lavorativa in Italia.

M.H. ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza con un motivo.

Il Ministero dell’Interno si è costituito e resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico articolato motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 10, 13 e 27 e della direttiva Europea n. 32 del 2013, art. 16, degli artt. 6 e 13 della CEDU e dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 della direttiva n. 32 del 2013 cit..

La Corte di appello aveva valutato, escludendola, una situazione di violenza indiscriminata nella zona di provenienza del richiedente in forza di fonti non aggiornate, attingendo informazioni sulla Nigeria risalenti al giugno 2017 pur avendo assunto la decisione nel settembre 2018 e comparando impropriamente, perchè non pertinente elemento di paragone, la situazione del Lagos con quella di “tantissimi altri Paesi” in cui esisteva criminalità comune.

Il timore del ricorrente di subire pene o trattamenti inumani era effettivo, rischiando lo stesso di essere punito per incendio colposo, titolo per il quale il “codice di procedura penale” (p. 4 ricorso) del Ghana prevede la pena da tre a dieci anni alla quale, là dove superiore ai tre, si accompagna anche la condanna ai lavori forzati.

La condizione di sovraffollamento delle carceri ghanesi, la sottoposizione di detenuti a maltrattamenti e tortura e ancora dei condannati in quel Paese a pene sproporzionate, erano condizioni attestate da altre Corti di merito nazionali, da note del Ministero degli Affari Esteri italiano e da report di Amnesty International e la Corte di appello dell’Aquila nel ritenere il rischio connesso all’incendio colposo riferito circoscritto ad un ambito civilistico non avrebbe tenuto conto delle “incolpazioni” della magistratura penale.

L’omessa attivazione della Corte di appello dell’Aquila nell’assumere informazione sulle condizioni carcerarie nel paese di provenienza del richiedente avrebbe violato il canone della cooperazione istruttoria gravante sul giudice della protezione internazionale.

1.1. Il motivo di ricorso è generico.

Il provvedimento impugnato all’esito del racconto reso dal richiedente attribuisce un rilievo solo civilistico alla vicenda narrata sui danni risentiti da terzi in conseguenza dell’incendio colposo dal primo procurato per imperizia e comunque evidenzia la circostanza che il richiedente non risulta oggetto di accertamento alcuno da parte della magistratura di quel Paese, nè civile nè penale.

Sul punto il ricorrente fa valere davanti a questa Corte un difetto di indagini per mancata attivazione dell’onere di collaborazione istruttoria del giudice del merito senza neppure richiamare le correlate norme per poi confrontarne il portato rispetto alla motivazione impugnata, ferme: l’accertamento operato dal giudice del merito, secondo il modello che è proprio della violazione di legge per il vizio di sussunzione denunciato (Cass. n. 6035 del 13/03/2018).

1.2. Il motivo non è neppure autosufficiente mancando con esso il ricorrente di far valere di aver dedotto dinanzi ai giudici di merito il rilievo penale della vicenda riferita in ragione delle paventate sanzioni e fa valere quindi una diversità del fatto narrato rispetto a quello riferito dalla Corte territoriale – che ha attribuito al primo timori espressi solo sui versante degli effetti civili dell’assunta condotta illecita – che non si concilia con il vizio denunciato.

1.3. La proposta censura non dialoga con la motivazione impugnata per il diverso apprezza vento ivi espresso, e che è ragione della decisione, sulla mancata deduzione di accertamenti della magistratura, integrativi, questi, di una individualizzazione del mischio che la persona richiedente protezione deve peraltro allegare.

In tema di protezione internazionale, il richiedente ha l’onere di allegare in modo circostanziato i fatti costitutivi del suo diritto circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del paese di provenienza, atteso che l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la cooperazione istruttoria consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione ma esclusivamente su quello della prova. Ne consegue che solo quando il richiedente abbia adempiuto all’onere di allegazione sorge il potere-dovere del giudice di cooperazione istruttoria, che tuttavia è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente (Cass. n. 17185 del 14/08/2020; Cass. 03;02;2020 n. 2355).

2. Il ricorso è in via conclusiva inammissibile ed il ricorrente va condannato, secondo soccombenza, a rifondere al Ministero resistente le spese di lite come da dispositivo liquidate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al Ministero dell’interno le spese di lite che liquida in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 1, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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