Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9028 del 15/05/2020

Cassazione civile sez. I, 15/05/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 15/05/2020), n.9028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAZZICONE Loredana – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3441/2016 proposto da:

(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via degli Appennini n. 46, presso

lo studio dell’Avvocato Stefano Isidori, rappresentata e difesa

dagli Avvocati Massimo Basilavecchia e Giuseppina D’Angelo giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. e Procura della Repubblica

di Pescara;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di PESCARA depositato il 30/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

5/3/2020 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO, che ha chiesto la

dichiarazione di inammissibilità dell’unico motivo e la

formulazione del principio di diritto nel senso indicato in

narrativa.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In sede di approvazione del rendiconto finale, ai sensi della L. Fall., art. 116, del fallimento di (OMISSIS) s.r.l. il creditore Avv. D.G., titolare di un credito prededucibile privilegiato, contestava il pagamento effettuato dal curatore in favore di sè medesimo a compenso del credito vantato per l’attività svolta quale commissario giudiziale nella procedura concordataria che aveva preceduto il fallimento; tale pagamento, secondo la creditrice, sarebbe dovuto avvenire nell’ambito di un riparto ed attuando il principio del concorso, con soddisfazione proporzionale di entrambi i crediti prededucibili, stante l’insufficienza delle somme disponibili all’integrale corresponsione delle cifre dovute.

2. Il Tribunale di Pescara, all’esito del giudizio di rendiconto svoltosi secondo le modalità previste dalla L. Fall., art. 116, u.c., dopo aver ricordato che ogni questione di graduazione dei crediti prededucibili andava affrontata in sede di ripartizione finale dell’attivo e che il pagamento in contestazione era avvenuto in puntuale esecuzione del provvedimento autorizzativo del giudice delegato, comunque osservava che, in caso di insufficienza dell’attivo, era necessario applicare la regola della graduazione all’interno dei crediti prededucibili.

In questa prospettiva la configurabilità del credito del commissario giudiziale quale credito di giustizia aveva consentito di procedere al suo pagamento con preferenza rispetto al credito del professionista, parimenti prededucibile ma con privilegio sottordinato.

I rilievi contabili sollevati dal creditore prededucibile, oltre a essere inammissibili, attenevano quindi soltanto a “irrilevanti discrasie senza sostanziali differenze sul piano del risultato contabile” riguardanti il saldo attivo, con la conseguente necessità di procedere all’approvazione del conto presentato dal curatore.

3. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso (OMISSIS) s.r.l. in bonis prospettando un unico motivo di doglianza.

Gli intimati Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pescara e Dott. T.G.C., già curatore del fallimento (OMISSIS) s.r.l., non hanno svolto difese.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380 bis.1 c.p.c., sollecitando la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Il motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 111-bis c.p.c., comma 3, in quanto il Tribunale avrebbe erroneamente applicato tale norma, riguardante i soli crediti sorti nel corso del fallimento, al fine di ritenere correttamente soddisfatto al di fuori del piano di riparto, a seguito di una mera autorizzazione del giudice delegato, un credito sorto prima della dichiarazione di fallimento.

Un simile credito, al contrario, doveva essere oggetto di apposita istanza di insinuazione al passivo e, una volta ammesso, andava inserito nell’ordinario progetto di ripartizione.

5. La censura è inammissibile, per una serie di concorrenti motivi.

5.1 Il permanere o l’insorgere di contestazioni in sede di udienza di discussione del rendiconto imponeva l’avvio di una fase contenziosa, da svolgersi, a mente della L. Fall., art. 116, comma 4, “innanzi al collegio che provvede in camera di consiglio”.

Il tenore della norma – in uno con la natura contenziosa del giudizio, ove risultano coinvolti non solo gli organi della procedura, ma anche il fallito e i creditori – induce a ritenere che il legislatore abbia inteso fare rinvio al generale disposto degli artt. 737 c.p.c. e ss., onde garantire appieno i diritti delle parti coinvolte.

La statuizione assunta dal collegio all’esito del giudizio camerale era dunque reclamabile di fronte alla Corte d’appello nel termine di dieci giorni, ex art. 739 c.p.c., comma 1.

L’assoggettabilità del provvedimento a una tale forma di impugnazione fa sì che lo stesso non sia ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., per mancanza del requisito della definitività.

5.2 Peraltro il giudizio di rendiconto vede coinvolti non solo gli organi della procedura, ma anche il fallito, i creditori (e più precisamente i creditori ammessi al passivo, coloro che hanno proposto opposizione e i creditori in prededuzione non soddisfatti, ai quali il curatore deve dare notizia del deposito del conto in cancelleria e della fissazione dell’udienza ai sensi della L. Fall., art. 116, comma 3) e gli interessati che dimostrino di avere un interesse relativamente agli effetti del rendiconto sulla propria sfera giuridica.

Il passaggio dalla fase precontenziosa alla fase contenziosa è segnato dall’insorgere o dal permanere di contestazioni irrisolte in sede di udienza di discussione.

Il perimetro del giudizio contenzioso di rendiconto rimane poi delimitato dal contenuto delle contestazioni sollevate, le quali, dovendo essere concrete e specifiche (in modo da puntualizzare le vicende e i comportamenti imputati al curatore, nonchè le conseguenze, anche solo potenzialmente dannose, che ne siano derivate), individuano la materia del contendere, onde consentire al curatore di approntare un’efficace esplicazione del suo diritto di difesa (Cass. 7320/2016).

Nel caso in esame il decreto impugnato registra l’avvenuta presentazione di contestazioni da parte del creditore Avv. D.G., ma non dà conto di alcuna ulteriore contestazione sollevata da parte della compagine fallita o dagli altri soggetti legittimati.

La contestazione sollevata riguardava peraltro la correttezza del pagamento del compenso del commissario giudiziale, asseritamente effettuato (dal curatore in favore di se stesso, per aver ricoperto entrambi i ruoli) in violazione del principio del concorso, non potendosi ravvisare – in tesi del creditore che aveva formalizzato le proprie contestazioni – i presupposti per procedere a gradazione.

In questo ambito rimaneva quindi confinato il giudizio contenzioso di rendiconto.

Non è dato quindi alla società fallita, nel silenzio serbato nell’avvio della fase contenziosa, aggiungersi al novero dei soggetti che criticano il rendiconto presentato soltanto all’esito della decisione e al fine di ampliare il thema decidendum, per di più ponendo la questione relativa alla legittimità del pagamento effettuato non in termini di gradazione o proporzione, ma di esatta applicazione della L. Fall., art. 111-bis, comma 3.

Anche in questo ambito infatti i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio contenzioso di rendiconto, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito nè rilevabili d’ufficio (Cass. 1377/2003).

5. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

La mancata costituzione in questa sede delle parti intimate esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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