Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9027 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 31/03/2021), n.9027

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18959/2019 proposto da:

M.Z., rappresentato e difeso dall’Avv. Marco Lanzilao, con

domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Angelico n. 38;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA N. 228/19

depositata il 13 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere GORI PIERPAOLO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– Con sentenza n. 228, depositata in data 13.4.2019 nella controversia iscritta al RGN 868/2018, la Corte d’Appello di Perugia rigettava l’appello proposto da M.Z., cittadino bengalese, confermando l’ordinanza emessa dal Tribunale di Perugia ex art. 702 bis c.p.c., il 30.1.2018, con la quale era stata a sua volta dismessa l’impugnazione del provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di Perugia a mezzo della quale gli era stato negato il riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato o sussidiaria) e umanitaria.

– Il ricorrente rendeva noto di essere stato costretto ad abbandonare il Bangladesh a seguito di violenta persecuzione da parte del partito politico al potere Awami League nei confronti di quello di opposizione, BNP, di cui egli faceva parte, con rischio di essere ucciso.

– Avverso la decisione in data 12.6.2019 il richiedente ha notificato ricorso, affidato a sette motivi, mentre il Ministero dell’Interno non ha svolto difese, restando intimato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con il primo motivo il ricorrente censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – la nullità della sentenza di appello per omessa motivazione ovvero motivazione apparente, facendo la sentenza riferimento a fatti (il rischio di essere ucciso dagli autori di un non meglio precisato sabotaggio) e anche ad un Paese (la Nigeria) non attinenti alla fattispecie e, più in generale, non avendo il giudice d’appello esposto lo svolgimento del processo, nè indicato quali fossero le doglianze dell’appellante nè avendo argomentato il proprio convincimento.

– Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’error in procedendo in cui è incorsa la Corte d’appello omettendo di pronunciarsi su di un motivo di appello (a pag.9) in cui si richiedeva la declaratoria di nullità o comunque l’annullamento dell’ordinanza impugnata per la situazione del Paese (Bangladesh), con conseguente nullità della sentenza.

– Con il terzo motivo si deduce – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – l’errato o omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nella condizione di pericolosità e di violenza generalizzata in Bangladesh, oltre che l’omessa consultazione di fonti informative e l’errata applicazione dell’onere della prova.

– Con il quarto motivo il ricorrente lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – l’errato o omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente, oltre che l’omessa valutazione delle prove nonchè delle fonti citate e riportate.

– Con il quinto motivo il ricorrente censura – ai sensi art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio politiche del paese di origine; il motivo, oltre che la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, denuncia anche l’omesso esame delle fonti informative attualizzate sul Paese di origine e l’omesso esame dell’art. 10 Cost..

– Con il sesto motivo il ricorrente deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 ed 8 del D.Lgs. n. 25 del 2008, nonchè il difetto di motivazione e il travisamento dei fatti in conseguenza dell’assoluta mancanza di istruttoria in merito alle condizioni del paese di origine del ricorrente idonee a determinare una ipotesi di motivazione apparente.

– Con il settimo motivo il ricorrente deduce – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – l’erronea mancata applicazione da parte della Corte d’appello della protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al ricorrente non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. art. 19, ult. cit. che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi, oltre che l’omessa applicazione dell’arti Cost., l’omessa valutazione delle condizioni personali del ricorrente ai fini dell’umanitaria e l’omesso esame del capo di impugnazione di cui alla pag. 11 dell’atto di appello.

– I motivi primo e sesto possono essere affrontati congiuntamente in quanto connessi, e sono da affrontarsi prioritariamente anche su di un piano logico perchè dal loro accoglimento deriverebbe la nullità della sentenza per motivazione apparente, e sono fondati.

– Nella decisione della Corte d’appello di Perugia il riepilogo del fatto processuale è limitato alla menzione del rigetto delle domande di protezione e – in disparte dal fatto che nel presente ricorso è contestata l’esatta individuazione del thema decidendum da parte del giudice d’appello ai fini della corrispondenza tra chiesto e pronunciato anche circa la domanda di protezione umanitaria – il fatto materiale è riportato contraddittoriamente.

– In primo luogo, a pag. 2 della sentenza, nel contesto dell’esame dei presupposti per lo status di rifugiato, la sentenza succintamente riporta che il ricorrente allega di essere fuggito dal Bangladesh in conseguenza di persecuzioni politiche; in secondo luogo – nella motivazione con cui rigetta la richiesta di protezione sussidiaria – la Corte d’appello fa riferimento ad un fatto e anche ad un paese di origine diverso: “non può peraltro non essere sottolineato, da un lato, che la stessa parte non ha posto a fondamento della sua fuga la situazione nigeriana, ma la vicenda esclusivamente privatistica del timore di ritorsioni” (cfr. pp.2 e 3 della sentenza) e in terzo luogo, nel fare riferimento al “rischio Paese”, il giudice d’appello a pag.3 della decisione menziona e si riferisce alla Nigeria. Questi tre passaggi sono gli unici contraddittori riferimenti individualizzanti la fattispecie concreta mentre, per il resto, la motivazione resta sul piano dei principi generali giurisprudenziali e normativi.

– La contraddizione è grave investendo gli elementi essenziali del fatto e per tale ragione non è sanabile, risultando la motivazione non controllabile nel suo iter logico, disancorato com’è da univoci riferimenti al quadro fattuale e probatorio (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 2014), e non idonea ad attagliarsi con ragionevole certezza al caso di specie. Si è, in conclusione, in presenza di una fattispecie di motivazione apparente, ovvero di motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, risulta tuttavia costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio (cfr., per tutte, Cass. n. 9105/2017) e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6.

– L’accoglimento del primo e sesto motivo, l’assorbiti il secondo, terzo, quarto, quinto e settimo, comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione, affinchè proceda ad un nuovo esame in relazione ai profili accolti e provveda sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

– La Corte, accoglie il primo e sesto motivo di ricorso, assorbiti il secondo, terzo, quarto, quinto e settimo, cassa il provvedimento impugnato in relazione ai profili accolti e rinvia alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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