Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9026 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 31/03/2021), n.9026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18938/2019 proposto da:

B.K., rappresentato e difeso dall’Avv. Marta Di Tullio,

elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Roma,

via Emilio Faà di Bruno n. 15;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura dello Stato con domicilio eletto in Roma, via

dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA n. 3173/18,

depositata il 27 dicembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere GORI PIERPAOLO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– Con sentenza n. 3173, depositata in data 27.12.2018 e notificata in pari data nella controversia iscritta al RGN 1244/2017, la Corte d’Appello di Bologna rigettava l’appello proposto da B.K., cittadino pakistano, confermando l’ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna ex art. 702 bis c.p.c., in data 30.3.2017, attraverso la quale era stata a sua volta rigettata l’impugnazione del provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di Bologna con cui gli era stato negato il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

– Il richiedente riferiva di avere lavorato come contadino in Pakistan, di aver assistito ad un omicidio e aver indicato i nomi dei responsabili alla polizia; essendo questa corrotta, temeva di essere ucciso ove avesse testimoniato in tribunale e – ottenuta una somma di denaro in prestito abbandonava il Pakistan.

– Avverso la decisione in data 25.6.2019 il richiedente ha notificato ricorso, affidato a tre motivi, cui replica il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– In via preliminare, il Ministero controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso in quanto portante censure, presentate come violazioni di legge, ma in realtà prospettanti una diversa ricostruzione dei fatti già accertati dai giudici del merito. La censura è scrutinabile unicamente insieme alla disamina dei singoli motivi.

– Con il primo motivo il ricorrente lamenta – senza individuazione del pertinente paradigma ex art. 360 c.p.c., comma 1, – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, la Direttiva Procedure n. 2013/32 UE, art. 16, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per aver il giudice d’appello indebitamente fondato la ragione del diniego della protezione internazionale al richiedente – e anche di quella umanitaria svolta in subordine – sulla base di un preliminare e indimostrato giudizio di non credibilità delle dichiarazioni del richiedente.

– Con il secondo motivo il ricorrente deduce – senza individuazione del pertinente paradigma ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, art. 7 e art. 14, lett. b), oltre che (nel corpo del mezzo di impugnazione) 8 del D.Lgs. n. 25 del 2008, avendo la Corte d’appello mancato di svolgere un'”indagine officiosa rispetto alla situazione in Pakistan”.

I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto incentrati sulla valutazione di credibilità delle dichiarazioni del ricorrente e sull’assenza di adeguata cooperazione istruttoria, e presentano profili di inammissibilità e di infondatezza.

– Quanto al primo motivo va innanzitutto rammentato che il giudice del merito non è chiamato a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale di costui, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 19177 del 15/09/2020, Rv. 659110 – 01).

– Inoltre, la valutazione delle dichiarazioni del richiedente nel caso di specie non risulta affidata alla mera opinione del giudice, bensì è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione (cfr. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 14674 del 09/07/2020, Rv. 658388 – 01), compiuta non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, dal momento che la Corte d’appello ha tenuto conto – anche attraverso il consentito richiamo alla decisione di primo grado – della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente.

– Il giudice d’appello non si è limitato a dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto, e ha preso in carico le dichiarazioni del richiedente concludendo nel senso di un suo abbandono del Paese di origine per scelta personale, in assenza di situazioni di rischio rilevanti per lui, non avendo egli riferito in modo circostanziato di possibili e concrete situazioni di assenza di protezione nei suoi confronti da parte delle autorità statali. Si tratta di una valutazione che, in quanto effettuata secondo i canoni legali previsti, dà luogo ad un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non superato dalla deduzione di fatti decisivi e contrari non esaminati.

– In relazione al secondo motivo, se è vero che nei procedimenti in materia di protezione internazionale, la valutazione di inattendibilità del racconto del richiedente, per la parte relativa alle vicende personali di quest’ultimo, non incide sulla verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 16122 del 28/07/2020, Rv. 658561 – 01), la Corte nondimeno osserva che il richiedente nel caso di specie si duole del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e non della lett. c) in assenza di individualizzazione della censura, e del fatto che la corte d’appello non abbia accertato d’ufficio la mancata protezione da parte della polizia nel Paese di origine. Tuttavia, dalla lettura del ricorso non è dato sapere se ci fosse un motivo di appello a riguardo, e tale atto non è riprodotto per compiuta autosufficienza, mentre il giudice d’appello ha espressamente accertato, come sopra si è dato conto, il fatto che il richiedente non ha fatto precisi riferimenti a possibili situazioni di assenza di protezione nei suoi confronti da parte delle autorità statali (cfr. p.3 sentenza impugnata), con conseguente inammissibilità della doglianza.

– Con il terzo motivo il ricorrente lamenta – in difetto di individuazione del pertinente paradigma ai sensi dell’art. 360 c.p.p., comma 1, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con riferimento alla richiesta della misura residuale della protezione umanitaria.

Il motivo è inammissibile. In disparte dalla tecnica di formulazione del mezzo di impugnazione, comunque individuabile in una censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. sulla base del suo tenore, il ricorrente non censura utilmente l’accertamento del giudice del merito secondo cui il richiedente non ha fornito adeguata prova in ordine alla vulnerabilità personale e generale in caso di rimpatrio (cfr. p. 4 sentenza impugnata), tenuto anche conto del richiamo espresso alla motivazione del giudice di primo grado (cfr. p.3, Ibidem) quanto all’assenza di gravi danni alla persona. Il difetto di allegazione non è superato dal ricorrente in questa sede, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, attraverso la dimostrazione di un fatto decisivo e contrario in questa sede, derivandone l’inammissibilità del motivo.

In conclusione, il ricorso va disatteso, e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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