Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9026 del 06/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/04/2017, (ud. 09/02/2017, dep.06/04/2017),  n. 9026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9373-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

FEGIALL SRL UNIPERSONALE IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 8726/47/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 06/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/02/2017 dal Consigliere Dott. MOCCI MAURO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Preso atto:

che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., delibera di procedere con motivazione sintetica;

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che aveva accolto l’appello della FE.GI.ALL s.r.l. contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Napoli. Quest’ultima aveva respinto l’impugnazione della società contro gli avvisi di accertamento IRES, IVA e IRAP per l’anno 2007;

che, nella decisione impugnata, la CTR ha affermato come la contribuente già nel ricorso introduttivo avesse contestato l’accertamento per mancata instaurazione di un preventivo contraddittorio;

Rilevato:

che il ricorso è affidato a due motivi;

che, mediante il primo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d): la ricorrente sostiene che l’accertamento del maggior reddito era stato fondato non solo sugli studi di settore ma anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta. E la condotta antieconomica rilevata dall’Ufficio non sarebbe stata superata dalle argomentazioni di controparte;

che, mediante il secondo, l’Agenzia assume la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 21, e della L. n. 212 del 2000, art. 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3: l’obbligo del contraddittorio non avrebbe portata generale, ma, per quanto riguarda i tributi “non armonizzati” esso sarebbe escluso in radice, mentre per i tributi “armonizzati” la società non avrebbe assolto l’onere di dimostrare le ragioni che avrebbe potuto far valere, in sede amministrativa, ove il contraddittorio si fosse regolarmente tenuto;

che l’intimata non ha resistito;

che il secondo motivo, dotato di valenza logica prioritaria, va accolto;

che, invero, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Sez. U, n. 24823 del 09/12/2015);

che, pertanto, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”;

che, per converso, l’obbligo varrebbe per l’IVA ma, nella specie, dalla sentenza impugnata non emerge affatto che la contribuente abbia enunciato, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere ove fosse stata ammessa al contraddittorio preventivo;

che il primo motivo resta assorbito;

che deve in definitiva procedersi alla cassazione della sentenza con rinvio alla CTR della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

PQM

Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2017

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