Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9024 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 31/03/2021), n.9024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16947/2019 proposto da:

E.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Manuela Agnitelli,

elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in

(OMISSIS);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura dello Stato con domicilio eletto in Roma, via

dei Portoghesi 12, costituito ai soli fini dell’eventuale

partecipazione all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma

1;

– resistente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA n. 804/18,

depositata il 20 novembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere GORI PIERPAOLO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– Con sentenza n. 804, depositata in data 20.11.2018 nella controversia iscritta al RGN 53/2018, la Corte d’Appello di Perugia rigettava l’appello proposto da E.M., cittadino nigeriano, confermando l’ordinanza emessa dal Tribunale di Perugia ex art. 702 bis c.p.c., con la quale era stata a sua volta rigettata l’impugnazione del provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di Firenze-Perugia con cui gli era stato negato il riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato e sussidiaria) e umanitaria.

– Il richiedente rendeva noto di aver dovuto abbandonare la Nigeria a seguito di alcuni conflitti tra la comunità Afandion, di cui faceva parte, e quella Atani per questioni legate al controllo di terre agricole, contrasti nei quali era stato anche ucciso un suo amico e, dopo una permanenza di pochi mesi in Libia, raggiungeva l’Italia.

– Avverso la decisione, in data 20.5.2019 il richiedente ha notificato ricorso, affidato a quattro motivi, mentre il Ministero dell’Interno si è costituito ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– Con il primo motivo il ricorrente deduce – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 11, lett. e) ed f), oltre che la carenza e lacunosità della motivazione per aver la Corte di appello di Perugia rigettato la richiesta dello status di rifugiato “non riuscendo ad individuare persecuzioni per tendenze o stili di vita” e senza argomentazione alcuna.

– Il motivo è inammissibile. Va infatti rammentato che ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, è riservato al giudice del merito l’apprezzamento del fatto, incluso quello sula situazione socio-politica o normativa del Paese di provenienza, la quale è rilevante solo se correlata alla specifica posizione del richiedente e, più specificamente, al suo fondato timore di una persecuzione personale e diretta, per l’appartenenza ad un’etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze e stili di vita, e quindi alla sua personale esposizione al rischio di specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità psico-fisica (Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226 – 02) – circostanze neppure dedotte nel caso di specie.

– Inoltre, il vizio prospettato sostanzialmente per una parte denuncia una motivazione insufficiente che incappa nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mentre per la restante parte in cui la censura si declina sotto lo schermo della violazione di legge, essa comunque mira chiaramente ad una indebita rivalutazione del fatto senza contenere la prospettazione di un travisamento della prova che, sola, recando l’informazione probatoria su un punto decisivo, acquisita e non valutata, mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 3796 del 14/02/2020, Rv. 657055 – 01), senza implicare una nuova valutazione dei fatti, bensì facendo emerge la constatazione che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale.

– Con il secondo motivo il ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.p., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), art. 3, comma 3, lett. a), 2, 3, 5, 8 e 9CEDU, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in quanto il rigetto della protezione sussidiaria sarebbe intervenuto senza alcuna valutazione del danno grave prospettato, in difetto di istruttoria.

– Con il terzo motivo il ricorrente deduce – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, art. 3, comma 3, lett. a) e b), 3 e 7 CEDU in quanto il rigetto del riconoscimento della protezione sussidiaria sarebbe stato emesso anche sulla base di un giudizio prognostico, futuro e incerto e non sulla base dello stato effettivo ed attuale del Paese di origine, avendo il giudice d’appello ritenuto che in Nigeria non vi fosse un pericolo generalizzato.

– I due motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto connessi ed attinenti alla protezione sussidiaria, e sono, rispettivamente, infondato il secondo e inammissibile il terzo. Quest’ultimo non censura efficacemente la sentenza perchè generico ed astratto e, in generale, in relazione ad entrambe le doglianze va ribadito che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, è sì disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, ma presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura richiesta, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea (cfr. quanto alla protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11096 del 19/04/2019 e, quanto all’umanitaria, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 14548 del 09/07/2020, Rv. 658136 – 01), al fine di contrastare gli specifici accertamenti in fatto a sè sfavorevoli operati dalla Corte d’appello.

– Inoltre, non sussiste un obbligo di cooperazione con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b), allorquando, in presenza di ritenuta e motivata assenza di credibilità del dichiarante (cfr. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 16122 del 28/07/2020), la censura come nel caso di specie, non sia individualizzata, ma solo avuto riguardo al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ossia per il caso in cui sia prospettata “la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.”. Al proposito nondimeno ha rilievo sia il richiamo alla decisione di primo grado, incluso il riferimento alle COI (Country of Ori-gin Informations) ivi contenute nel quadro della natura devolutiva del giudizio di appello, sia al difetto di allegazione e conseguentemente di interesse, non avendo il ricorrente allegato COI aggiornate e attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, di indicarne gli estremi e di riassumerne (o trascriverne) il contenuto, al fine di evidenziare che, se il giudice ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso, non potendo altrimenti la Corte apprezzare l’astratta rilevanza del vizio dedotto e, conseguentemente, valutare l’interesse all’impugnazione ex art. 100 c.p.c. (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21932 del 09/10/2020, Rv. 659234 – 01). La mancanza non viene utilmente superata dal terzo motivo di ricorso, il quale lamenta sì l’esistenza di situazioni di criticità (come Boko Haram, rischio terrorismo ecc.) e cita fonti a supporto in relazione a tali fenomeni, i quali tuttavia sono propri dell’est della Nigeria, ma il ricorrente non allega nè sostanzia l’allegazione di provenire da tale porzione del grande Stato nigeriano.

Con il quarto motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – si deduce la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4, oltre che l’illogica, contraddittoria e apparente motivazione per aver la Corte d’appello rigettato la richiesta di protezione umanitaria senza operare un esame specifico e attuale della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente, con riferimento al paese di origine.

Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza. E’ inammissibile nella sua formulazione perchè prospetta una pluralità di massime giurisprudenziali, distribuite tra vizio di motivazione e di violazione di legge senza distinzione delle due censure all’interno del motivo e senza articolare la parte del mezzo di impugnazione relativo al vizio motivazionale alla luce del pertinente paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. E’ infondato in quanto il giudice d’appello non si limita a negare i presupposti per la protezione umanitaria, ma dà conto della ragione, consistente nel difetto di allegazione di particolari profili di vulnerabilità. Inoltre, nel corpo del motivo il ricorrente riporta passaggi della sua dichiarazione già ritenuta motivatamente non attendibile e non prospetta in modo circostanziato profili di vulnerabilità oggettiva facendo riferimento ad autorevoli fonti conoscitive sulle condizioni del paese di origine. Non è neppure condivisibile la deduzione secondo cui non vi sarebbe stata una valutazione comparativa e in particolare circa il rischio effettivo di violazioni di diritti fondamentali in caso di rimpatrio, la quale è stata espressamente considerata ed è stata esclusa la sussistenza di rischio di danni gravi per la persona, con richiamo per il resto alla sentenza di primo grado, come era facoltà del giudice di appello fare.

In conclusione, il ricorso va disatteso, e nessun provvedimento va adottato sulle spese, in presenza di mera costituzione del Ministero senza svolgimento di effettive difese. Nessuna statuizione dev’essere adottata dalla Corte in conseguenza dell’eventuale ammissione al gratuito patrocinio (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11677 del 16/06/2020, Rv. 657953 01).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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