Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9024 del 19/04/2011

Cassazione civile sez. I, 19/04/2011, (ud. 12/11/2010, dep. 19/04/2011), n.9024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Marra Alfonso Luigi per procura in atti;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli in data 12 gennaio

2007, nella causa iscritta al n. 1306/06 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 12 novembre 2010 dal relatore, cons. Stefano Schiro’;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, dott. RUSSO Rosario Giovanni, che nulla ha

osservato.

Fatto

FATTO E DIRITTO

LA CORTE:

A) rilevato che e’ stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. C.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 12 gennaio 2007, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in suo favore della somma di Euro 1.400,00, a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato davanti al Tar Campania per una controversia in materia di pubblico impiego con ricorso depositato il 17 gennaio 2010 e ancora pendente alla data dell’1 giugno 2006, di presentazione del ricorso per equa riparazione;

1.1. la Presidenza intimata ha resistito con controricorso;

OSSERVA:

2. la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 1.400,00, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di due anni e sette mesi a quella ragionevole, determinata in tre anni, e liquidato l’indennizzo nella misura di Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo;

3. parte ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo tredici motivi di ricorso, con i quali lamenta:

– la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con la formulazione del seguente quesito di diritto: “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 65, par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?” (primo motivo);

– l’inosservanza dei parametri Europei ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale (motivi due, tre e sette);

– il mancato riconoscimento, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e con vizio di motivazione, del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura della controversia attinente a questione inerente a rapporto di pubblico impiego (quattro, quinto e sesto motivo):

– l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, con vizio di motivazione, con erronea applicazione delle tariffe professionali vigenti riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione, anziche’ i giudizi ordinari dinanzi alla Corte d’appello, senza tener conto degli onorari liquidati dalla CEDU e disattendendo la nota spese depositata (motivi da otto a tredici);

4. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato e’ del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

4.1. i motivi due, tre e sette appaiono manifestamente fondati in quanto l’indennizzo liquidato, pari a circa 500,00 Euro per anno di durata non ragionevole, appare inferiore a quella applicata in casi simili da questa Corte, sulla scorta dei principi fissati dalla giurisprudenza della CEDU, per un ammontare di Euro 750,00 ad anno per i primi trae anni di durata non ragionevole e di Euro 1.000,00 per ogni ulteriore anno successivo;

4.2. i motivi da quattro a sei appaiono manifestamente infondati, in quanto non puo’ ravvisarsi un giudizio obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non puo’ derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

4.3. restano assorbiti i motivi da otto a tredici, dovendosi procedere ad una nuova liquidazione delle spese del merito in conseguenza dell’accoglimento parziale del ricorso.

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni esposte nella relazione, con la precisazione che il giudizio presupposto e’ stato promosso davanti al Tar Campania con ricorso del 17 gennaio 2000 e che la Corte di appello di Napoli ha determinato in due anni e dieci mesi la durata di detto giudizio presupposto superiore al termine ragionevole;

ritenuto pertanto, in base alle considerazioni che precedono, che, dichiarato inammissibile il primo motivo, devono essere accolti, nei termini di cui in motivazione, i motivi due, tre e sette, con rigetto di quelli da quattro a sei, dichiarati assorbiti quelli da otto a tredici, con conseguente annullamento del decreto impugnato in ordine alla censura accolta; che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; che in particolare, determinato in due anni e dieci mesi il periodo di durata non ragionevole del giudizio presupposto, secondo l’accertamento del giudice di merito non specificamente censurato dal ricorrente, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito in detto giudizio va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purche’ detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversita’ di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086; 2010/819); nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di due anni e dieci mesi, l’indennizzo di Euro 2.125,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannata la Presidenza soccombente;

ritenuto che le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), compensate per la meta’ quelle del giudizio di cassazione in conseguenza dell’accoglimento parziale del ricorso, con distrazione delle stesse in favore del difensore del ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il primo motivo; accoglie nei termini di cui in motivazione i motivi due, tre e sette, rigetta i motivi da quattro a sei, assorbiti quelli da otto a tredici, Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 2.125,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda. Condanna inoltre la Presidenza suddetta al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 806,00, di cui Euro 311,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonche’ di quelle del giudizio di cassazione, compensate per la meta’, che si liquidano per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 425,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore del ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

Cosi’ deciso in Roma, il 12 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2011

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