Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9022 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 31/03/2021), n.9022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14698/2019 proposto da:

A.R., rappresentato e difeso dall’Avv. Davide Ascari,

domiciliato presso la Cancelleria della Corte;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA n. 1189/19,

depositata il 9 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. PIERPAOLO GORI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 1189, depositata in data 9.4.2019 e notificata in parti data nella controversia iscritta al RGN 327/2017, la Corte d’Appello di Bologna rigettava l’appello proposto da A.R., cittadino (OMISSIS), confermando l’ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna ex art. 702 bis c.p.c., a mezzo della quale era stata a sua volta rigettata l’impugnazione del provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di Bologna con cui era stato negato il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

– In particolare il richiedente, proveniente dallo stato del Punjab in (OMISSIS), produceva copia di un certificato di ricovero ospedaliero e di una denuncia sporta contro un agente persecutore privato, rendendo noto che questi lo avrebbe ripetutamente picchiato e minacciato di morte ove non si fosse convertito alla religione (OMISSIS).

– Avverso la decisione in data 7.5.2019 il richiedente ha notificato ricorso, affidato a tre motivi, mentre il Ministero dell’Interno non ha svolto difese, restando intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo il ricorrente deduce – senza indicazione del pertinente paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 10,13 e 27 anche in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 per aver la Corte d’appello indebitamente ritenuto non credibile la narrazione del richiedente.

Il motivo, scrutinabile in quanto sussumibile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è destituito di fondamento. Il richiedente è stato sentito sia davanti alla Commissione competente che davanti al Tribunale in primo grado. Inoltre, il giudice d’appello ha tenuto conto anche della documentazione prodotta a riscontro della narrazione (certificato di ricovero ospedaliero e di una denuncia sporta contro l’agente persecutore privato), attraverso una puntuale verifica degli aspetti delle dichiarazioni ritenuti affetti da incoerenza e non contraddittorietà (dal punto di vista logico, cronologico, la minoranza (OMISSIS) non risulta autrice di documentate persecuzioni a danno della maggioranza (OMISSIS) ecc..) dal Tribunale in primo grado. Quest’ultimo ha al proposito anche incrociato le dichiarazioni con fonti internazionali aggiornate (es. (OMISSIS), US Department of State), ulteriormente verificate dalla Corte d’appello (es. EASO Country Information Report (OMISSIS)), e il complesso delle fonti non ha dato positivo riscontro alla deduzione di violenze ad opera della comunità (OMISSIS) per costringere esterni alla forzata conversione. Il quadro che ne deriva è all’evidenza molto completo e convincentemente motivato, e l’iter logico motivazionale peraltro non è nemmeno specificamente censurato con deduzione di un vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

– Con il secondo motivo il ricorrente – senza indicazione del pertinente paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1 – lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) per illegittima esclusione della protezione sussidiaria a seguito dell’incompleto inquadramento normativo delle condizioni necessarie per la concessione di tale tutela.

Il motivo è inammissibile. Al di là della tecnica redazionale del mezzo, va premesso che non sussiste un obbligo di cooperazione con riferimento D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. e b) allorquando, alla ritenuta e motivata assenza di credibilità del dichiarante (cfr. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 16122 del 28/07/2020) come nel caso di specie si aggiunga il fatto che la censura non sia individualizzata, e si limiti a riprodurre il complesso normativo circa i presupposti per fruire della protezione sussidiaria senza aggredire in modo circostanziato la ratio decidendi della Corte d’appello. Quest’ultima ha infatti escluso nella fattispecie sia l’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c per assenza di fenomeni di violenza indiscriminata sulla base di fonti autorevoli e aggiornate (EASO (OMISSIS) 2017 e 2018, con specifico riferimento al (OMISSIS)), ed ha anche ritenuto che le violenze riscontrate non siano sussumibili nella nozione di conflitto armato elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, sia della lett. b) della medesima previsione normativa, in relazione alla prospettazione di tortura o trattamento inumano e degradante, per la ritenuta non credibilità della narrazione del richiedente. Tali accertamenti in fatto non sono stati specificamente impugnati, derivandone l’inammissibilità del motivo.

– Con il terzo motivo il ricorrente censura – senza indicazione del pertinente paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 per aver il giudice d’appello illegittimamente escluso l’applicazione della protezione umanitaria a seguito di sintetica e superficiale valutazione delle condizioni personali del richiedente, risolventesi in una vera e propria omissione di applicazione del dettato legislativo rilevante nel caso di specie.

– Il motivo, da ricondursi all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è infondato. La dismissione della richiesta di residuale protezione umanitaria non è stata operata dalla Corte d’appello quale mera conseguenza della ritenuta non credibilità del richiedente, ma a seguito anche della considerazione del mancato raggiungimento di un adeguato grado di integrazione nel tessuto socio-economico italiano. Sotto questo profilo, la sentenza ha accertato il fatto che, pur presente da molti anni sul territorio, il ricorrente ha presentato solo nel 2015 domanda di protezione internazionale ed è privo di un certificato di avviamento al lavoro. Infine, ha escluso, sulla base delle allegazioni, anche condizioni particolari di vulnerabilità, elementi tutti che definiscono un compendio ponderato di elementi che congiuntamente conduce ad una decisione sfavorevole per il richiedente, attraverso un iter logico motivazionale congruo e immune da vizi logici, non specificamente censurati con articolazione di un vizio motivazionale nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In conclusione, il ricorso va disatteso, e nessun provvedimento va adottato sulle spese, in assenza di costituzione del Ministero. Nessuna statuizione dev’essere adottata dalla Corte in conseguenza dell’eventuale ammissione al gratuito patrocinio (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11677 del 16/06/2020, Rv. 657953 – 01).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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