Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9022 del 01/04/2019

Cassazione civile sez. lav., 01/04/2019, (ud. 05/02/2019, dep. 01/04/2019), n.9022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 14498/2018 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO, VINCENZO TRIOLO;

– ricorrente –

contro

B.G.S., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati ALBERTO GUARISO e LIVIO NERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 772/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 06/11/2017 R.G.N. 496/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/02/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso e in

subordine rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia;

udito l’Avvocato ANTONIETTA CORETTI;

udito l’Avvocato ALBERTO GUARISO.

Fatto

ELEMENTI DEL GIUDIZIO PRINCIPALE PERTINENTI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. B.G.S., dal 9 dicembre 2011 titolare di permesso di soggiorno per lavoro subordinato e dal 28 dicembre 2015 di “permesso unico di lavoro” ai sensi del D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 40, di attuazione della direttiva 2011/98/UE, ha proposto ricorso ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 28, e dell’art. 702 bis c.p.c., al Tribunale Giudice del lavoro di Alessandria nei confronti dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), lamentando la violazione dell’art. 12 della Direttiva UE 2011/98 ed il carattere discriminatorio della negazione da parte dell’INPS dell’assegno del nucleo familiare per i periodi compresi tra il gennaio – giugno 2014 e luglio 2014 – giugno 2016, nel corso dei quali la moglie ed i suoi due figli avevano lasciato l’Italia per rientrare nel paese d’origine ((OMISSIS)) ove avevano fissato la residenza ed ha chiesto ordinarsi la cessazione di tale condotta con la condanna dell’Inps alla erogazione delle somme dovute con predisposizione di un piano di rimozione degli effetti negativi ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28;

2. il Tribunale di Alessandria, in funzione di giudice del lavoro, ha rigettato il ricorso ritenendo insussistente il carattere discriminatorio della condotta tenuta dall’INPS;

3. S. B.G. ha proposto appello avverso tale ordinanza ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c., e la Corte d’Appello di Torino ha accolto l’appello riformando la decisione del Tribunale sulla base delle seguenti argomentazioni: a) il D.L. n. 69 del 1988, art. 2, comma 6 bis, conv. in L. n. 153 del 1988, laddove esclude (salvo specifiche convenzioni internazionali o condizioni di reciprocità) dal novero dei membri del nucleo familiare cui è rivolto l’assegno i familiari dello straniero che non abbiano la residenza, da ritenersi effettiva e non solo formale, nel territorio della Repubblica, introduce una disciplina differente rispetto a quella generale fissata dalla L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 2, valevole per i cittadini dello Stato italiano per i quali l’assegno per il nucleo familiare spetta a prescindere dalla residenza dei membri del nucleo familiare medesimo; b) l’art. 12 della direttiva 2011/98/UE, primo paragrafo lett. e), prevede che i lavoratori dei paesi terzi di cui all’art. 3, paragrafo 1 lettere b) e c) (tra i quali certamente rientra B. S. G.), beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano, tra l’altro, quanto ai settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004; c) l’assegno per il nucleo familiare oggetto del giudizio rientra nei settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004 come confermato dalla sentenza 21.6.2017, C-449/16, Martines Silva della Corte di Giustizia UE pronunciatasi a proposito dell’assegno previsto dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 65,misura analoga a quella in esame; d) lo Stato italiano – pur essendo da tempo scaduto il termine del 25 dicembre 2013 previsto per il recepimento – non ha recepito l’art. 12, della direttiva indicata che è norma chiara, incondizionata, di immediata applicazione e relativa a rapporti verticali tra Stato e soggetti privati; e) la facoltà di deroga all’obbligo di parità di trattamento di cui all’art. 12 paragrafo 2, lettera b) della direttiva 2011/98/UE non è stata esercitata e non sarebbe comunque applicabile al caso di specie; f) la L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 6 bis, si pone in contrasto con la direttiva 2011/98/UE e realizza una oggettiva discriminazione e va, dunque, disapplicato in presenza di disposizione contenuta nell’art. 12, paragrafo 1, della citata direttiva, di diretta applicabilità, sufficientemente precisa e priva di condizioni per la sua esecuzione;

4. avverso tale sentenza l’Inps ha proposto ricorso per cassazione fondato su di un unico motivo con il quale lamenta la violazione e o falsa applicazione del combinato disposto del D.L. n. 69 del 1988, art. 2, comma 6 bis, convertito con modificazioni in L. n. 153 del 1988, degli artt. 43 e 44 del D.Lgs. n. 286 del 1998, dell’art. 12 della Direttiva 2011/98/UE e del D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 40, attuativo della predetta direttiva – anche in relazione all’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale;

5. il ricorrente, premesso che la Direttiva 2011/98/UE (relativa alla procedura unica di domanda per un permesso unico), attuata in Italia con il D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 40, si riferisce ai cittadini di Stati terzi che si trovino presso il territorio dello Stato membro per periodi più brevi dei cinque anni necessari ad ottenere il permesso di soggiorno per lungo periodo, e fonda tale denunzia sulla affermazione che, al contrario di quanto statuito dalla sentenza impugnata, l’interpretazione della Direttiva 2011/98 UE va condotta anche sulla base dei “considerando” 8, 19, 24 e 26 che evidenziano la diversa posizione dei titolari del permesso unico di lavoro e soggiorno rispetto ai titolari del permesso di soggiorno di cui alla direttiva 2003/109 CE, l’assenza di una normativa Europea comune ai Paesi dell’Unione in materia di diritti sui quali sia garantita ai cittadini di Stati terzi la parità di trattamento, la finalità di non conferire diritti in relazione a situazioni che esulano dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione ad esempio in relazione a familiari soggiornanti in un paese terzo e la discrezionalità concessa a ciascuno Stato membro nel limitare la concessione, l’importo ed il periodo delle prestazioni di sicurezza sociale da riconoscere ai cittadini di Stati terzi; l’assegno per il nucleo familiare di cui al D.L. n. 69 del 1988, art. 2, conv. in L. n. 153 del 1988, ha natura previdenziale e non assistenziale, del tutto diverso per natura e struttura dalla prestazione prevista dalla L. n. 448 del 1998, art. 65;

6. S. B.G. ha resistito con controricorso;

7. entrambe le parti hanno depositato memorie;

8. il fatto oggetto del giudizio principale attiene, dunque, alla situazione dei componenti del nucleo familiare del lavoratore B.G.S. proveniente da Stato terzo, occupato in Italia ed in possesso del permesso unico di lavoro sensi della Direttiva 2011/98/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio; tali componenti del nucleo familiare sono stati, nei periodi rilevanti per la controversia, pacificamente residenti in fatto in (OMISSIS) (Stato terzo d’origine) ed il lavoratore S. B.G. ha denunciato il carattere discriminatorio della loro esclusione nel computo dei componenti e del reddito del nucleo familiare da considerare per il calcolo dell’importo del trattamento previsto dalla L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 2;

– la fattispecie di fatto relativa alla condizione lavorativa del cittadino di Stato terzo S. B.G. rientra nella sfera di applicazione della direttiva 2011/98/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio.

Il diritto dell’Unione Europea.

9. Vengono in rilievo:

– la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2011/98/UE, nei considerando, ai punti:

(…) (2) (..) l’Unione Europea dovrebbe garantire l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano regolarmente nel territorio degli Stati membri e che una politica di integrazione più incisiva dovrebbe mirare a garantire loro diritti ed obblighi analoghi a quelli dei cittadini del’Unione (…).

(19) In mancanza di una normativa orizzontale a livello di Unione, i cittadini dei paesi terzi hanno diritti diversi a seconda dello Stato membro in cui lavorano e della loro cittadinanza. Al fine di sviluppare ulteriormente una politica di immigrazione coerente, di ridurre la disparità di diritti tra i cittadini dell’Unione e i cittadini di paesi terzi che lavorano regolarmente in uno Stato membro e di integrare l’acquis esistente in materia di immigrazione, è opportuno definire un insieme di diritti al fine, in particolare, di specificare i settori in cui è garantita la parità di trattamento tra i cittadini di uno Stato membro e i cittadini di paesi terzi che non beneficiano ancora dello status di soggiornanti di lungo periodo. Tali disposizioni mirano a creare condizioni di concorrenza uniformi minime nell’Unione, a riconoscere che tali cittadini di paesi terzi contribuiscono all’economia dell’Unione con il loro lavoro e i loro versamenti di imposte e a fungere da garanzia per ridurre la concorrenza sleale tra i cittadini di uno Stato membro e i cittadini di paesi terzi derivante dall’eventuale sfruttamento di questi ultimi. Ai fini della presente direttiva un lavoratore di un paese terzo dovrebbe essere definito, fatta salva l’interpretazione del concetto di rapporto di lavoro in altre disposizioni del diritto dell’Unione, come un cittadino di un paese terzo che è stato ammesso nel territorio di uno Stato membro, che vi soggiorna regolarmente e a cui è ivi consentito lavorare conformemente al diritto o alla prassi nazionale nel contesto di un rapporto di lavoro retribuito.(…).

(20) Tutti i cittadini di paesi terzi che soggiornano e lavorano regolarmente negli Stati membri dovrebbero beneficiare quanto meno di uno stesso insieme comune di diritti, basato sulla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro ospitante, a prescindere dal fine iniziale o dal motivo dell’ammissione. Il diritto alla parità di trattamento nei settori specificati dalla presente direttiva dovrebbe essere riconosciuto non solo ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi, ma anche a coloro che sono stati ammessi per altri motivi e che hanno ottenuto l’accesso al mercato del lavoro di quello Stato membro in conformità di altre disposizioni del diritto dell’Unione o nazionale, compresi i familiari di un lavoratore di un paese terzo che sono ammessi nello Stato membro in conformità della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (…).

(24) I lavoratori di paesi terzi dovrebbero beneficiare della parità di trattamento per quanto riguarda la sicurezza sociale. I settori della sicurezza sociale sono definiti dal regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (7). Le disposizioni della presente direttiva relative alla parità di trattamento in materia di sicurezza sociale dovrebbero applicarsi anche ai lavoratori ammessi in uno Stato membro direttamente da un paese terzo. La presente direttiva, tuttavia, non dovrebbe conferire ai lavoratori di paesi terzi diritti maggiori di quelli che il diritto vigente dell’Unione già prevede in materia di sicurezza sociale per i cittadini di paesi terzi che si trovano in situazioni transfrontaliere. La presente direttiva non dovrebbe neppure conferire diritti in relazione a situazioni che esulano dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, ad esempio in relazione a familiari soggiornanti in un paese terzo. La presente direttiva dovrebbe conferire diritti soltanto in relazione ai familiari che raggiungono lavoratori di un paese terzo per soggiornare in uno Stato membro sulla base del ricongiungimento familiare ovvero ai familiari che già soggiornano regolarmente in tale Stato membro(…).

26. Il diritto dell’Unione non limita la facoltà degli Stati membri di organizzare i rispettivi regimi di sicurezza sociale. In mancanza di armonizzazione a livello di Unione, spetta a ciascuno Stato membro stabilire le condizioni per la concessione delle prestazioni di sicurezza sociale nonchè l’importo di tali prestazioni e il periodo durante il quale sono concesse. Tuttavia, nell’esercitare tale facoltà, gli Stati membri dovrebbero conformarsi al diritto dell’Unione.

– L’art. 12, paragrafo 1 lett. e) prevede: “1. I lavoratori dei paesi terzi di cui all’art. 3, paragrafo 1, lettere b e c), beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne:

a) (…);

b) (…);

d) (…);

e) i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004;

– Regolamento n. 883/2004/CE, art. 3, comma 1: Il presente regolamento si applica a tutte le legislazioni relative ai settori di sicurezza sociale riguardanti: (…) lett. j) “le prestazioni familiari”;(…);

art. 1, lett. z, “in natura o in denaro destinata a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozione menzionati nell’allegato I”.

10. La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea relativa alla Direttiva 2011/98/UE (Corte Giust. Ue 21 giugno 2017, C-449/2016, Martinez Silva), relativa all’assegno per il nucleo familiare previsto dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 65, ha avuto modo di affermare “(…) l’art. 2 della direttiva 2011/98, intitolato Definizioni, prevede quanto segue: Ai fini della presente direttiva, si intende per: a) cittadino di un paese terzo chi non è cittadino dell’Unione ai sensi dell’art. 20, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea; b) lavoratore di un paese terzo un cittadino di un paese terzo, ammesso nel territorio di uno Stato membro, che soggiorni regolarmente e sia autorizzato a lavorare in tale Stato membro nel quadro di un rapporto di lavoro retribuito conformemente al diritto o alla prassi nazionale; c) permesso unico un permesso di soggiorno rilasciato dalle autorità di uno Stato membro che consente a un cittadino di un paese terzo di soggiornare regolarmente nel territorio di quello Stato membro a fini lavorativi;(…)”.

5. L’art. 3, paragrafo 1, di tale direttiva, intitolato Ambito di applicazione, dispone quanto segue: La presente direttiva si applica:(…) c) ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale.

Ai sensi dell’art. 12 di tale direttiva, intitolato “Diritto alla parità di trattamento”: “1. I lavoratori dei paesi terzi di cui all’art. 3, paragrafo 1, lettere b e c), beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne: (…) e) i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004; (…)

2. Gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento: (…) b) limitando i diritti conferiti ai lavoratori di paesi terzi ai sensi del paragrafo 1, lettera e), senza restringerli per i lavoratori di paesi terzi che svolgono o hanno svolto un’attività lavorativa per un periodo minimo di sei mesi e sono registrati come disoccupati.

Inoltre, gli Stati membri possono decidere che il paragrafo 1, lettera e), per quanto concerne i sussidi familiari, non si applichi ai cittadini di paesi terzi che sono stati autorizzati a lavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo non superiore a sei mesi, ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi a scopo di studio o ai cittadini di paesi terzi cui è consentito lavorare in forza di un visto (…)”. 7. In forza dell’art. 1, lett. z), del regolamento n. 883/2004, il termine “prestazione familiare”, designa tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozione menzionati nell’allegato I di tale regolamento.

8. L’art. 3, paragrafo 1, lett. j), del medesimo regolamento prevede che quest’ultimo si applica a tutte le legislazioni relative alle prestazioni familiari. Esso non si applica, secondo il disposto del paragrafo 5, lettera a), di detto articolo, all’assistenza sociale e medica.

(…) A tale riguardo si deve ricordare che, come ripetutamente giudicato dalla Corte con riferimento al regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (GU 1971, L 149, pag. 2), la distinzione fra prestazioni escluse dall’ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 e prestazioni che vi rientrano è basata essenzialmente sugli elementi costitutivi di ciascuna prestazione, in particolare sulle sue finalità e sui presupposti per la sua attribuzione, e non sul fatto che essa sia o no qualificata come prestazione di sicurezza sociale da una normativa nazionale (v., in tal senso, in particolare, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 14; del 20 gennaio 2005, Noteboom, C-101/04, EU:C:2005:51, punto 24, e del 24 ottobre 2013, Lachheb, C-177/12, EU:C:2013:689, punto 28). Una prestazione può essere considerata come una prestazione di sicurezza sociale qualora sia attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione definita per legge, e si riferisca a uno dei rischi espressamente elencati nell’art. 3, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004 (v. in tal senso, in particolare, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 15; del 15 marzo 2001, Offermanns, C-85/99, EU:C:2001:166, punto 28, nonchè del 19 settembre 2013, Hliddal e Bornand, C-216/12 e C-217/12, EU:C:2013:568, punto 48).

21. La Corte ha già dichiarato che le modalità di finanziamento di una prestazione e, in particolare, il fatto che la sua attribuzione non sia subordinata ad alcun presupposto contributivo sono irrilevanti per la sua qualificazione come prestazione di sicurezza sociale (v. in tal senso, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 21; del 15 marzo 2001, Offermanns, C-85/99, EU:C:2001:166, punto 46, e del 24 ottobre 2013, Lachheb, C-177/12, EU:C:2013:689, punto 32).

22. Peraltro, il fatto che una prestazione sia concessa o negata in considerazione dei redditi e del numero di figli non implica che la sua concessione dipenda da una valutazione individuale delle esigenze personali del richiedente, caratteristica dell’assistenza sociale, nei limiti in cui si tratta di criteri obiettivi e definiti per legge che, quando sono soddisfatti, danno diritto a tale prestazione senza che l’autorità competente possa tener conto di altre circostanze personali (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 17). Così, prestazioni attribuite automaticamente alle famiglie che rispondono a determinati criteri obiettivi, riguardanti segnatamente le loro dimensioni, il loro reddito e le loro risorse di capitale, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali, e destinate a compensare i carichi familiari, devono essere considerate prestazioni di sicurezza sociale (sentenza del 14 giugno 2016, Commissione/Regno Unito, C-308/14, EU:C:2016:436, punto 60).

23. In merito alla questione se una data prestazione rientri nelle prestazioni familiari di cui all’art. 3, lett. j), del regolamento n. 883/2004, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 1, lett. z), del medesimo regolamento, l’espressione “prestazione familiare” indica tutte le prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o di adozione menzionati nell’allegato I di tale regolamento. La Corte ha già dichiarato che l’espressione “compensare i carichi familiari” deve essere interpretata nel senso che essa fa riferimento, in particolare, a un contributo pubblico al bilancio familiare, destinato ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli (v., in tal senso, sentenza del 19 settembre 2013, Hliddal e Bornand, C-216/12 e C-217/12, EU:C:2013:568, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

(…) 26. Occorre pertanto esaminare, in secondo luogo, se il cittadino di un paese terzo, titolare di un permesso unico ai sensi dell’art. 2, lettera c), della direttiva 2011/98, possa essere escluso dal beneficio di una siffatta prestazione da una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale.

27. A tal riguardo, dall’art. 12, paragrafo 1, lett. e), della direttiva 2011/98, in combinato disposto con l’art. 3, paragrafo 1, lettera c), di quest’ultima, risulta che devono beneficiare della parità di trattamento prevista dalla prima di tali disposizioni, fra gli altri, i cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o del diritto nazionale. Ebbene, è questo il caso del cittadino di un paese terzo titolare di un permesso unico ai sensi dell’art. 2, lett. c), di tale direttiva, dato che, in forza di tale disposizione, detto permesso consente a tale cittadino di soggiornare regolarmente a fini lavorativi nel territorio dello Stato membro che l’ha rilasciato.

Il diritto nazionale.

11. La questione in oggetto implica l’applicazione delle seguenti disposizioni nazionali:

– D.L. 13 marzo 1988, n. 69 “Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti portuali ed altre disposizioni urgenti, conv. con mod. in L. n. 153 del 1988”. Titolo I – NORME IN MATERIA PREVIDENZIALE – Art. 2 – 1. Per i lavoratori dipendenti, i titolari delle pensioni e delle prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro dipendente, i lavoratori assistiti dall’assicurazione contro la tubercolosi, il personale statale in attività di servizio ed in quiescenza, i dipendenti e pensionati degli enti pubblici anche non territoriali, a decorrere dal periodo di paga in corso al 1 gennaio 1988, gli assegni familiari, le quote di aggiunta di famiglia, ogni altro trattamento di famiglia comunque denominato e la maggiorazione di cui al D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1983, n. 79, cessano di essere corrisposti e sono sostituiti, ove ricorrano le condizioni previste dalle disposizioni del presente articolo, dall’assegno per il nucleo familiare.

2. L’assegno compete in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, secondo la tabella allegata al presente decreto. I livelli di reddito della predetta tabella sono aumentati di lire dieci milioni per i nuclei familiari che comprendono soggetti che si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro, ovvero, se minorenni, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. I medesimi livelli di reddito sono aumentati di lire due milioni se i soggetti di cui al comma 1, si trovano in condizioni di vedovo o vedova, divorziato o divorziata, separato o separata legalmente, celibe o nubile. Con effetto dal 1 luglio 1994, qualora del nucleo familiare di cui al comma 6, facciano parte due o più figli, l’importo mensile dell’assegno spettante è aumentato di lire 20.000 per ogni figlio, con esclusione del primo.

3. (…).

4. (…).

5. (…).

6. Il nucleo familiare è composto dai coniugi, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, e dai figli ed equiparati, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, art. 38, di età inferiore a 18 anni compiuti ovvero, senza limite di età, qualora si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro. Del nucleo familiare possono far parte, alle stesse condizioni previste per i figli ed equiparati, anche i fratelli, le sorelle ed i nipoti di età inferiore a 18 anni compiuti ovvero senza limiti di età, qualora si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro, nel caso in cui essi siano orfani di entrambi i genitori e non abbiano conseguito il diritto a pensione ai superstiti.

6-bis. Non fanno parte del nucleo familiare di cui al comma 6 il coniuge ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo Stato di cui lo straniero è cittadino sia riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia. L’accertamento degli Stati nei quali vige il principio di reciprocità è effettuato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentito il Ministro degli affari esteri.

7.(…).

8. (…).

8-bis. Per lo stesso nucleo familiare non può essere concesso più di un assegno. Per i componenti il nucleo familiare cui l’assegno è corrisposto, l’assegno stesso non è compatibile con altro assegno o diverso trattamento di famiglia a chiunque spettante.

9. Il reddito del nucleo familiare è costituito dall’ammontare dei redditi complessivi, assoggettabili all’Irpef, conseguiti dai suoi componenti nell’anno solare precedente il 1Iuglio di ciascun anno ed ha valore per la corresponsione dell’assegno fino al 30 giugno dell’anno successivo.(..). Alla formazione del reddito concorrono altresì i redditi di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva se superiori a Lire 2.000.000. Non si computano nel reddito i trattamenti di fine rapporto comunque denominati e le anticipazioni sui trattamenti stessi, nonchè l’assegno previsto dal presente articolo.

L’attestazione del reddito del nucleo familiare è resa con dichiarazione, la cui sottoscrizione non è soggetta ad autenticazione (…).

10. (…).

11. (…).

12. (…).

12-bis. (…).

13. (…).

14. (…);

– il D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 40, recante Attuazione della direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro (GURI n. 68, del 22 marzo 2014), che ha istituito il “permesso unico di lavoro”;

Diritto

RAGIONI DEL RINVIO

12. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia si giustifica in ragione della prospettazione di una questione sottoposta a questa Suprema Corte – giudice di ultima istanza e, quindi, obbligato ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (già art. 234 del Trattato che istituisce la Comunità Europea) al rinvio pregiudiziale – che: a) riguarda l’interpretazione dell’art. 12, paragrafo 1 lett. e) della direttiva 2011/98/UE; b) è rilevante ai fini della decisione della controversia; c) non può essere decisa alla stregua di precedenti sentenze della CGUE non essendo la sua esegesi direttamente desumibile dal testo delle norme indicate in quanto sullo specifico punto sussistono dubbi interpretativi.

13. La Corte ritiene che la questione dibattuta in giudizio dipenda dalla interpretazione dell’art. 12, paragrafo 1, lett. e) della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2011/98/UE, ed in particolare, sorge il dubbio se tale principio comporti che i familiari del cittadino di Stato terzo, titolare del permesso unico di soggiorno e lavoro e del diritto alla erogazione dell’assegno per il nucleo familiare di cui alla L. n. 153 del 1988, art. 2, pur risiedendo di fatto fuori dal territorio dello Stato membro ove questi presta attività lavorativa, siano inclusi nel novero dei familiari sostanziali beneficiari del trattamento stesso.

14. Ciò in quanto il nucleo familiare individuato dalla L. n. 153 del 1988, art. 2, non è solo base di calcolo dell’importo relativo al trattamento familiare in oggetto ma ne è anche il beneficiario, per il tramite del titolare della retribuzione o della pensione cui lo stesso accede.

L’assegno per il nucleo familiare di cui al D.L. n. 69 del 1988, art. 2, conv. in L. n. 153 del 1988, è dal punto di vista della sua struttura formale una integrazione economica di cui beneficiano tutti i prestatori di lavoro sul territorio italiano, i titolari di pensioni e di prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro subordinato, i lavoratori assistiti da assicurazione contro malattie, i dipendenti ed i pensionati degli Enti Pubblici, purchè abbiano un nucleo familiare che produca redditi non superiori ad una soglia individuata (pari per il periodo 1 luglio 2018 – 30 giugno 2019, nella loro misura intera, ad Euro 137,50 Euro al mese per redditi fino ad Euro 14.541,59).

L’importo dell’assegno per il nucleo familiare viene quantificato in proporzione al numero dei componenti, al numero dei figli e al reddito familiare.

La gestione assicurativa, originariamente affidata alla Cassa nazionale per gli assegni familiari e successivamente alla Cassa unica per gli assegni familiari ai lavoratori, è ora passata all’INPS attraverso le prestazioni temporanee dei lavoratori dipendenti. Per dipendenti dello Stato e di Enti Pubblici provvedono le Amministrazioni di appartenenza.

Il contributo è fissato in un’aliquota percentuale sulla retribuzione lorda del lavoratore. In tutti i settori, salvo quello agricolo, in cui provvede direttamente l’INPS, la corresponsione è effettuata dal datore di lavoro insieme al pagamento della retribuzione, successivamente viene effettuato presso l’Istituto di previdenza il conguaglio tra assegni corrisposti e contributi dovuti. Dal 1 gennaio 1978 è stabilita l’esenzione totale ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche degli assegni e delle quote di aggiunta di famiglia.

15. La giurisprudenza di questa Corte di cassazione ha avuto modo di evidenziare la natura duplice dell’assegno per il nucleo familiare di cui alla L. n. 153 del 1988, art. 2.

Da un lato, le Sezioni Unite della Corte di cassazione (7 marzo 2008, n. 6179) hanno attribuito al trattamento in esame natura previdenziale, osservando che l’assegno per il nucleo familiare di cui alla L. n. 153 del 1988, pur fondato sul meccanismo finanziario di provvista della contribuzione dei datori di lavoro e di erogazione congiunta con la retribuzione (art. 2, comma 3 sopra riportato), non raccorda l’assegno familiare alla retribuzione del “capofamiglia” (come avveniva con il previgente D.P.R. 30 maggio 1955, n. 1124, art. 1) ed al numero e qualità delle persone a carico, in misura differenziata per i vari comparti produttivi e settori merceologici; oggi l’assegno per il nucleo familiare è raccordato non alla retribuzione, ma al reddito, di qualsiasi natura, e non del singolo lavoratore, ma a quello complessivo del suo nucleo familiare (comma 9). Nello stesso senso, la Corte Costituzionale (Corte Cost. 14 dicembre 1995 n. 516), ha evidenziato l’unificazione della funzione previdenziale del nuovo istituto che rafforza la stretta correlazione con il tipo di pensione goduta.

Inoltre, Cass. n. 6155 del 27 marzo 2004 ha puntualizzato che nel sistema generale della sicurezza sociale l’istituto dell’assegno familiare ha assunto una funzione eminentemente previdenziale, che è stata assolta in passato mediante una tutela apprestata in favore del lavoratore in ragione dei suoi carichi di famiglia (sulla falsariga delle aggiunte di famiglia previste per i dipendenti pubblici: v. L. 27 giugno 1929, n. 1047, per i dipendenti statali, L. 17 luglio 1942, n. 1161, per i dipendenti degli enti locali), estesa gradualmente a vari settori del lavoro privato ed ai pensionati (v. i provvedimenti di riforma anteriori al 1988 sopra indicati), e successivamente (v. L. n. 153 del 1988, art. 2, qui in esame) mediante una tutela specifica per il nucleo familiare, diretta, in attuazione dell’art. 31 Cost., a garantire un sufficiente reddito alle famiglie che ne siano complessivamente sprovviste.

In tale funzione, in coerenza con i criteri generali del sistema della sicurezza sociale nel quale l’assegno in questione dunque s’inserisce, la tutela per le famiglie dei pensionati si realizza mediante l’integrazione della pensione (ex art. 38 Cost., comma 2) e quella per le famiglie dei lavoratori in servizio trova attuazione con un’integrazione della retribuzione rapportata al lavoro prestato (ex art. 36 Cost.), non potendosi, neanche indirettamente, considerare più vantaggioso per i soggetti in attività il godimento della prestazione previdenziale rispetto allo svolgimento di un lavoro (cfr. Cass. 12 novembre 2003 n. 17048).

16. La giurisprudenza di legittimità ha, dunque, valorizzato gli elementi strutturali del trattamento familiare in esame in quanto finanziato dai contributi versati da parte di tutti i datori di lavoro (cui si aggiunge il concorso integrativo dello Stato L. n. 153 del 1988, ex art. 2, comma 13), ed il sistema di erogazione, attuato mediante anticipazione del datore di lavoro che è autorizzato a porre a conguaglio quanto versato con il proprio debito contributivo.

Si affianca a queste decisioni l’orientamento espresso da Cass. n. 13200 del 9 settembre 2003 (seguito da Cass. n. 6351 del 30 marzo 2015 e Cass. n. 3214 del 2018) che, valorizzando l’incidenza del numero e della condizione psico – fisica dei componenti del nucleo familiare e del reddito prodotto dal medesimo nucleo, afferma la natura assistenziale dell’assegno per il nucleo familiare.

Così si è evidenziata la finalità di accentuazione del processo di ridistribuzione del reddito, attraverso un sistema dei trattamenti diretto ad assicurare una tutela in favore di quelle famiglie che si mostrano effettivamente bisognose sul piano finanziario. Ed invero, l’assegno compete in modo differenziato in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare (L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 2, prima parte). Detto reddito, preso a parametro per la corresponsione dell’assegno, viene elevato per quei nuclei familiari, che risultino meritevoli di una specifica e più intensa tutela. per comprendere soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali (e che si trovino, a causa di tali difetti, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro), ovvero minorenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 2, seconda parte).

18. A superamento e sintesi di tali orientamenti, contrastanti ma solo sul piano descrittivo, deve affermarsi che l’istituto in esame realizza una compenetrazione tra strumenti previdenziali ed assistenziali e precisamente tra quelli posti a tutela per il carico di famiglia, con quelli apprestati a tutela di malattie, essendosi rivolta particolare attenzione a quei nuclei familiari che presentano aree di accentuata sofferenza in ragione di infermità che hanno colpito qualcuno del propri componenti.

Si tratta, comunque, di una misura che rientra nell’ambito della previsione di cui all’art. 12, paragrafo 1 lett. e) della direttiva 2011/98/UE, che contempla “i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004”.

19. In questo contesto, dunque, si colloca la disposizione relativa alla considerazione della composizione del nucleo familiare nell’ipotesi, di cui si discute, in cui tutti o alcuni dei componenti, ad eccezione del titolare, lascino il territorio dello Stato italiano e risiedano presso altro Stato terzo.

Può, quindi, affermarsi che per il diritto nazionale i componenti del nucleo familiare assumono un rilievo essenziale nella struttura del trattamento dell’assegno e sono considerati i sostanziali beneficiari dello stesso trattamento.

Dalla circostanza che la legge individua i familiari componenti il nucleo familiare quali sostanziali beneficiari di una prestazione economica che ha diritto di ricevere il titolare della retribuzione o pensione a cui accede l’assegno, nasce il dubbio interpretativo che giustifica il rinvio pregiudiziale.

20. In particolare, poichè secondo il disposto della L. n. 153 del 1988, art. 2, comma 6 bis, solo i familiari del cittadino straniero vanno esclusi dal nucleo familiare se, rientrando nello Stato terzo, la loro residenza effettiva non possa più dirsi in Italia e non vi siano condizioni di reciprocità, occorre stabilire se la direttiva 2011/98/UE, art. 12, paragrafo 1 lett. e), osti alla previsione nazionale citata, precisato che per cittadino straniero deve intendersi il cittadino non appartenente all’Unione Europea, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, e successive modificazioni (t.u. immigrazione).

21. La giurisprudenza della C.G.U.E. formatasi sull’interpretazione della direttiva 2011/98/UE, sopra ricordata nel punti salienti, non pare utile a risolvere il dubbio interpretativo perchè formatasi su casi in cui sia i titolari dei diritti alla protezione sociale rivendicati che l’intero nucleo familiare agli stessi riferibili risiedevano stabilmente nel territorio dello Stato membro, oppure si erano trasferiti da uno all’altro Stato membro.

22. Inoltre, al fine di procedere al giudizio sulla effettiva violazione del principio di parità di trattamento che è stato lamentato nel giudizio principale, questa Corte di cassazione ha necessità di risolvere il dubbio interpretativo relativo alla incidenza della scelta dei familiari di non risiedere presso lo Stato membro, ai fini dell’applicazione dell’art. 12, paragrafo 1 lett. e), della direttiva 2011/98/UE, in considerazione degli obiettivi indicati nei “considerando” numeri: 20 ” (…) Il diritto alla parità di trattamento nei settori specificati dalla presente direttiva dovrebbe essere riconosciuto (…) compresi i familiari di un lavoratore di un paese terzo che sono ammessi nello Stato membro in conformità della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 23 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare”; 24 “I lavoratori di paesi terzi dovrebbero beneficiare della parità di trattamento per quanto riguarda la sicurezza sociale (…) La presente direttiva non dovrebbe neppure conferire diritti in relazione a situazioni che esulano dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, ad esempio in relazione a familiari soggiornanti in un paese terzo. La presente direttiva dovrebbe conferire diritti soltanto in relazione ai familiari che raggiungono lavoratori di un paese terzo per soggiornare in uno stato membro sulla base del ricongiungimento familiare ovvero ai familiari che già soggiornano regolarmente in tale Stato membro”.

23. In conclusione, è necessario richiedere alla Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla seguente questione:

“se l’art. 12, paragrafo 1 lett. e) della direttiva 2011/98/ del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, nonchè il principio di parità di trattamento tra titolari del permesso unico di soggiorno e di lavoro e cittadini nazionali, debbano essere interpretati nel senso che ostano a una legislazione nazionale in base alla quale, al contrario di quanto previsto per i cittadini dello Stato membro, nel computo degli appartenenti al nucleo familiare, al fine del calcolo dell’assegno per il nucleo familiare, vanno esclusi i familiari del lavoratore titolare del permesso unico ed appartenente a Stato terzo, qualora gli stessi risiedano presso il paese terzo d’origine”.

Il rinvio pregiudiziale comporta la sospensione del processo.

PQM

La Corte, visti l’art. 267, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e l’art. 295 c.p.c., chiede alla Corte di giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla questione di interpretazione del diritto dell’Unione indicata in motivazione.

Ordina la sospensione del processo e dispone che copia della presente ordinanza sia trasmessa alla cancelleria della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2019

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