Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 902 del 17/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 902 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 16845-2011 proposto da:
DIALOGA SERVIZI S.R.L. C.F. 12514930150, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 113,
presso lo studio dell’avvocato PAGNOTTA NICOLA, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati CHIELLO
2013
3106

ANGELO GIUSEPPE, POZZOLI CESARE, giusta delega in
atti;
– ricorrente contro

MANGHI ENNIO C.F. MNGNNE68A26F205R, elettivamente

Data pubblicazione: 17/01/2014

domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

109,

presso lo

studio dell’avvocato FONTANA GIUSEPPE, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati BORALI
MAURIZIO, MARIO FEZZI, giusta delega in atti;
– controrícorrente

511/2010 della CORTE D’APPELLO

di MILANO, depositata il 21/06/2010 r.g.n.

983/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

05/11/2013

dal Consigliere Dott. PIETRO

VENUTI;
udito l’Avvocato FONZO FABIO per delega GIUSEPPE
FONATANA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n.

R.G. n. 16845/11
Ud. 5 nov. 2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato da
Dialoga Servizi s.r.l. al dipendente Ennio Manghi, condannando
la società a reintegrarlo nel posto di lavoro nonché al pagamento
delle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino
a quello dell’effettiva reintegra ed al versamento dei contributi
previdenziali ed assistenziali. Ha inoltre condannato la società al
pagamento di ulteriori somme a titolo di compenso variabile,
rimborso spese ed indennità di distacco.
Tale decisione, impugnata in via principale dalla società ed
incidentale dal lavoratore, è stata confermata dalla Corte
d’appello di Milano con sentenza del 16 aprile – 21 giugno 2010.
Ha osservato la Corte di merito, in sintesi, con riguardo al
licenziamento, che il Manghi, responsabile della qualità e del
coordinamento delle risorse operative, venne dapprima
demansionato, con la sottrazione di tali compiti, e
successivamente licenziato per soppressione del posto di lavoro;
che tale licenziamento era illegittimo, non avendo il datore di
lavoro fornito la prova che il posto era stato soppresso e della
contrazione dell’attività commerciale, posto che le mansioni
affidate al dipendente erano state attribuite ad altra persona e
che la società aveva continuato ad assumere, anche se con
contratti atipici, altro personale.
Quanto alle altre statuizioni, la sentenza di primo grado, ad
avviso della Corte di merito, era da confermare, ma, avendo il
dipendente percepito a seguito del licenziamento redditi
d’impresa pari ad E 2.515, tale somma doveva essere detratta dal
complessivo importo a lui dovuto.

Il Tribunale di Milano ha dichiarato illegittimo il

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Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società
sulla base di tre motivi. Il lavoratore resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è denunziata violazione dell’art. 2103
cod. civ.
Si deduce che la sentenza impugnata è errata laddove è
fosse da ricondurre alla assegnazione ad altra dipendente delle
mansioni di responsabile della qualità e di coordinamento delle
risorse operative.
Ed infatti il nucleo fondamentale delle mansioni svolte dal
predetto dipendente era di natura commerciale e di ricerca e
sviluppo della clientela, mentre le mansioni di responsabile della
qualità e di coordinamento delle risorse operative erano del tutto
marginali, circostanza questa ignorata dalla sentenza impugnata
sulla base di una valutazione superficiale, astratta e del tutto
errata.
2. Con il secondo motivo è denunziata violazione e falsa
applicazione dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966 nonché
insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi
della controversia.
Si afferma che, diversamente da quanto sostenuto dalla
sentenza impugnata, attraverso la prova documentale e
testimoniale, era stata data dimostrazione della soppressione del
posto di lavoro del Manghi e della ristrutturazione del settore
commerciale nell’ambito di un più ampio processo di
razionalizzazione di tutte le strutture della società, finalizzato ad
ottimizzare i costi.
Era stato altresì provato che, a seguito del licenziamento
del Manghi, le sue mansioni erano state ridistribuite al personale
già in forza alla società; che vi era stata una contrazione
dell’attività commerciale; che nessuno dei collaboratori di cui si
era avvalsa la società dopo il licenziamento del Manghi aveva
svolto le mansioni commerciali di quest’ultimo; che le mansioni

stato ritenuto che la dequalificazione professionale del Manghi

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di carattere non commerciale assegnate al predetto dipendente,
oltre ad avere carattere marginale, erano state assegnate ad altra
dipendente su richiesta dello stesso Manghi; che il distacco a
Roma del medesimo era stato determinato dall’esigenza di
sviluppare nuovi mercati nel centro Italia e, al contempo, di
conservare il più possibile il posto di lavoro del Manghi.

dell’art. 2697 cod. civ. e del CCNL del settore commercio nonché
insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi
della controversia.
Sostiene la ricorrente che, in ordine alla parte variabile
della retribuzione, il Manghi non ha fornito alcuna prova della
sua pretesa ed in particolare dei dati relativi al fatturato
realizzato nei dieci mesi di lavoro del 2004.
Quanto al rimborso delle spese, nessuna norma
contrattuale prevede il pagamento di rimborsi in caso di distacco
né le spese erano state autorizzate.
4. I primi due motivi, che vanno trattati congiuntamente in
ragione della loro connessione, non sono fondati.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è dettato
da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del
lavoro e al regolare funzionamento di essa (art. 3, seconda parte,
L. n. 604 del 1966).
La sussistenza delle esigenze tecnico-economiche e delle
ragioni di carattere produttivo-organizzativo è rimessa alla
valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa
sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che
tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica
tutelata dall’art. 41 Cost.
Spetta invece al giudice il controllo della reale sussistenza
delle esigenze e delle ragioni anzidette, e cioè della effettività e
della non pretestuosità del riassetto organizzativo operato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che in materia di
licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo

3. Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione

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determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva – nella
quale rientra il licenziamento conseguente alla soppressione del
posto di lavoro – il datore di lavoro ha l’onere di provare, con
riferimento alla capacità professionale del lavoratore ed alla
organizzazione aziendale esistente all’epoca del licenziamento,
anche mediante elementi presuntivi o indiziari ovvero attraverso

mansioni diverse da quelle che prima svolgeva o in posti di
lavoro confacenti alle mansioni dallo stesso svolte,
giustificandosi il recesso solo come

extrema ratio (Cass.

7381/10; Cass. 11720/09, Cass. 15500/09, Cass. 6552/09,
Cass. 25885/08 e, più recentemente, Cass. 7474/12).
Con riguardo, poi, alle assunzioni di nuovo personale
successivamente al licenziamento, è necessario che il datore di
lavoro, sul quale grava il relativo onere probatorio, indichi (e
dimostri) le assunzioni effettuate, il relativo periodo, le qualifiche
e le mansioni affidate ai nuovi assunti e le ragioni per cui tali
mansioni non siano da ritenersi equivalenti a quelle svolte dal
lavoratore licenziato, tenuto conto della professionalità raggiunta
dal lavoratore medesimo.
In relazione a tutti tali elementi, il giudice deve dare conto
della valutazione operata, con motivazione che, ove adeguata ed
immune da vizi, è incensurabile in sede di legittimità.
Nella specie la motivazione adottata dalla Corte territoriale
è logica, coerente ed appare rispettosa dei principi di diritto
sopra richiamati.
Il giudice d’appello ha infatti accertato che non era stata
dimostrata dalla ricorrente la soppressione del posto di lavoro
del Manghi; che vi fu nei suoi confronti un progressivo
demansionamento, sino a quando non venne licenziato; che le
mansioni di responsabile della qualità e di coordinamento delle
risorse operative vennero attribuite ad altra dipendente; che
anche le mansioni commerciali gli vennero sottratte

“con

motivazioni… rimaste del tutto generiche in ordine alla possibilità

fatti positivi, l’impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in

di aprire nuove mercati”; che non era stata provata la contrazione
:

dell’attività commerciale, posto che la società dal 2003 al 2005
aveva continuato ad assumere, anche se con contratti atipici,
varie persone.
Alla stregua di tali accertamenti sono prive di fondamento
le censure mosse alla impugnata sentenza, avendo la Corte

convincimento, con motivazione immune da vizi e senza
incorrere in omissioni o contraddizioni.
Quanto alla valutazione delle prove è bene ricordare che
spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di
individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare
l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le
complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi
sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei
mezzi di prova.
Conseguentemente per potersi configurare il vizio di
motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è
necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si
assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia,
tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata
considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della
vertenza con un giudizio di certezza e non di mera probabilità
(cfr., tra le altre, Cass. 15355/04; Cass. 9368/06; Cass.
9245/07; Cass. 14752/07), evenienze queste non ricorrenti nella
specie.
5. Il terzo motivo è inammissibile.
5.1. La Corte di merito, in relazione alla retribuzione
variabile relativa all’anno 2004, ha affermato che la società, nel
contestare la pretesa dell’odierno resistente, non aveva allegato,
né tanto meno, dimostrato che non fosse stato raggiunto
l’importo del fatturato cui aveva fatto riferimento l’odierno

territoriale dato esaurientemente conto delle ragioni del suo

resistente, elemento questo nella disponibilità della società e non
del lavoratore.
La società, senza prendere posizione su tale affermazione,
attinente al profilo dell’onere della prova, continua ad affermare
che il Manghi non ha dimostrato il fondamento della sua pretesa
e richiama documenti che fornirebbero la prova del crollo del
relazione al decisum della Corte di merito.
5.2. Quanto al rimborso delle spese, a fronte
dell’affermazione della Corte di merito, secondo cui, trattandosi
di trasferte, tale rimborso era previsto dal contratto collettivo, la
ricorrente sostiene che, viceversa, si trattava di distacco, per il
quale non è previsto il rimborso delle spese dal contratto
collettivo, omettendo, da un lato, di produrre tale contratto – ciò
che comporta l’improcedibilità del motivo ex art. 369, secondo
comma, n. 4), cod. proc. civ. – ed introducendo, dall’altro, una
questione che non risulta affrontata dalla sentenza impugnata e
che la ricorrente non deduce di aver proposto al giudice d’appello
ed in quali termini.
6. Il ricorso in conclusione deve essere rigettato. Per il
criterio legale della soccombenza, la ricorrente va condannata al
pagamento delle spese di questo giudizio, come in dispositivo.
P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese di questo giudizio, che liquida in 100,00 per esborsi
ed E 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di
legge, a favore del resistente.
Così deciso in Roma in data Snovembre 2013.

Vedi (41 .

fatturato nell’anno 2004, questione questa irrilevante in

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