Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9019 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 31/03/2021), n.9019

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11135/2019 proposto da:

A.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Paciaroni,

domiciliato presso la Cancelleria della Corte;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI ANCONA n. 17/19,

depositata il 9 gennaio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. PIERPAOLO GORI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 17, depositata in data 9.1.2019 nella controversia iscritta al RGN 384/2019, la Corte d’Appello di Ancona rigettava l’appello proposto da A.M., cittadino (OMISSIS), confermando l’ordinanza emessa dal Tribunale di Ancona ex art. 702 bis c.p.c., attraverso la quale era stata a sua volta rigettata l’impugnazione del provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di Ancona con cui gli era stato negato il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

– Il ricorrente aveva riferito di una vicenda privatistica, l’aver perso la barca con la quale stava in Bangladesh trasportando un grosso carico di riso da rivendere al dettaglio, e di essere stato così costretto a sfuggire ai creditori che lo cercavano per ottenere soddisfazione del credito cui non era in grado di fare fronte.

– Avverso la decisione in data 3.4.2019 il richiedente ha notificato ricorso, affidato a tre motivi, mentre il Ministero dell’Interno non ha svolto difese, restando intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo il ricorrente censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. a) e b) e deduce il vizio motivazionale di omesso esame di un fatto decisivo, per aver la Corte d’appello negato l’esistenza dei presupposti giustificanti la protezione sussidiaria unicamente sulla base di quanto dichiarato dal richiedente riguardo ai motivi che lo hanno spinto a lasciare il Bangladesh, senza accertare la dedotta situazione di una situazione di instabilità socio-politica e di violenza indiscriminata nel Paese di origine.

– Il motivo è infondato. Va ribadito che “Nei procedimenti in materia di protezione internazionale, la valutazione di inattendibilità del racconto del richiedente, per la parte relativa alle vicende personali di quest’ultimo, non incide sulla verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in quanto la valutazione da svolgere per questa forma di protezione internazionale è incentrata sull’accertamento officioso della situazione generale esistente nell’area di provenienza del cittadino straniero, e neppure può impedire l’accertamento officioso, relativo all’esistenza ed al grado di deprivazione dei diritti umani nella medesima area, in ordine all’ipotesi di protezione umanitaria fondata sulla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione raggiunto nel nostro paese ed il risultato della predetta indagine officiosa. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito, che aveva del tutto omesso l’esame delle corrispondenti domande perchè ritenute assorbite dalla valutazione negativa della credibilità della narrazione sulla condizione di omosessualità).” (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 16122 del 28/07/2020, Rv. 658561 – 01). Nondimeno, dal momento che in dipendenza del motivo vengono dedotti profili di danno grave ai fini protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) (condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte e tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine) non sussiste l’obbligo dell’accertamento officioso richiesto considerato che la censura proposta dal ricorrente non è individualizzata.

– Con il secondo motivo il ricorrente deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, art. 6, comma 2 e art. 14, lett. c) oltre che il vizio di motivazione, per essere la Corte d’appello giunta ad una conclusione che si basa su di una violazione di legge, laddove ha ritenuto che il richiedente potesse attingere alla protezione offerta dal suo Paese, senza accertare l’effettività della tutela offerta dalle forze dell’ordine in (OMISSIS).

– Con il terzo motivo il ricorrente deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1 ter – regolamento di attuazione – nonchè il vizio motivazionale per aver la Corte d’appello escluso la sussistenza dei presupposti giustificanti la protezione gradata per motivi umanitari, con decisione contraria al consolidato orientamento giurisprudenziale circa la situazione dei diritti in (OMISSIS) e con particolare riferimento alla compressione di quelli fondamentali.

– I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi e sono inammissibili. La Corte d’appello, pur non citando espressamente COI aggiornate, ha compiuto un preciso accertamento in fatto sia riguardo l’assenza dei presupposti per l’umanitaria a pag. 8 della sentenza, non discendente meramente dalla scarsa credibilità del richiedente ma anche da un suo difetto di allegazione di specifiche condizioni di debolezza, sia riguardo l’assenza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c con riferimento all’assenza di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata (cfr. pag.7 della sentenza impugnata), dopo aver tenuto conto sia della crisi dei rifugiati (OMISSIS) sia della criminalità diffusa nel Paese, anche richiamando la motivazione del giudice di primo grado.

– Orbene, questi accertamenti in fatto, che implicano anche l’esercizio di reperimento di informazioni d’ufficio, esercitato già in primo grado e ribadito dalla sentenza impugnata nel quadro dei poteri devolutivi del giudice di appello, non sono specificamente censurati attraverso i motivi sopra riportati, ma alle statuizioni in fatto della Corte d’appello viene semplicemente contrapposta una ricostruzione opposta secondo cui vi sarebbero serie compressioni di diritti fondamentali a danno del richiedente e le forze dell’ordine nel Paese di origine non offrirebbero necessarie garanzie, deduzioni non supportate da allegazioni in fatto circostanziate non essendovi evidenza neppure di una giurisprudenza consolidata e univoca sul punto.

Va al proposito ribadito che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, è sì disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, ma presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura richiesta, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea (cfr. quanto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11096 del 19/04/2019 e, quanto all’umanitaria, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 14548 del 09/07/2020, Rv. 658136 – 01), al fine di contrastare gli specifici accertamenti in fatto a sè sfavorevoli operati dalla Corte d’appello.

In conclusione, il ricorso va disatteso, e nessun provvedimento va adottato sulle spese, in assenza di costituzione del Ministero, nè circa l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio, peraltro ritenuta inammissibile dall’Ordine degli Avvocati di Ancona.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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