Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9017 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 31/03/2021), n.9017

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9854/2019 proposto da:

H.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Righini,

domiciliato presso la Cancelleria della Corte;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA n. 2323/18,

depositata il 18 settembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. PIERPAOLO GORI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 2323, depositata in data 18.9.2018 nella controversia iscritta al RGN 1123/2017, la Corte d’Appello di Bologna rigettava l’appello proposto da H.S., cittadino del (OMISSIS), confermando l’ordinanza depositato dal Tribunale di Bologna ex art. 702 bis c.p.c. in data 20.3.2017. Per l’effetto, veniva rigettata l’impugnazione del provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di Bologna con cui era stato negato al richiedente il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o del diritto ad un permesso di soggiorno e di asilo.

– In particolare, il richiedente riferiva di essere stato coinvolto negli scontri tra i partiti (OMISSIS), di cui faceva parte suo zio, e l'(OMISSIS), di essere stato accusato ingiustamente di un omicidio e di essere fuggito dal (OMISSIS) ricercato dalla polizia, riuscendo poi a procurarsi, tramite il padre e un prestito, il denaro necessario per il volo in Libia e per corrompere i funzionari addetti ai controlli in quanto ricercato dalla polizia.

– Avverso la decisione in data 18.3.2019 il richiedente ha notificato ricorso, affidato ad a tre motivi, mentre il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo il ricorrente deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per aver la Corte d’appello ritenuto non credibile il narrato del richiedente in conseguenza di un’istruttoria improntata a criteri lontani dallo spirito di cooperazione, che avrebbero portato il giudice ad una lettura superficiale delle dichiarazioni del richiedente, tra l’altro con mancata adeguata considerazione della documentazione offerta in giudizio, sottovalutando il fatto che le incongruenze emerse erano dovute alla modesta istruzione ricevuta.

– Con il secondo motivo il ricorrente deduce – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1988, art. 5, comma 6 con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria e umanitaria, per aver la Corte d’appello omesso di svolgere la necessaria istruttoria relativamente alla situazione oggettiva del (OMISSIS).

– I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi e sono inammissibili. La Corte d’appello ha compiuto un preciso accertamento in fatto sulle condizioni del Paese di origine a pag.5 della sentenza, anche riguardo l’assenza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) con riferimento all’assenza di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata e, quanto alla umanitaria, per assenza di profili di vulnerabilità – oltre che soggettiva – anche oggettiva. Inoltre, le condizioni del Paese ai fini dello status di rifugiato non sono stati ritenuti pregnanti considerata la fattispecie, in ragione della motivata e dettagliata disamina del racconto del richiedente che ha portato la Corte d’appello ad escludere la sua credibilità e della natura della vicenda prospettata.

– Orbene, questi accertamenti in fatto, che implicano anche l’esercizio di reperimento di informazioni d’ufficio, non sono specificamente censurati con i motivi in esame, ma a tali statuizioni di merito viene semplicemente contrapposta una ricostruzione opposta secondo cui vi sarebbero serie compressioni di diritti fondamentali a danno del richiedente e le forze dell’ordine nel Paese di origine non offrirebbero necessarie garanzie, deduzioni non supportata da allegazioni in fatto circostanziate.

– Va al proposito ribadito che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice è sì disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, ma presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura richiesta, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea (cfr. quanto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11096 del 19/04/2019 e, quanto all’umanitaria, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 14548 del 09/07/2020, Rv. 658136 – 01), al fine di contrastare gli specifici accertamenti in fatto a sè sfavorevoli operati dalla Corte d’appello. Non è sufficiente semplicemente invocare in modo generico “la copiosa documentazione prodotta in giudizio dalla difesa dell’appellante” (cfr. p. 13 ricorso), indicando alcune rubriche di presunti documenti offerti al giudice d’appello e rilevanti, ma è necessario – anche in sintesi – evidenziare e riprodurre i passaggi, le argomentazioni e dati in base ai quali fonti attendibili decisive e contrarie sarebbero state trascurate dalla Corte d’appello.

– Con il terzo motivo il ricorrente deduce – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la motivazione apparente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per aver il giudice d’appello svalutato il passaggio del richiedente attraverso la Libia, considerato alla stregua di un mero paese di transito.

– Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza. Innanzitutto il mezzo non inquadra correttamente la censura di motivazione apparente nel corretto paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1 (n. 4) nè la sanzione processuale dell’eventuale accoglimento della doglianza (nullità). In secondo luogo, va osservato che la Corte dà conto argomentatamente del passaggio in Libia del ricorrente sia a proposito della valutazione della sua credibilità sia nella valutazione del merito delle domande, e ciò esclude possa parlarsi di motivazione al di sotto del minimo costituzionale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 2014). E’ inoltre logico l’iter argomentativo seguito dal giudice d’appello che, pur tenendone conto, non vi dà peso, in quanto le circostanze addotte dal richiedente non sono in sè rilevanti per le forme di protezione internazionale a lui richieste (status di rifugiato, protezione sussidiaria, diritto ad un permesso di soggiorno, asilo), dal momento che nello stesso motivo di ricorso si rende noto che ivi il richiedente ha lavorato come muratore, in un panificio e in un ristorante, seppure con una modesta retribuzione e non di aver subito violenze (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 13565 del 02/07/2020, Rv. 658235 – 01). Infine, non è di per sè decisivo il mero fatto che sia trascorso un anno di permanenza nel Paese, periodo di tempo insufficiente affinchè abbia autonoma rilevanza (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13758 del 03/07/2020, Rv. 658092 – 01 che dà autonoma rilevanza alla permanenza di otto anni).

In conclusione, il ricorso va disatteso, e nessun provvedimento va adottato sulle spese, in assenza di costituzione del Ministero.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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