Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9016 del 15/05/2020

Cassazione civile sez. I, 15/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 15/05/2020), n.9016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26575/2018 proposto da:

Fallimento (OMISSIS) Spa, in persona dei curatori fallimentari

L.G. e S.F., elettivamente domiciliato in Roma, V.

Del Banco Di Santo Spirito 42, presso lo studio dell’avvocato Di

Cecco Giustino, che lo rappresenta e difende, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.B.I. Scarl In Liquidazione, in persona del liquidatore legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via

Oslavia 30, presso lo studio dell’avvocato Sorrentino Domenico, che

lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1715/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2020 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione proposta dalla società consortile IBI a r.l. avverso il decreto ingiuntivo con cui le è stato intimato il pagamento in favore della Fallimento (OMISSIS) s.p.a. della somma di Euro 890.057,00 a titolo di restituzione di un finanziamento eseguito da quest’ultima società (quando era in bonis) in qualità di socio a favore del consorzio opponente.

La Corte d’Appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto

dalla IBI, ha accolto l’opposizione proposta dalla medesima società consortile. Il giudice di secondo grado ha osservato che, essendo onere del socio dimostrare che l’erogazione effettuata a favore della società sia riconducibile al rapporto di mutuo o finanziamento e non sia invece configurabile come versamento in conto capitale, nel caso di specie, il fallimento (OMISSIS) non aveva fornito la prova che l’apporto economico della (OMISSIS) (quando era in bonis) fosse stato un mero finanziamento e non un apporto di capitale, a nulla rilevando l’appostazione contabile di tale versamento nella sezione “debiti verso soci”, costituendo un elemento da solo non idoneo ad assumere rilevanza probatoria in ordine alla natura del contributo erogato dal socio.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il fallimento (OMISSIS) s.pa. affidandolo ad un unico articolato motivo.

La I.B.I. scarl si è costituita in giudizio con controricorso.

La parte ricorrente ha depositato la memoria ex. art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La procedura ricorrente ha dedotto l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta il fallimento (OMISSIS) s.p.a. che la Corte territoriale non ha considerato nè le risultanze della perizia del prof. E., da cui risultava l’evidenza contabile del credito della (OMISSIS) nei confronti della IBI, nè il contenuto dell’art. 5 dello statuto della I.B.I., nel quale era espressamente previsto che ” ove si renda necessario ai fini del regolare svolgimento dei lavori di cui all’oggetto, ciascun socio si impegna ad effettuare in favore della Società finanziamenti in conto capitale in proporzione della quota posseduta in forza di specifica deliberazione che l’assemblea dei Soci assumerà in sede ordinaria con voto unanime, nei limiti delle disposizioni di legge in vigore”.

Ne consegue che dal mero tenore letterale di tale previsione pattizia emergeva la volontà dei soci di subordinare il versamento di importi da imputarsi in conto capitale alla previa e specifica deliberazione dell’assemblea dei soci con voto unanime.

Orbene, nel caso di specie, non vi era mai stats, alcuna preventiva delibera dell’assemblea dei soci della IBI con cui era stato richiesto alla (OMISSIS) il versamento di somme a qualsivoglia titolo.

La procedura ha, inoltre, dedotto che i fatti storici sopra descritti, di cui la Corte territoriale aveva omesso l’esame, avevamo formato oggetto di discussione tra le parti ed assumevano carattere decisivo, dato che, ove fossero stati oggetto di analisi, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.

Il fallimento ricorrente ha, altresì, lamentato che la Corte d’Appello è incorsa nella violazione delle norma di interpretazione negoziale di cui all’art. 1362 c.c., comma 2, non essendo stato valutato nè il comportamento complessivo dei soci della IBI anche posteriore alla erogazione della somma di Euro 890.057,00, nè la comune intenzione delle parti, escludendo che i soci avessero inteso attribuire alla erogazione la natura di prestito.

In particolare, si censura la violazione dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. – e in particolare quello della “comune intenzione delle parti” – emergenti dal predetto art. 5 dello statuto, dalla appostazione del versamento nel passivo dello stato patrimoniale del bilancio chiuso al 31 dicembre 2006 nella sezione “debiti”, dalla relativa precisazione contenuta nella nota integrativa a detto bilancio nonchè dalla espressa esclusione della postergazione, evidenziata sempre nella predetta nota integrativa (elemento quest’ultimo ritenuto dalla Corte di merito come una “anomalia”).

Infine, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha errato nel non qualificare il versamento per cui è procedimento come finanziamento, essendo stato disatteso l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui, qualora non sia possibile determinare una chiara manifestazione di volontà negoziale, ” la chiave di lettura” della qualificazione degli apporti effettuati sai soci non può che essere ricercata nella terminologia adottata in bilancio.

2. Il ricorso è infondato.

Va, in primo luogo, osservato che non è meritevole di accoglimento la censura di omesso esame di fatto decisivo, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, relativo alla doverosità di una Delibera all’unanimità dei soci, richiesta dall’art. 5 dello Statuto, affinchè i soci medesimi potessero effettuare versamenti in conto capitale (Delibera insussistente nel caso di specie).

Risulta, infatti, dalla stessa prospettazione della parte ricorrente (e, in particolare, dalle stesse modalità con cui sono stati riportati i precisi passaggi “virgolettati” dell’atto di appello e della comparsa di costituzione in appello) che, in realtà, su tale questione le parti non hanno minimamente interloquito nei precedenti gradi di giudizio.

In particolare, se è pur vero che nell’atto di citazione in appello la IBI aveva dedotto che l’erogazione di danaro effettuata dalla (OMISSIS) s.p.a. doveva qualificarsi come apporto di patrimonio o di capitale di rischio sulla scorta della previsione contenuta nell’art. 5 dello statuto, tuttavia, la stessa appellante, nel trascrivere tale previsione statutaria, aveva omesso di riportare la parte “decisiva” della medesima, nella quale veniva richiesta la specifica deliberazione all’unanimità dell’assemblea dei soci per poter effettuare il versamento in conto capitale.

Nè nella comparsa di costituzione in appello il fallimento (OMISSIS) aveva evidenziato tale omissione, limitandosi a sostenere che “la IBI non era stata in grado di dimostrare quanto allegava”, con la conseguenza che la questione della necessità della Delibera dei soci per poter effettuare il versamento in conto capitale non è mai stata oggetto di discussione tra le parti.

Con riferimento, invece, alla dedotto omesso esame di fatto decisivo, consistente nelle risultanze della perizia del prof. E. (da cui risultava l’evidenza contabile del credito oggetto della (OMISSIS) nei confronti della IBI), tale censura è parimenti infondata: a prescindere dalle conclusioni della predetta perizia, il dato storico che il versamento per cui è procedimento è stato appostato in bilancio come finanziamento è stato pienamente considerato dalla Corte di merito, ma è stato ritenuto non significativo.

Deve, inoltre, ritenersi infondata la doglianza del fallimento, relativa alla dedotta violazione delle norme di interpretazione contrattuale, e, segnatamente, di quella di cui all’art. 1362 c.c., comma 2.

Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte che l’attività di interpretazione di un contratto costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito e può essere sindacata in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale oppure per vizio di motivazione; in tal caso, il ricorrente non può limitarsi a contrapporre interpretazioni o argomentazioni alternative rispetto a quelle proposte dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (vedi Cass. n. 2465 del 10/02/2015), ma ha l’onere di indicare specificamente il punto ed il modo in cui l’interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica (Cass. n. 10554 del 30/04/2010; vedi anche Cass. n. 8808 del 04/04/2008).

Orbene, nel caso di specie, la procedura ricorrente, con l’apparente doglianza della violazione dei criteri di interpretazione contrattuale, non ha indicato, in realtà, il modo specifico in cui la Corte d’Appello si sarebbe discostata dai canoni di interpretazione contrattuale, essendosi limitata a prospettare una diversa ricostruzione della volontà contrattuale sulla base o di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già esaminati dal giudice di secondo grado (appostazione del versamento in bilancio come finanziamenti, esclusione della postergazione, etc.), ovvero evidenziando l’omesso esame di elementi decisivi (come la previsione di cui all’art. 5 dello statuto), vizio che, tuttavia, deve essere valutato ed assume rilevanza solo in presenza dei presupposti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso di specie, insussistenti, come sopra illustrato.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna della procedura ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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