Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9016 del 15/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 15/04/2010, (ud. 25/01/2010, dep. 15/04/2010), n.9016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – rel. Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 23002-2007 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrenti –

contro

FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI UDINE E PORDENONE, in persona del

suo legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

GRAZIOLI 5, presso lo studio dell’avvocato ANELLO PIETRO, che la

rappresenta e difende, giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/2006 della COMMISSINE TRIBUTARIA REGIONALE

di TRIESTE, del 2/10/06, depositata il 12/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/01/2010 dal Presidente Relatore Dott. FERNANDO LUPI;

udito per la controricorrente l’Avvocato Anello Pietro, che si

riporta ai motivi del controricorso;

è presente il P.G. in persona del Dott. MARCO PIVETTI, che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione a sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “La C.T.R. del Friuli Venezia Giulia ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate di Udine nei confronti della Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, confermando la spettanza del rimborso della metà dell’IRPEG versata per l’esercizio 1995/96, avendo la Fondazione bancaria diritto al beneficio di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6.

Riteneva in motivazione che la spettanza del beneficio derivava dalla natura prevalentemente non lucrativa dell’attività svolta in conformità delle previsioni statutarie, che l’attività economica era meramente strumentale all’esercizio delle finalità della fondazione e, in mancanza di prova contraria, non aveva natura di impresa, che tale interpretazione era confermata dal D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 norma di natura interpretativa.

Propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, resiste con controricorso la fondazione bancaria.

Va preliminarmente rilevato che il ricorso del Ministero è inammissibile non essendo stato parte del giudizio di appello.

Con il primo motivo, formulando idoneo quesito di diritto, l’Agenzia contesta la applicabilità alla annualità in questione del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 non essendo la norma nè retroattiva nè interpretativa.

Il motivo è fondato in quanto conforme alla interpretazione della norma data dalle Sezioni Unite con la sentenza in seguito citata.

Con il secondo e terzo motivo, che si trattano congiuntamente perchè connessi, la ricorrente, formulando idonei quesiti di diritto, contesta qualificazione dell’attività della fondazione bancaria come non commerciale essendo irrilevanti le previsioni statutarie e la non partecipazione dei componenti del CDA della fondazione al governo della controllata impresa bancaria, contesta poi che spetti all’Amministrazione e non alla contribuente provare che essa non eserciti impresa ed esclusivamente attività non lucrative.

I due motivi sono fondati in quanto conformi ai principi affermati recentemente dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 1579 del 2009 con la quale, componendo il contrasto della giurisprudenza, si sono affermati i seguenti principi: Gli enti di gestione delle partecipazioni bancarie, quali risultanti dal conferimento delle aziende di credito in apposite società per azioni e gravati dall’obbligo di detenzione e conservazione della maggioranza del relativo capitale ai sensi della L n. 218 del 1990 ed in base al D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12 a causa del particolare vincolo genetico che le univa alle aziende scorporate, non possono essere assimilati nè alle persone giuridiche di cui alla L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis (che perseguono esclusivamente scopi di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica), ai fini della esenzione dal versamento della ritenuta d’acconto sugli utili, nè agli enti ed istituti di interesse generale aventi scopi esclusivamente culturali, di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 ai fini del riconoscimento della riduzione a metà dell’aliquota sull’i.r.pe.g.; la predetta disciplina agevolativa non trova applicazione quanto agli enti considerati nè in via analogica, trattandosi di disposizioni eccezionali, nè in via estensiva, poichè la sua ratio va ricercata nella esclusività e tipicità del fine sociale previsto per ciascun ente, individuato in maniera tassativa quale già esistente al momento dell’entrata in vigore delle predette norme. La successiva disciplina di riforma del sistema creditizio, nell’attribuire a tali enti, ai sensi del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 ed ove si siano adeguati alle nuove prescrizioni, la qualifica di fondazioni con personalità giuridica di diritto privato, così estendendo ad essi il regime tributario proprio degli enti non commerciali, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 87, comma 1, lett. c, (T.U.I.R.), non ha assunto valenza interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, avendo essa previsto adempimenti collegati all’attuazione della riforma stessa, senza influenza sui periodi precedenti. Ne consegue l’esistenza di una presunzione di esercizio di impresa bancaria in capo ai soggetti che, in relazione all’entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio e, dall’altro, la possibile fruizione dei predetti benefici, per gli enti considerati, solo a seguito della dimostrazione, di cui sono onerati secondo il comune regime della prova ex art. 2697 c.c. di aver in concreto svolto un’attività, per l’anno d’imposta rilevante, del tutto differente da quella prevista dal legislatore, dunque un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anzichè quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie e sempre che il relativo tema sia stato introdotto nel giudizio secondo le regole proprie del processo tributario, ovverosia mediante la proposizione di specifiche questioni nel ricorso introduttivo, non incombendo all’Amministrazione finanziaria l’onere di sollevare in proposito precise contestazioni”.

Rilevato che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ali parti costituite, che la contribuente ha depositato memoria.

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 375 c.p.c., n. 5 della manifesta fondatezza del ricorso. Infatti i rilievi contenuti nella memoria non sono condivisibili.

La previsione statutaria, che gli amministratori della Fondazione non possano ricoprire incarichi nelle società partecipate, non esclude affatto l’ingerenza della detentrice del pacchetto di controllo nella gestione della banca partecipata. In ordine alla prova la sentenza impugnata ha ritenuto, in contrasto con i trascritti principi, che la prova della natura imprenditoriale spettasse all’Amministrazione e, in assenza di prova contraria, ha ritenuto la natura non imprenditoriale della Fondazione. Questo accertamento di fatto è stato contestato attraverso il terzo motivo che critica il riparto dell’onere della prova che lo fonda, va escluso quindi che si sia in presenza di fatto non contestato.

Pertanto la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia che nel decidere si atterrà ai trascritti principi.

Allo stesso giudice si demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della CTR del Friuli Venezia Giulia.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2010

 

 

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