Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9014 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 31/03/2021), n.9014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5241/2019 proposto da:

F.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Manuela Agnitelli,

elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore in Roma,

viale Giuseppe Mazzini n. 6;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA n. 509/18,

depositata il 30/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. PIERPAOLO GORI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 509, depositata in data 30.6.2018 nella controversia iscritta al RGN 1016/2017, la Corte d’Appello di Perugia rigettava l’appello proposto da F.A., cittadino (OMISSIS), confermando l’ordinanza emessa dal Tribunale di Perugia ex art. 702 bis c.p.c., con la quale era stata a sua volta rigettata l’impugnazione del provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di Firenze-Perugia con cui gli era stato negato il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

In particolare il richiedente rendeva noto di essere stato costretto ad abbandonare la (OMISSIS) avendo ereditato dal padre terreni di cui lo zio si sarebbe illegittimamente appropriato, minacciandolo di morte e di essere scappato, non avendo ottenuto protezione dalla polizia, dopo uno spostamento nella città di Lagos in cui lo raggiungeva lo zio; dopo un passaggio in Libia, raggiungeva l’Italia.

Avverso la decisione in data 30.1.2019 il richiedente ha notificato ricorso, affidato a quattro motivi, mentre il Ministero dell’Interno non ha svolto difese, restando intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente deduce – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 11, lett. e) ed f), oltre che la carenza e lacunosità della motivazione per aver la Corte di appello di Perugia rigettato la richiesta dello status di rifugiato “non riuscendo ad individuare persecuzioni per tendenze o stili di vita”.

– Il motivo è inammissibile. Va infatti rammentato che, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, è riservato al giudice del merito l’apprezzamento del fatto, incluso quello sula situazione socio-politica o normativa del Paese di provenienza la quale è rilevante solo se correlata alla specifica posizione del richiedente e, più specificamente, al suo fondato timore di una persecuzione personale e diretta, per l’appartenenza ad un’etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze e stili di vita, e quindi alla sua personale esposizione al rischio di specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità psico-fisica (Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226 – 02) – circostanze neppure dedotte nel caso di specie.

– Inoltre, il vizio motivazionale prospettato per una parte sostanzialmente denuncia una motivazione insufficiente che incappa nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mentre per la restante parte della censura sotto lo schermo della violazione di legge, comunque mira chiaramente ad una indebita rivalutazione del fatto. Il motivo non contiene la prospettazione di un travisamento della prova che, sola, recando l’informazione probatoria su un punto decisivo, acquisita e non valutata, mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 3796 del 14/02/2020, Rv. 657055 – 01), senza implicare una nuova valutazione dei fatti, ma facendo emerge la constatazione che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale.

– Con il secondo motivo il ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), art. 3, comma 3, lett. a) artt. 2, 3, 5, 8 e 9 CEDU, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis in quanto il rigetto della protezione sussidiaria sarebbe intervenuto senza alcuna valutazione del danno grave prospettato, in difetto di istruttoria.

– Con il terzo motivo il ricorrente deduce – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, art. 3, comma 3, lett. a) e b), artt. 3 e 7 CEDU in quanto il rigetto del riconoscimento della protezione sussidiaria sarebbe stato emesso anche sulla base di un giudizio prognostico, futuro e incerto e non sulla base dello stato effettivo ed attuale del Paese di origine, avendo il giudice d’appello ritenuto che in (OMISSIS) non vi fosse un pericolo generalizzato.

I due motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto connessi ed attinenti alla protezione sussidiaria, e sono in parte infondati e in parte inammissibili. Va ribadito che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice è sì disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, ma presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura richiesta, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea (cfr. quanto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11096 del 19/04/2019 e, quanto all’umanitaria, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 14548 del 09/07/2020, Rv. 658136 – 01), al fine di contrastare gli specifici accertamenti in fatto a sè sfavorevoli operati dalla Corte d’appello.

Inoltre, quanto alla protezione sussidiaria va rammentato che non sussiste un pari obbligo di cooperazione con riferimento alle lett. a) e b) allorquando, in presenza ritenuta e motivata assenza di credibilità del dichiarante (cfr. Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 16122 del 28/07/2020), la censura, come nel caso di specie, non sia individualizzata. Quanto alla lett. c) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 ossia per il caso in cui sia prospettata “la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.”, vi è una esplicita presa di posizione della Corte d’appello secondo cui “non può ritenersi dimostrato che il grado di violenza del conflitto armato in corso nella regione di provenienza del richiedente ((OMISSIS) – (OMISSIS)) abbia assunto tali caratteristiche.” (cfr. p.6 sentenza), che attesta l’intervenuto esercizio di poteri istruttori da parte del giudice del merito, anche per effetto del richiamo alla decisione di primo grado nel quadro della natura devolutiva del giudizio d’appello. Inoltre il ricorrente non ha allegato COI aggiornate e attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, di indicarne gli estremi e di riassumerne (o trascriverne) il contenuto, al fine di evidenziare che, se il giudice ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso, non potendo altrimenti la Corte apprezzare l’astratta rilevanza del vizio dedotto e, conseguentemente, valutare l’interesse all’impugnazione ex art. 100 c.p.c. (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21932 del 09/10/2020, Rv. 659234 – 01). La mancanza non viene utilmente superata dal terzo motivo di ricorso, il quale lamenta sì l’esistenza di situazioni di criticità (come Boko Haram, rischio terrorismo ecc.) e cita fonti a supporto in relazione a tali fenomeni, i quali tuttavia sono propri dell’est della (OMISSIS) e non si attagliano all'(OMISSIS) da cui proviene il ricorrente.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 – la violazione del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1 del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4 nonchè l’illogica, contraddittoria e apparente motivazione per aver la Corte d’appello di Perugia rigettato la richiesta di protezione umanitaria senza operare un esame specifico ed attuale della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente, con riferimento al Paese di origine.

Il motivo è inammissibile nella sua formulazione perchè prospetta una congerie di censure, tra cui il vizio di motivazione e di motivazione apparente senza individuare i rispettivi pertinenti paradigmi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 4 e, soprattutto, senza distinguere le plurime doglianze all’interno del motivo. In ogni caso, il mezzo è anche privo di adeguata allegazione circa le presunte condizioni di vulnerabilità personali e generali, ulteriore ragione di inammissibilità, ed è pure infondato perchè la sentenza contiene una chiara e motivata statuizione sull’assenza di condizioni di vulnerabilità personali (“non sono state specificamente allegate, nè possono ritenersi dimostrate specifiche situazioni soggettive” cfr. p.6 sentenza) o generali (“categorie che, a titolo meramente esemplificativo sono state individuate in (…) persone impossibilitate ad autodeterminarsi anche nelle scelte più elementari nel proprio paese”, cfr. ibidem).

In conclusione, il ricorso va disatteso, e nessun provvedimento va adottato sulle spese, in assenza di costituzione del Ministero. Nessuna statuizione dev’essere adottata dalla Corte in conseguenza dell’eventuale ammissione al gratuito patrocinio (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11677 del 16/06/2020, Rv. 657953 – 01).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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