Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9010 del 06/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 9010 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 163-2008 proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del
Ministro

in

carica

tempore,

pro

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per
legge;
– ricorrente
contro

FERRETTI ALDINO in proprio, RODOLFO ROSSO in qualità di
Presidente della Fondazione Famiglia Caraccio erede del
defunto Sig. RAMASCO VOLPON PAOLINO, elettivamente

1

Data pubblicazione: 06/05/2015

domiciliati in ROMA, VIA PINCIANA 25, presso lo STUDIO
GRIMALDI E ASSOCIATI, rappresentati e difesi dagli
avvocati ANDREA GRANZOTTO, DI GRAVIO VALERIO; giusta
procura speciale a margine del controricorso;
– controxicorrenti –

di ROMA, depositata il 12/11/2007, R.G.N. 9663/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/01/2015 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato GIACOBBE DANIELE;
udito l’Avvocato ANDREA GRANZOTTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso
per il rigetto del ricorso;

2

avverso la sentenza n. 4659/2007 della CORTE D’APPELLO

R.g.n. 163-08 (ud. 27.1.2015)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha proposto ricorso per
cassazione contro Paolino Ramasco Volpon e Aldino Ferretti avverso la
sentenza del 12 novembre 2007, con cui la Corte di Appello di Roma ha

definitiva (n. 35700 del 16 novembre 2000) e la seconda definitiva (n. 21599 del
2 luglio 2003), le quali avevano rispettivamente accertato nell’an e quindi
determinato nel quantum il diritto fatto valere con domanda del giugno 1998
dagli intimati per ottenere l’accertamento e la conseguente condanna del
Ministero al pagamento di un indennizzo dovuto per la perdita di beni posseduti
nello Zaire dalla società Sozagec s.p.r.l. con sede in Kinshasa, della quale gli
attori erano titolari ciascuno per il 25% del capitale sociale. Tali beni erano
andati distrutti in occasione di tumulti popolari avvenuti nel settembre del 1991
e nel gennaio del 1993.
§2. Al ricorso hanno resistito con congiunto controricorso Rodolfo Rosso,
nell’asserita qualità di presidente della Fondazione Famiglia Caraccio, erede del
defunto Sig. Paolino Ramasco Volpon ed Aldino Ferretti.
§3. I resistenti hanno depositato memoria.
MOTIVI DF.1 .T .A DECISIONE

§1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa
applicazione dell’art. 2, 5° comma, lett. A) della legge n. 98/1994, nonché delle
leggi n. 16/1980 e n. 135/1985 (art. 360, n. 3, c.p.c.)”.
Vi si sostiene che la Corte territoriale e prima ancora lo stesso Tribunale di
Roma avrebbero erroneamente interpretato l’art. 2, quinto comma lett. a) della
legge n. 98 del 1994, reputando che tale norma non fosse da interpretare nel
senso che non avesse «determinato, per il solo Zaire, una riapertura dei termini
3
Est. Cons. kaffaele Frasca

rigettato il suo appello contro le sentenze del Tribunale di Roma, la prima non

R.g.n. 163-08 (od. 27.1.2015)

per la presentazione delle domande di indennizzo presentate ai sensi delle leggi
n. 16/1980 e 135/1985 relative alle perdite di beni, anche per fatti verificatisi
successivamente al 2.9.1985 (termine di decadenza stabilito dalla legge n.
135/1985)».
La prospettazione è, in sostanza nel senso che la norma della legge del

1985.
§1.1. Il motivo è privo di fondamento alla luce della giurisprudenza
sopravvenuta alla proposizione del ricorso.
Cass. n. 1888 del 2010 ha, infatti, statuito che «In tema di indennizzi a
cittadini italiani per la perdita di beni siti all’estero, il sistema risultante dalla
disciplina di cui alle leggi n. 16 del 1980 e n. 135 del 1985, che individua i paesi
ovvero le zone territoriali ove le predette perdite sono avvenute ed il periodo
temporale in cui i correlativi eventi pregiudizievoli si devono essere verificati,
non esclude che la legislazione successiva possa prevedere l’indennizzabilità di
nuovi danni patrimoniali subiti da cittadini italiani in Stati esteri diversi ed
ulteriori rispetto a quelli considerati; così infatti l’art. 2, comma 5, della legge n.
98 del 1994, ha, da un lato, esteso i benefici previsti dalle due precedenti leggi ai
cittadini italiani che avessero subito perdite nello Zaire e, dall’altro, posto un
termine “ex novo” di 120 giorni per la richiesta dei relativi indennizzi,
decorrente dalla sua entrata in vigore, così dovendosi intendere il richiamo
operato alle “modalità previste dalle stesse leggi” (n. 16 del 1980 e n. 135 del
1985)».
Quindi, Cass. n. 24544 del 2010 ha statuito nella medesima direzione che
«In tema di indennizzi a cittadini e imprese italiane per la perdita di beni siti
all’estero, l’art. 2, comma 5, lett. a), della legge n. 98 del 1994, nel riconoscere il
diritto all’indennizzo, di cui alle leggi n. 16 del 1980 e n. 135 del 1985, ai
medesimi soggetti “che abbiano perduto o dovuto abbandonare i loro beni in
Zaire”, ha portata innovativa nella parte in cui, limitatamente a detto Paese,
4
Est. Con. Ra le Frasca

1998 non sarebbe stata applicabile a fatti già non contemplati dalla legge del

R.g.n. 163-08 (ud. 27.1.2015)

prevede che il diritto all’indennizzo sorga anche in mancanza di provvedimenti
ablatori adottati da autorità straniere e anche in territorio non soggetto in passato
alla sovranità italiana per eventi sopravvenuti alla legge n. 135 del 1985 (come
nel caso di perdita di beni a causa di tumulti popolari e atti vandalici avvenuti in
Zaire negli anni dal 1991 al 1993).». Nello stesso senso Cass. n. 24545 del

del 2014
In base ai ricordati principi di diritto, cui questa Sezione intende dare
continuità, il motivo è rigettato.
§2. Con un secondo motivo si denuncia “omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360
n. 5 c.p.c.)”.
Il motivo ripropone sul versante del n. 5 dell’art. 360 (peraltro formalmente
evocando il paradigma di tale numero anteriore al d.lgs. n. 40 del 2006) la
questione di diritto prospettata con il primo motivo in ordine alla normativa di
cui alla 1. n. 98 del 1994 e non, come sarebbe funzionale alla sua intestazione,
una quaestio facti.
Ne deriva la sua infondatezza alla stregua dell’orientamento richiamato a
proposito del motivo precedente, in disparte che, se il motivo avesse posto
effettivamente una censura ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., si sarebbe dovuto
concludere con o contenere il momento di sintesi espressivo della c.d. “chiara
indicazione” di cui all’art. 366-bis c.p.c.
§3. Con il terzo motivo si denuncia ancora “omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360
n. 5 c.p.c.)”.
Il motivo — anche in tal caso evocante il n. 5 ante riforma del d.lgs. n. 40
del 2006 e, dunque, non correlandosi ad un fatto controverso

è inammissibile

gradatamente per inosservanza dell’art. 366-bis c.p.c. e dell’art. 366-n. 6 c.p.c.

s
Est. Cons Raffa e Frasca

2010 e, più di recente, Cass. n. 28883 del 2011, Cass. n. 9849 del 2012, n. 14227

R.g.n. 163-08 (ud. 27.1.2015)

Sotto il primo aspetto si rileva che l’illustrazione si sarebbe dovuta
concludere con o avrebbe dovuto contenere il momento di sintesi espressivo
della “chiara indicazione” nei termini di cui a consolidata giurisprudenza della
Corte, a partire da Cass. (ord.9 n. 16002 del 2007 e Cass. sez. un. n. 20603 del
2007.

nemmeno lo contiene al suo interno.
Sotto il secondo aspetto, se si procede alla lettura dell’illustrazione emerge
che ci si duole che la sentenza impugnata non abbia risposto alle critiche rivolte
alla c.t.u. con il secondo motivo di appello. In tal modo il motivo si fonda sul
contenuto della c.t.u. in quanto oggetto di critica con detto motivo, che viene in
parte riprodotto.
Senonché, né nella parte riprodotta né comunque nell’illustrazione del
motivo in esame si evidenziano, riproducendoli direttamente od indirettamente
(in questo secondo caso precisando a quale parte del documento corrispondano),
i passi del contenuto della c.t.u. cui si riferisce la critica e neppure si indica se e
dove la c.t.u. sarebbe esaminabile in questa sede (ove prodotta agli effetti
dell’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c.). Difetta, dunque, l’indicazione
specifica dell’atto processuale su cui il motivo si fonda e ciò anche alla stregua
di Cass. sez. un. n. 22726 del 2001, posto che non si è detto neppure —
circostanza indispensabile secondo le stesse SS.UU. per l’osservanza dell’art.
366 n. 6 — che la c.t.u. sarebbe presente nel fascicolo d’ufficio di una delle fasi
di merito (presenza che, sempre secondo le SS.UU. può esonerare dal diverso
onere di produzione a pena di procedibilità degli atti processuali, di cui al n. 4
del secondo comma dell’art. 369 c.p.c.).
§4. Il ricorso è, pertanto, rigettato.
§5. Le spese possono compensarsi, ravvisandosi giusti motivi nella
circostanza che la giurisprudenza sulla base della quale si è detto infondato il
primo morivo si è manifestata soltanto dopo la proposizione del ricorso.
6
Est. Con

e Frasca

Viceversa, l’illustrazione non si conclude con il detto momento di sintesi e

R.g.n. 163-08 (ud. 27.1.2015)

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile,

Il Presidente

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