Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9009 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 31/03/2021), n.9009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8582/2019 r.g. proposto da:

N.Y., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Raffaele Miraglia, con

cui elettivamente domicilia in Roma, Via Muzio Clementi n. 51,

presso lo studio dell’Avvocato Valerio Santagata;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna, depositato in data

4.2.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Bologna ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da N.Y., cittadino del (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha narrato: i) di essere nato in (OMISSIS); di essere stato costretto a fuggire dal suo paese in seguito alla decisione del padre e del nonno di costruire un (OMISSIS), e cioè una moschea, per pregare e organizzare feste per i (OMISSIS), eventi che avevano suscitato la reazione dei sunniti della (OMISSIS) con conseguente omicidio del nonno e di un operaio.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto e perchè non era stato allegato un concreto ed attuale rischio di persecuzione in danno del richiedente, le cui informazioni non avevano neanche trovato riscontro nelle COI; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito alla regione del (OMISSIS), luogo di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che il ricorrente non aveva dimostrato una condizione soggettiva di vulnerabilità e perchè l’attività lavorativa svolta in Italia non poteva considerarsi ragione di per sè sufficiente a fondare il riconoscimento dell’invocata protezione umanitaria.

2. Il decreto, pubblicato il 4.2.2019, è stato impugnato da N.Y. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 11, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,7 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. e art. 6 Cedu e violazione del principio del contraddittorio e della “parità delle armi”. Si evidenzia che il giudice del merito aveva espresso il giudizio di non credibilità del ricorrente, senza sottoporre tale scrutinio al necessario contraddittorio e senza adeguata motivazione in ordine alle ragioni per le quali aveva ritenuto irrilevante la ricostruzione della vicenda personale del ricorrente. Si osserva ancora che la motivazione impugnata aveva erroneamente ritenuto non probante la documentazione allegata, omettendo, anche in tal caso, di stimolare il contraddittorio sul punto in sede di audizione.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 con riferimento all’art. 33 della Convenzione di Ginevra, in relazione al mancato riconoscimento della richiesta protezione sussidiaria ovvero di quella umanitaria, con omessa valutazione dei fatti esposti in ordine alla situazione del paese di origine del richiedente, con particolare riferimento all’omesso esame della rilevanza del documento prodotto, probante l’appartenenza del richiedente alla religione sciita e alla mancata valutazione del fallito ricollocamento in diverso villaggio.

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1 4.1 Già il primo motivo di censura è inammissibile.

4.1.1 Sul punto è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più precisamente, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

4.1.2 Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle sue dichiarazioni e del giudizio di loro complessiva inattendibilità profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perchè non dedotto nel senso sopra chiarito e perchè comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.

Per il resto la censura si compone di irricevibili richieste di rivalutazione della documentazione prodotta, profilo quest’ultimo su cui i giudici del merito hanno adeguatamente argomentato, reputando i documenti prodotti probatoriamente irrilevanti, stante la non autenticità degli stessi.

4.2 Anche la seconda censura non supera il vaglio di ammissibilità.

4.2.1 Osserva la Corte come, in riferimento al contestato profilo del diniego della richiesta protezione sussidiaria sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, il ricorrente non colga, con le sue censure, le rationes decidendi poste a sostegno del provvedimento di rigetto dell’invocata protezione, posto che la motivazione impugnata, con argomentazioni adeguate e scevre da criticità ovvero aporie motivatorie, ha ben spiegato che il diniego della richiesta protezione internazionale si fondava sul rilievo della complessiva non attendibilità del racconto del richiedente e comunque sulla mancanza di attualità e concretezza del pericolo denunciato, che, peraltro, in relazione al riferito episodio della contesa tra le diverse confessioni religiose musulmane, non era stato neanche adeguatamente documentato dal ricorrente nè lo stesso trovava un positivo riscontro nella documentazione informativa consultata dai giudici del merito. Ebbene, tali rationes della decisione impugnata non sono state in alcun modo censurate da parte del ricorrente, le cui doglianze, peraltro solo genericamente formulate, si sono rivolte, invece, a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione del merito della decisione, attraverso la rilettura degli atti istruttori.

4.2.2 Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche in riferimento alle altrettanto generiche contestazioni sul diniego dell’invocata protezione umanitaria, la cui domanda era stata rigettata sulla base del solito rilievo della mancanza di credibilità del racconto e della mancata dimostrazione di una condizione di vulnerabilità del richiedente, rationes, anche in tal caso, non efficacemente contrastate nei motivi di censura proposti con il ricorso introduttivo.

4.2.3 Per il resto, la censura è volta ad una irricevibile richiesta di rivalutazione del merito della decisione.

Invero, non si può pretendere – come invece richiesto dal ricorrente – di rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (v. così anche Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017).

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

 

 

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