Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9009 del 15/05/2020

Cassazione civile sez. II, 15/05/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 15/05/2020), n.9009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18950/2018 R.G. proposto da:

C.M., E IREN ACQUA TIGULLIO S.P.A., in persona del

legale rappresentante p.t., rappresentate e difesi dall’avv.

Alessandro Morini e dall’avv. Alessandra Micali, con domicilio

eletto in Roma, alla Via Ugo Balzani n. 6.

– ricorrenti –

contro

CITTA’ METROPOLITANA DI GENOVA, in persona del Sindaco metropolitano

p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Valentina Manzone, Carlo

Scaglia e dall’avv. Gabriele Pafundi, con domicilio eletto in Roma,

Viale Giulio cesare n. 14.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1600/2017,

depositata in data 19.12.2017.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del giorno

10.12.2019 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.M. e la Idrotigullio s.p.a. (ora Iren Acqua Tigullio s.p.a.) hanno proposto opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 96/A, con cui la Provincia di Genova ha irrogato la sanzione pecuniaria di Euro 15.010,00, per la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124 e art. 133, comma 2, contestando che l’impianto di depurazione di (OMISSIS) aveva effettuato lo scarico a mare dei reflui in assenza del relativo provvedimento autorizzatorio.

Il Tribunale – con sentenza non definitiva n. 1031/2015 – ha respinto l’eccezione di carenza di potestà sanzionatoria della Provincia e all’esito, con sentenza n. 2260/2015, ha rigettato l’opposizione.

Entrambe le pronunce sono state confermate in appello.

Il Giudice distrettuale, ritenuta ammissibile l’eccezione di carenza di potestà sanzionatoria in capo alla Provincia di Genova, pur se proposta solo nel corso del giudizio di primo grado, ha evidenziato che, nel vigore del D.Lgs. n. 152 del 19992, art. 56, la Regione Liguria aveva già adottato la L.R. n. 43 del 1995, il cui art. 42, comma 2, lett. b), attribuiva alla Province, quale autorità competente per il rilascio delle autorizzazioni allo scarico, il potere di comminare le sanzioni previste dal comma 1 della medesima disposizione, e che, ai sensi della L.R. n. 41 del 2014, art. 22, detta competenza doveva intendersi riferita anche alle sanzioni ammnistrative pecuniarie contemplate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, concludendo che l’esercizio della potestà sanzionatoria fosse stato legittimamente delegato alla Provincia.

Ha ritenuto che l’art. 117 Cost., comma 2, lett. s), laddove riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, non impedisca il conferimento della delega mediante legge regionale, osservando che, come stabilito dalla Corte costituzionale con sentenza 28/1996, a) “la competenza sanzionatrice non attiene a una materia a sè, ma accede alle materie sostanziali, rispetto alla quale svolge una funzione rafforzatrice dei precetti stabiliti dal legislatore e che, pertanto, è pienamente giustificata la scelta del legislatore regionale di determinare la competenza amministrativa accessoria sulle sanzioni in coincidenza con la competenza all’esercizio delle funzioni principali di amministrazione”; b) che la L. n. 689 del 1981, art. 17, che, nelle materie di competenza propria o delegate della regione, attribuisce la potestà sanzionatoria all’ufficio regionale competente, non deve essere intesa in senso rigido, tale da escludere la possibilità di delega, in analogia con quanto previsto dall’art. 118 Cost., comma 3, riguardo alle delegabilità delle funzioni amministrative primarie.

Ha inoltre ricordato che le Sezioni unite di questa Corte, pronunciando sulla giurisdizione in tema di sanzioni comminate dalla Provincia di Bergamo in materia di scarichi (sentenza n. 6095/2015), avevano preso atto che la L.R. Lombardia n. 26 del 2003, attribuisce alla Provincia la potestà sanzionatoria, senza rilevare profili di illegittimità della normativa.

Riguardo alle altre censure, la sentenza ha escluso l’illegittimità del verbale di contestazione a causa dell’erronea indicazione dell’ubicazione dell’impianto nel Comune di (OMISSIS) ed ha respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della Idrotigullio s.p.a. e di difetto di notifica della contestazione alla società titolare della gestione dell’impianto di depurazione (Iren Acquas Gas s.p.a.), osservando che la sanzione è applicabile a qualunque soggetto effetti lo scarico non autorizzato.

Riguardo all’art. 4, della convenzione ATO/AMGA, approvata con decisione della Conferenza dei sindaci del 22.12.2003 e sottoscritta dall’AATO della Provincia di Genova e da AMGA il 16.4.2004, ha osservato che, con le decisioni della Conferenza dei Sindaci nn. 4/2003 e 5/2003, erano state salvaguardate le gestioni preesistenti (tra cui quella di Idrotigullio s.p.a.); che, ai sensi dell’art. 7, comma 1, della convenzione, dette gestioni non erano state affidate al gestore d’ambito; che, al caso in esame, era inapplicabile l’art. 4 della medesima convenzione, il che escludeva una responsabilità del gestore d’ambito assorbente rispetto a quella del gestore operativo dell’impianto di depurazione.

La sentenza ha inoltre precisato che, poichè in materia di illeciti amministrativi, la colpa si presume ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 3, e che la Idrotigullio non aveva assolto l’onere della prova di aver fatto tutto il possibile per conformarsi al precetto di legge.

Ha ritenuto inammissibile la richiesta di ridurre l’importo della sanzione, poichè la questione era stata proposta solo nel petitum dell’atto di appello, senza che fossero confutate le argomentazioni svolte, in proposito, dal giudice di primo grado.

La cassazione della sentenza è chiesta da C.M. e dalla Iren Acqua Tigullio s.p.a. con ricorso in tre motivi, illustrati con memoria.

La Città Metropolitana di Genova, subentrata alla Provincia di Genova, ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo censura la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Dopo aver premesso che l’incompetenza della Provincia ad accertare la violazione era profilo deducibile anche in appello, configurandosi un difetto assoluto di attribuzione degli organi accertatori e la nullità radicale – rilevabile d’ufficio – dell’ordinanza ingiunzione, i ricorrenti evidenziano che il D.Lgs. n. 152 del 1995, art. 56, nel punto in cui faceva salva la possibilità che, con espressa disposizione di legge regionale, la competenza all’irrogazione delle sanzioni in materia di acque fosse conferita ad autorità diverse dalle Regioni e delle Province autonome, non è stato riprodotto nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, essendo venuta meno la possibilità di delegare tali funzioni alle Province. Tale preclusione troverebbe conferma nella giurisprudenza della Corte costituzionale, che:

a) con decisione n. 133/2012, in tema di conferimento agli enti locali delle funzioni in materia di ambiente, tutela del suolo ed energia, ha ritenuto l’illegittimità di qualsivoglia legge regionale che disciplini la materia, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato;

b) con sentenza n. 234/2010, ha ritenuto che la disciplina statale contempli un limite minimo di tutela non derogabile dalle Regioni;

c) con sentenza n. 187/2011, ha ritenuto che lo Stato abbia competenza normativa esclusiva in materia di adeguamento degli scarichi di acque reflue non ancora a norma.

A parere dei ricorrenti occorreva inoltre considerare che la L.R. Liguria n. 43 del 1995, era stata adottata, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006, in attuazione della Legge Delega n. 36 del 1994, successivamente abrogata dal testo unico, per cui la norma interpretativa di cui alla L.R. n. 41 del 2014, non poteva comportare la reviviscenza della disposizione abrogata. Infine, la potestà sanzionatoria attribuita della Provincia non poteva legittimarsi in virtù della stretta connessione con il conferimento, sempre in favore della Provincia, del potere di rilascio delle autorizzazioni allo scarico, non essendo delegabili le funzioni amministrative primarie in tema di acque.

Il motivo è infondato.

Deve premettersi che, come già statuito da questa Corte, il vizio di incompetenza assoluta, che è causa di nullità del provvedimento, rilevabile d’ufficio dal giudice, “ricorre soltanto se l’atto emesso concerne una materia del tutto estranea alla sfera degli interessi pubblici attribuiti alla cura dell’amministrazione cui l’organo emittente appartiene” (Cass. 28108/2018; Cass. 12555/2012), ossia se “il provvedimento adottato da un certo organo riguardi una materia del tutto estranea all’ambito degli interessi pubblici attribuiti alla cura dell’amministrazione cui l’organo stesso appartiene”, mentre si ha incompetenza relativa nel rapporto tra organi od enti nelle cui attribuzioni rientri, sia pure a fini ed in casi diversi, una determinata materia (Cass. 4924/1992; Cass. 8987/1990; Cass. 6308/1990).

Posto invece che, nel caso di specie, l’autorità che ha emesso il provvedimento (la Provincia di Genova) non solo era l’ente deputato al rilascio delle autorizzazioni in materia di scarichi idrici ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, ma, per ciò che concerne la Regione Liguria, era preposto anche alla tutela delle acque (cfr., L.R. n. 43 del 1995, art. 3), sarebbe stato in concreto configurabile al più un vizio di incompetenza relativa che, non determinando la nullità assoluta delle ordinanze, non era rilevabile d’ufficio ma doveva esser dedotto con l’atto di opposizione (Cass. 23383/2018; Cass. 28108/2018; Cass. 27909/2018).

Ciò premesso, è però decisivo considerare che la statuizione con cui la Corte distrettuale ha ritenuto ammissibile l’eccezione formulata dai ricorrenti direttamente in appello, non è stata impugnata con ricorso incidentale, per cui la decisione non è, sul punto, nuovamente esaminabile in cassazione (cfr. Cass. s.u. 11799/2017).

1.1. Il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, comma 1, nella sua formulazione originaria, disponeva testualmente, che “fatte salve le altre disposizioni della L. 24 novembre 1981, n. 689, in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’art. 54, commi 8 e 9, per le quali è competente il comune, salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”.

La norma è stata successivamente modificata dalla L. n. 258 del 2000, art. 22, facendo salve, quanto all’attribuzione della potestà sanzionatoria, anche “le diverse disposizioni delle regioni o delle province autonome”.

Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, sopprimendo tale inciso, ha adottato una formulazione sostanzialmente analoga al testo originario del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, prevedendo che “in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie provvede, con ordinanza-ingiunzione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 18 e segg., la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’art. 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”.

Occorre dunque ricordare che, con riferimento al testo originario del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56 (anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 258 del 2000), questa Corte ha già stabilito che la norma non ha comportato l’abrogazione delle precedenti previsioni della legge regionale prevedenti l’attribuzione – in capo alle Province – delle funzioni di accertamento e di applicazione delle sanzioni in tema di scarichi.

L’art. 56, non esprime – difatti – un “principio fondamentale” della legislazione dello Stato, tale da spiegare, in caso di sopravvenuta adozione di leggi statali modificative di detti principi fondamentali, l’efficacia abrogativa delle leggi regionali preesistenti incompatibili prevista dalla L. n. 62 del 1953, art. 10, non essendo diretto a realizzare in tale ambito – un interesse “unitario” cui dare piena attuazione su tutto il territorio nazionale, con effetti di vincolo assoluto e generalizzato all’esplicazione della potestà legislativa delle Regioni (Cass. 24 febbraio 2004, n. 3620), o tale da impedire che, nelle singole legislazioni regionali, possano intervenire “altre pubbliche autorità”, di competenza territoriale più circoscritta, diverse da quelle previste e regolate nell’ordinamento generale (Cass. 3176/2004; Cass. 8511/2005).

A tali principi deve darsi continuità anche nel vigore del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, non potendo ritenersi – alla luce del tenore testuale della disposizione e della ravvisata continuità di disciplina rispetto alla formula originaria del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56 – che la soppressione del riferimento alle diverse disposizioni della legge regionale (o delle province autonome) abbia introdotto un più penetrante vincolo al legislatore regionale, sì da impedire la delega delle potestà sanzionatorie in materia di scarichi.

La norma ha – anzi – espressamente preservato “le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”, rendendo del tutto legittima una diversa regolazione mediante legge regionale, in mancanza di una riserva in favore di quella statuale.

1.2. Deve inoltre porsi in rilievo che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 170, comma 11, ha espressamente fatto salvi gli effetti degli atti e dei provvedimenti adottati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’art. 175 (tra cui il D.Lgs. n. 152 del 1999), fino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del suddetto decreto, conseguendone che nessuna illegittimità potrebbe comunque ravvisarsi nei provvedimenti adottati dalla Provincia di Genova in base alla disciplina regionale anteriore all’adozione, da parte della Regione Liguria, della L. n. 41 del 2014, tanto più quest’ultima ha riconfermato, con riferimento al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, il disposto della L.R. n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), che già attribuiva alle Province il potere di accertamento e di irrogazione delle sanzioni.

1.3. Nessun divieto di delega mediante legge regionale può farsi discendere dal disposto dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s).

Il testo novellato dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s) – che riserva allo Stato la potestà legislativa esclusiva sulla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali” – configura una competenza sovente connessa ed intrecciata inestricabilmente con altri interessi e competenze regionali concorrenti.

La tutela dell’ambiente – inteso come valore costituzionalmente protetto – delinea, infatti, una competenza trasversale in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, anche regionali, che devono esplicarsi nel rispetto degli standard di tutela uniformi stabiliti sull’intero territorio nazionale da parte dello Stato.

Il limite dell’intervento legislativo regionale in materia è – quindi costituito dal rispetto dei principi regolatori stabiliti dal legislatore statale in tema di soglie minime di tutela dell’ambiente (cfr. Corte Cost. 246/2006; Corte Cost. 378/2007; Corte Cost. 244/2012).

Come chiarito dalla Corte costituzionale, non sussiste – dunque – la violazione dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s), nè dell’art. 118 Cost., commi 1 e 2 – allorquando la Regione deleghi alle Province il relativo potere autorizzatorio, in quanto detta delega non risulta lesiva di alcun principio costituzionale ed anzi è coerente con il principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, posto dall’art. 118 Cost. e dal D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 3, secondo il quale ciascuna regione determina, in conformità al proprio ordinamento, le funzioni amministrative che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente a conferire le altre agli enti locali (Corte Cost. 380/2007).

2. Il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 c.p.c., sostenendo che il verbale di accertamento doveva dichiararsi nullo poichè faceva riferimento all’impianto situato nel Comune di (OMISSIS), che però non costituisce Comune a sè, essendo una frazione di (OMISSIS).

Il motivo è infondato, poichè la sentenza ha stabilito che l’errata indicazione dell’ubicazione e dell’appartenenza dell’impianto integrava un errore materiale del tutto ininfluente ai fini della correttezza della contestazione, non essendo pregiudicata l’esatta individuazione dell’impianto privo di autorizzazione cui si riferiva la contestazione.

Il descritto accertamento sostanzia un giudizio di fatto non denunciabile in cassazione.

3. Il terzo motivo lamenta la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 14 e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la Corte di merito abbia erroneamente respinto l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, trascurando che, pur essendo l’impianto gestito dalla Idro Tigullio s.p.a., il servizio idrico integrato era però affidato alla Iren Acqua Gas, alla quale andava contestata la violazione.

Si deduce inoltre che:

– la ricorrente, quale società controllata dalla Iren acqua gas s.p.a., non aveva autonomia decisionale circa la gestione dell’impianto, che era rimasto nella titolarità del Comune di (OMISSIS);

– a seguito della riorganizzazione del servizio idrico integrato, la programmazione degli investimenti era stata affidata all’Autorità di ambito, tenuta ad elaborare il relativo piano e i programmi di intervento;

– la Conferenza dei sindaci del territorio, con Delib. n. 4 del 2003 e Delib. n. 5 del 2003, aveva salvaguardato le gestioni facenti capo alla AMGA (oggi Iren gas e acqua spa) e che, con successive Delib. n. 8 del 2003 e Delib. n. 16 del 2003, era stata riservata a detta società la gestione transitoria del servizio relativamente all’ambito territoriale ottimale ed il coordinamento delle gestioni salvaguardate;

– che, per individuare le singole competenze dei gestori, occorreva tener conto della Convenzione del 16.4.2004 e della successiva convenzione aggiuntiva del 5.10.2009, il cui art. 3, comma 2, aveva prorogato l’art. 4, comma 1, della convenzione del 16.4.2004, il quale aveva conferito al gestore operativo la responsabilità per il buon funzionamento dei servizi e all’AMGA i compiti di manutenzione degli impianti e delle reti e la progettazione e realizzazione degli interventi di miglioramento del servizio sulla base delle decisioni assunte dall’Autorità d’ambito, secondo le priorità stabilite dal programma di interventi;

– che l’assenza di autonomia decisionale e la circostanza che la ricorrente non fosse a conoscenza delle condizioni di funzionalità degli impianti – come riconosciuto con il provvedimento della Conferenza dei Sindaci del 13.6.2003 – impedivano di configurare a suo carico una responsabilità – anche solo concorrente – per le violazioni contestate, mancando l’elemento soggettivo della colpa;

– che da tempo era stata prevista la realizzazione di un secondo impianto intercomunale nel Comune di Lavagna, ed era stato sottoscritto un protocollo di intesa tuttora in attesa delle determinazioni della Città Metropolitana di Genova, dell’ATO e della Regione Liguria, mentre, nel frattempo, la Idrotigullio aveva comunque effettuato la manutenzione dell’impianto di (OMISSIS), con un notevole abbattimento dei fattori inquinanti;

– che non era lecito disattendere i contenuti della convenzione, nè trascurare che l’obbligo di richiedere l’autorizzazione allo scarico competeva al gestore d’ambito, ai sensi del D.Lgs. n. 205 del 2006, art. 124, comma 2;

– che, in ogni caso, non era stata contestata una responsabilità concorrente ai singoli enti interessati, il che rendeva illegittimo il provvedimento impugnato.

Il motivo è infondato.

Come evidenziato dalla sentenza gravata, è decisivo rilevare che l’ipotesi regolata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2, è perfettamente assimilabile alla previgente disposizione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 2, che già puniva “chiunque avesse effettuato scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie… senza l’autorizzazione”.

Entrambe le previsioni non configurano illeciti propri, la cui consumazione presupponga una particolare qualità del soggetto attivo, per cui il responsabile della violazione non si identifica solo con il titolare dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto (che apra nuove vie di scarico), restando assoggettato alla sanzione qualsiasi soggetto che gestisca o comunque detenga di fatto la condotta di scarico non autorizzata (Cass. n. 3176/2006).

Ciò rendeva irrilevante il contenuto delle convenzioni richiamate in ricorso, posto che il riparto di competenze fissato in seno alla Conferenza dei Sindaci e poi trasfuso nelle predette convenzioni non consentiva di escludere la responsabilità del gestore operativo dell’impianto per l’effettuazione degli scarichi non autorizzati.

La tesi prospettata in ricorso circa il rilievo del contenuto delle convenzioni del 16.4.2004 e 5.10.2009, non inficia inoltre l’accertamento in fatto svolto dalla Corte di merito riguardo alla circostanza che la prima di tali convenzioni non era applicabile alla gestione salvaguardata affidata alla Idrotigullio (conseguendone l’impossibilità di invocare anche il contenuto della convenzione modificativa del 2009) e che, anzi, dal piano d’ambito relativo agli anni 2004/2008 risultava che ai titolari delle gestioni salvaguardate era stato attribuito un ruolo attivo nella realizzazione del piano stesso, dovendo essi garantire lo svolgimento della progettazione, la realizzazione ed il finanziamento degli interventi di manutenzione straordinaria e degli investimenti di ristrutturazione impiantistica (cfr. sentenza, pag. 8).

In questo quadro – logicamente e motivatamente definito dal giudice distrettuale – l’accertamento di una sfera di piena autonomia gestionale in capo alla ricorrente escludeva – a fortiori – la sussistenza di esimenti, consentendo semmai di configurare un’ulteriore responsabilità a titolo di concorso in capo alla società tenuta alla gestione del Servizio Idrico Integrato o l’esistenza di un ruolo più o meno penetrante di coordinamento o controllo da parte di altra società.

Non era dunque configurabile una responsabilità esclusiva del Gestore d’Ambito posto che, anche a voler riconoscere in capo a quest’ultimo il potere di compiere le scelte riguardanti il completamento degli impianti, non era consentito – ai ricorrenti contravvenire alla prescrizione che imponeva il previo rilascio dell’autorizzazione per lo scarico.

Il ricorso è respinto con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2300,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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