Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9008 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 31/03/2021), n.9008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8574/2019 r.g. proposto da:

R.L., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Raffaele

Miraglia, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Muzio

Clementi n. 51, presso lo studio dell’Avvocato Valerio Santagata;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna, depositato in data

9.2.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Bologna ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da R.L., cittadino del (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato nel (OMISSIS) e di aver svolto l’attività di agricoltore insieme con il padre; ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese per ragioni economiche e perchè vessato dagli usurai per il debito contratto dal padre.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, perchè il ricorrente non aveva allegato alcun atto di persecuzione in suo danno; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al (OMISSIS), stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che non era stato dimostrato da parte del ricorrente una condizione di vulnerabilità eli l’inserimento nella realtà sociale italiana.

2. Il decreto, pubblicato il 9.2.2019, è stato impugnato da R.L. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 9, comma 2, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 avendo errato il tribunale nel qualificare il ricorrente come mero migrante economico.

1.1 La prima doglianza è in verità inammissibile, in ragione della sua evidente genericità di formulazione e perchè volta a richiedere alla Corte di legittimità un’inammissibile rivalutazione del merito della decisione, in ordine alla qualificazione del richiedente come migrante economico anzichè come richiedente asilo, sulla base della normativa protettiva sopra indicata.

1.2 Non si può pretendere – come invece richiesto dal ricorrente – di rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (v. così anche Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29404 del 07/12/2017).

1.3 Senza contare che – senza voler qui accedere ad una rivalutazione del contenuto della decisione ma al solo scopo di ricostruire l’iter logico – la definizione di migrante economico attribuita al richiedente è stata ricavata dalle sue stesse dichiarazioni ed allegazioni difensive non avendo egli fatto mistero, già innanzi alla commissione (e per quanto confessato nello stesso ricorso introduttivo), che le ragioni della sua migrazione erano comunque collegate al grave disagio economico patito dalla sua famiglia, in seguito alla malattia del padre.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 112c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e art. 9, comma 3 con conseguente nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Si sostiene che i giudici del merito non avrebbero motivato in relazione al diniego del riconoscimento della protezione di cui all’art. 14, lett. a) e b), sopra citato.

2.1 Anche questa seconda censura è inammissibile, posto che la stessa non riesce a cogliere la ratio decidendi della motivazione espressa dal tribunale per giustificare il diniego della richiesta protezione internazionale e sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, e cioè la mancata allegazione da parte del richiedente di una situazione, riconducibile al paradigma applicativo della richiesta tutela protettiva internazionale, e cioè di un atto di persecuzione in danno del ricorrente ovvero di un pericolo di danno per come previsto dal sopra ricordato art. 14. Non risponde dunque al vero che la motivazione impugnata, sul punto qui in esame, sia manchevole ovvero apparente, posto che il giudice del merito ha espressamente argomentato l’infondatezza della domanda di protezione internazionale nel senso sopra chiarito.

3. Il terzo motivo censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per omessa motivazione su fatti decisivi per il giudizio sulla domanda di protezione sussidiaria ed umanitaria. Si evidenzia che il provvedimento impugnato avrebbe omesso di valutare una serie di circostanze allegate dal richiedente, relative al tornado che aveva distrutto il villaggio, la casa e decimato la sua famiglia.

3.1 Il terzo motivo è inammissibile per le medesime ragioni già sopra evidenziate in relazione al secondo motivo di censura: il ricorrente non coglie la ratio decidendi posta a sostegno del diniego della richiesta protezione internazionale e sussidiaria ex art. 14, lett. a e b, per la rilevata mancanza di una fattispecie concreta sussumibile nel paradigma applicativo della sopra ricordata disciplina normativa e si ostina invece a richiedere a questa Corte un giudizio controffattuale rispetto a quello già correttamente espresso dal tribunale emiliano, con ciò condannando la censura ad una inevitabile declaratoria di irricevibilità.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 nonchè difetto di motivazione in relazione alle condizioni del paese di origine e di transito.

4.1 Il motivo è inammissibile per come formulato.

Il motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del (OMISSIS), giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo il giudice specificato che nel predetto paese asiatico non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di “danno grave”, protetto dalla norma sopra ricordata.

5. Il quinto mezzo declina violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 nonchè vizio di motivazione contraddittoria, in relazione al diniego della richiesta protezione umanitaria collegata al transito del richiedente in Libia. Si evidenzia che erano state già allegate nel giudizio di merito le violenze ed i traumi subiti in Libia e, nonostante ciò, nella sentenza impugnata, era stato omesso di considerare l’esistenza ed il tenore delle predette allegazioni, affermandosi che non ne derivava una situazione di vulnerabilità.

Il motivo è inammissibile in ragione della novità delle questioni prospettate che non risulta essere state allegate nel giudizio di merito, per quanto emerge dalla lettura del provvedimento impugnato. Nè il ricorrente ha indicato, in omaggio al principio di autosufficienza del ricorso, in quale scritto difensivo avesse allegato la doglianza, qui proposta, dunque, per la prima volta.

6. Con il sesto motivo si articola vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27 in relazione al riconoscimento della protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

6.1 Il motivo è inammissibile, sia in ragione dell’evidente novità delle questioni prospettate, sia perchè, comunque, in aperto contrasto con la consolidata giurisprudenza espressa da questa Corte.

Occorre, infatti, evidenziare come la giurisprudenza di questa Corte abbia già chiarito che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018).

Situazione quest’ultima neanche prospettata da parte del ricorrente.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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