Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9007 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 31/03/2021), n.9007

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2019 r.g. proposto da:

M.J.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Raffaele Miraglia, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via

Muzio Clementi n. 51, presso lo studio dell’Avvocato Valerio

Santagata;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro, rappresentato e difeso, ex

lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è elettivamente domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale Bologna, depositato in data

23.1.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/9/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Bologna ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da M.J.A., cittadino del (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha narrato di essere nato in (OMISSIS) e di essere stato costretto a fuggire dal suo paese di origine per il timore di essere coinvolto in scontri tra le contrapposte fazioni politiche.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e contraddittorio ed anche perchè la vicenda dello scontro politico tra contrapposte fazioni, oggetto di narrazione, non era stato in alcun modo documentato dal ricorrente nè emergeva dalle fonti di informazioni consultate; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al (OMISSIS), stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perchè il ricorrente non aveva dimostrato neanche una condizione soggettiva di vulnerabilità, non rilevando a tal fine neanche la dedotta questione del transito in Libia, non rappresentando quest’ultimo il paese di eventuale rimpatrio e non avendo, comunque, il richiedente allegato problematiche di carattere psicologico determinate dalle violenze subite nel paese di transito.

2. Il decreto, pubblicato il 23.1.2019, è stato impugnato da M.J.A. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 11, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,7 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in relazione agli artt. 2 e 111 Cost. e violazione del principio del contraddittorio e della “parità delle armi”. Si evidenzia che la credibilità del richiedente la protezione non può essere esclusa sulla base di mere discordanze o contraddizioni nell’esposizione dei fatti su aspetti secondari o isolati, quando sia mancato un preliminare scrutinio dei menzionati criteri legali previsti per la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni, e ciò a fortiori allorquando il giudice del merito non abbia concluso per l’insussistenza dell’accadimento narrato. Si osserva come il giudice del merito masse ritenuto le dichiarazioni del richiedente non credibili sulla base di due argomentazioni, che tuttavia devono ritenersi infondate, ovvero, da un lato, sulla circostanza che il ricorrente aveva lamentato un’inadeguata traduzione del suo racconto, solo dopo aver preso atto della contestazione di scarsa precisione di quanto narrato da parte della commissione; e, dall’altro, sul fatto che il ricorrente, sia nella memoria integrativa depositata nel corso del giudizio che davanti alla commissione, aveva negato di essere stato denunciato, mentre davanti al giudice aveva affermato il contrario. Si contesta che tale argomentazione poteva essere assunta a motivo principale del giudizio negativo sulla credibilità del ricorrente perchè la ritenuta contraddittorietà non era stata oggetto del contraddittorio processuale, con possibilità di difese e spiegazioni da parte del ricorrente stesso e del suo difensore.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 in relazione al mancato riconoscimento della richiesta protezione sussidiaria ovvero di quella umanitaria, con omessa valutazione dei fatti esposti in ordine alla situazione del paese di origine del richiedente. Si evidenzia che, fin dall’audizione, era stato riferito dal richiedente di appartenere alla famiglia dei due artefici del passaggio di massa di oltre duemila persone dal partito di (OMISSIS) al partito di (OMISSIS) e di avere contratto un ingente debito in patria, di cui peraltro aveva documento l’esistenza.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, comma 3, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27 nonchè per contraddittorietà della motivazione in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, con riferimento al transito in Libia.

4. Il ricorso è inammissibile.

4.1 Già il primo motivo di censura è inammissibile.

4.1.1 Sul punto è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). Più precisamente, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente” trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre, Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

4.1.2 Orbene, osserva la Corte come, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, la parte ricorrente pretenda, ora, un’inammissibile rivalutazione del contenuto delle dichiarazioni rilasciate e del giudizio di complessiva sua attendibilità, profilo che è irricevibile in questo giudizio di legittimità perchè non dedotto nel senso sopra chiarito e perchè comunque rivolto ad uno scrutinio di merito delle dichiarazioni che invece è inibito al giudice di legittimità.

4.2 Anche la seconda censura non supera il vaglio di ammissibilità.

Osserva la Corte come, in riferimento al contestato profilo del diniego della richiesta protezione sussidiaria sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, il ricorrente non colga, con le sue censure, le rationes decidendi poste a sostegno del provvedimento di rigetto dell’invocata protezione, posto che la motivazione impugnata, con argomentazioni adeguate e scevre da criticità ovvero aporie motivatorie, ha ben spiegato che il diniego della richiesta protezione internazionale si fondava sul rilievo della complessiva non attendibilità del racconto del richiedente e comunque sulla mancanza di attualità e concretezza del pericolo denunciato, che, peraltro, in relazione al riferito scontro tra contrapposte fazioni politiche, non era stato neanche adeguatamente documentato dal ricorrente nè lo stesso trovava un positivo riscontro nella documentazione informativa consultata dai giudici del merito. Ebbene, tali rationes della decisione impugnata non sono state in alcun modo censurate da parte del ricorrente, le cui doglianze, peraltro solo genericamente formulate, si sono rivolte solo a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione del merito della decisione, attraverso la rilettura degli atti istruttori.

Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche in riferimento alle altrettanto generiche contestazioni sul diniego dell’invocata protezione umanitaria, la cui domanda era stata rigettata sulla base del solito rilievo della mancanza di credibilità del racconto e della mancata dimostrazione di una condizione di vulnerabilità del richiedente, rationes, anche in tal caso, non efficacemente contrastate nei motivi di censura proposti con il ricorso introduttivo.

4.3 II terzo motivo di doglianza è anch’esso inammissibile.

4.3.1 Sotto un primo profilo, va osservato come non sia rintracciabile nella motivazione impugnata il denunciato profilo di illegittimità collegato all’omesso esame di un fatto decisivo, e ciò relativamente alla questione del transito del richiedente in Libia ed in relazione alla dedotta condizione di vulnerabilità del ricorrente stesso.

Da questo punto di vista, non può essere dimenticato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

Ciò posto, va subito rilevato come la motivazione impugnata abbia preso in considerazione il profilo di vulnerabilità dedotto dal richiedente in riferimento al transito in Libia, al fine di ottenere l’invocata protezione umanitaria, escludendo, tuttavia, la sussistenza dei presupposti applicativi della predetta protezione, da un lato, perchè non rileva – come peraltro affermato più volte da questa Corte di legittimità (cfr. infra, p. 4.3.3) – il paese di transito al fine della valutazione della condizione di vulnerabilità, quanto piuttosto il paese di rimpatrio e, dall’altro, perchè il richiedente non aveva allegato in alcun modo una condizione di disagio psicologico collegato al transito nel paese nordafricano.

4.3.2 Per il resto, la doglianza si compone di irricevibili richieste di rivalutazione degli elementi probatori, già scrutinati dai giudici del merito, attraverso la rilettura degli atti processuali.

Sul punto, non è inutile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione avente ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione ed è, pertanto, inammissibile ove trovi applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass., Sez. 6 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018).

4.3.3 Nè è possibile rintracciare nel percorso argomentativo seguito dai giudici del merito il sopra denunciato vizio di violazione di legge.

Ebbene, la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018).

Situazione quest’ultima neanche prospettata da parte del ricorrente.

Ne consegue che la motivazione adottata dal tribunale emiliano risulta essere corretta e scevra dai denunciati vizi di legittimità, avendo il provvedimento impugnato evidenziato l’irrilevanza delle questioni dedotte dal richiedente in relazione al paese di transito (non dovendo essere rimpatriato il ricorrente in Libia) e la mancata allegazione di una seria condizione di vulnerabilità collegata ad eventuali traumi psicologici determinati dall’esperienza libica.

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condannai il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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