Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9003 del 12/04/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9003 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: BOTTA RAFFAELE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
La Paella di Gomez Sanchez Josè Antonio & C. s.n.c., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Crescenzio n. 91, presso l’avv. Claudio Lucisano, che, unitamente all’avv. Umberto Giardini, la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

/
P33

– ricorrente —
Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente
domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale
dello Stato, che li rappresenta e difende per legge;
– controricorrente —
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte
(Torino), Sez. 38, n. 41/38/06 del 10 ottobre 2006, depositata il 6 dicembre
2006, non notificata;
Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 21 marzo 2013 dal Relatore Cons. Raffaele Botta;
Preso atto che nessuno è presente per le parti;
Udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott. Umberto Apice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia concerne l’impugnazione di un atto di irrogazione sanzioni
conseguente all’accertamento dell’aver la società contribuente impiegato

Oggetto:
Impiego di lavoratori irregolari. Onere della prova della
decorrenza del rapporto di lavoro.

Data pubblicazione: 12/04/2013

quattro lavoratori non risultanti da scritture o da altra documentazione obbligatoria.
La Commissione adita rigettava il ricorso, confermando la legittimità
dell’operato dell’Ufficio. La decisione era confermata in appello, con la sentenza in epigrafe, avverso la quale la società contribuente propone ricorso
con due motivi, illustrati anche con memoria. Resiste l’amministrazione con
controricorso.
Preliminarmente deve essere affrontata l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice tributario sollevata nella memoria ex art. 378 c.p.c. depositata in atti: la società ricorrente giustifica la proposizione della predetta eccezione solo con la memoria, con la circostanza che solo dopo la sentenza di
appello e dopo la proposizione del ricorso per cassazione, era intervenuta la
sentenza della Corte costituzionale n. 130 del 14 maggio 2008, con la quale
veniva dichiarato «costituzionalmente illegittimo l’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui attribuisce alla
giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di
disposizioni non aventi natura tributaria».
L’eccezione non può trovare accoglimento perché la questione di giurisdizione non risulta essere stata posta (anche sotto il profilo di una denuncia di
illegittimità costituzionale della norma) nel giudizio di merito con il conseguente formarsi del giudicato implicito sulla giurisdizione. In proposito questa Corte ha stabilito che: «Il principio sancito dall’art. 5 cod. proc. civ., secondo cui i mutamenti di legge intervenuti nel corso del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione, si riferisce esclusivamente all’effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge, e non anche all’effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità, che, a norma dell’art. 136 Cost., dell’art. 1 della legge costituzionale 11
marzo 1953, n. 1 e della legge di attuazione 11 marzo 1953, n. 87, impediscono al giudice di tenere conto della norma dichiarata illegittima ai fini della decisione sulla giurisdizione. Tale efficacia retroattiva, tuttavia, si arresta
di fronte al giudicato, anche implicito, sulla giurisdizione, sicché, nel caso in
cui la sentenza della Corte costituzionale sia intervenuta quando il giudicato
in merito alla giurisdizione si era già formato, non essendo stata impugnata
sul punto (eventualmente anche sollevando questione di legittimità costituzionale) la pronunzia, è inammissibile l’eccezione di giurisdizione sollevata
per la prima volta in sede di legittimità» (Cass. SU n. 28545 del 2008)
Con il primo motivo di ricorso, la società contribuente eccepisce la mancata
applicazione del principio della retroattività della legge più favorevole, stan2

MOTIVAZIONE

te la minore gravità della sanzione amministrativa introdotta con l’art. 7 dell’art. 36-bis, D.L. n. 223 del 2006.
Il motivo non è fondato alla luce del principio affermato da questa Corte secondo cui: «in materia di sanzioni amministrative pecuniarie non si applica
il principio di retroattività della legge più favorevole, previsto dall’art. 3 del
d.lgs. n. 472 del 1997 soltanto per le infrazioni valutarie e tributarie, e ciò

strative in materia di omessa registrazione nelle scritture contabili dei lavoratori dipendenti, previste dal terzo comma dell’art. 3 del d.l. 22 febbraio
2002, n. 12, conv. in legge 23 aprile 2002, n. 73, la modifica apportata a detta norma dall’art. 36-bis, comma 7, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in
legge 8 aprile 2006, n. 248 e più favorevole al contribuente)» (Cass. n. 356
del 2010).
Con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente contesta, sotto il
profilo del vizio di motivazione, la ritenuta mancata prova dell’effettiva durata del rapporto di lavoro, in particolare per l’omessa attribuzione di rilevanza alle dichiarazioni dei lavoratori.
Il motivo non è fondato. Questa Corte ha affermato che: «in tema di sanzioni amministrative per l’impiego di lavoratori non regolarmente denunciati,
l’irrogazione della sanzione prevista dall’art. 3, comma 3, del d.l. 22 febbraio 2002, n. 12, conv. in legge 23 aprile 2002, n. 73 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 36-bis del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in
legge 24 agosto 2006, n. 248) non richiede, da parte dell’Amministrazione,
alcun onere di dimostrare l’effettiva durata del rapporto di lavoro irregolare,
essendo sufficiente il mero accertamento dell’esecuzione di prestazione lavorativa da parte di soggetto che non risulti da scritture o da altra documentazione obbligatoria. È, invece, specifico onere del datore di lavoro dimostrare l’effettiva durata della prestazione lavorativa per evitare che l’entità
della sanzione pecuniaria sia determinata “ex lege”, “per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione”» (Cass.
n. 21778 del 2011). Ad assolvere tale onere probatorio non bastano le dichiarazioni dei lavoratori (Cass. n. 1960 del 2012), ma occorre una prova
positiva (e con documenti di data certa) dell’effettiva durata del rapporto di
lavoro.
La sentenza impugnata appare coerente con tale orientamento e la motivazione è assolutamente congrua enunciando analiticamente le ragioni dell’insufficienza della prova offerta dalla società contribuente per contrastare la
presunzione legale instaurata dalla norma sanzionatoria (Cass. n. 24678 del
2011).
3

tenuto conto della peculiarità sostanziale che caratterizza le rispettive materie. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non applicabile, alle sanzioni ammini-

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N. 131

P.F.CTS77.-tAZIONì–•

Pertanto il ricorso deve essere rigettato. La formazione dei principi enunciati
in epoca successiva alla proposizione del ricorso giustifica la compensazione delle spese della presente fase del giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso. Compensa le spese della presente fase del giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 21 marzo 2013.

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