Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9001 del 06/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 9001 Anno 2015
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

Fu

SENTENZA
sul ricorso 12270-2011 proposto da:
RIO DI MARANO MARIO & C SNC 02112600784, in persona
del legale

rappresentante pro tempore sig. MARIO

MARANO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIO
FAA’ DI BRUNO 67, presso lo studio dell’avvocato
GIUSEPPE ANTONIO CARUSO, che la rappresenta e difende
2014
2577

unitamente all’avvocato

CORRADO MORRONE giusta

procura a margine dei ricorso;
– ricorrente contro

PROVINCIA DI COSENZA 80003710789,

in persona del

Data pubblicazione: 06/05/2015

Presidente in carica, On. GERARDO MARIO OLIVERIO,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI
268-A, presso lo studio dell’avvocato PIERO
FRATTARELLI, rappresentata

e

difesa dall’avvocato

CLAUDIO DE LUCA giusta procura a margine del

– controricorrente

avverso la sentenza n. 231/2010 della CORTE D’APPELLO
di CATANZARO, depositata il 18/03/2010 R.G.N. 798/08;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

04/12/2014

dal

Consigliere

Dott.

ANTONIETTA SCRIMA;
udito l’Avvocato GIUSEPPE ANTONIO CARUSO;
udito l’Avvocato PIERO FRATTARELLI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’inammissibilita’ in subordine per il rigetto del
ricorso.

2

controricorso;

lb

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel 2006 la Provincia di Catanzaro proponeva opposizione al decreto
e

ingiuntivo con cui le era stato ingiunto di pagare alla Rio di Marano

e

Mario & C s.n.c. la somma di euro 25.897,07 a titolo di canoni di
locazione non pagati, eccependo di aver integralmente pagato le

per la restituzione dell’importo di euro 122.826,30 pagato in più per
canoni dovuti in relazione ad altri contratti intercorsi tra le medesime
parti.
La società opposta si costituiva eccependo l’inammissibilità
dell’opposizione perché tardivamente proposta e chiedeva comunque
anche il rigetto della domanda riconvenzionale.
Il Tribunale di Cosenza dichiarava inammissibile l’opposizione,
rilevando che, vertendosi in materia locatizia, l’opposizione al decreto
ingiuntivo avrebbe dovuto avere la forma del ricorso e, soprattutto,
osservare le modalità che a tale forma conseguivano ai fini della
tempestività dell’opposizione; risultando nel caso di specie notificata
l’ingiunzione il 20 aprile 2006, l’opposizione avrebbe dovuto essere
depositata presso l’ufficio nei successivi quaranta giorni, laddove entro
tale termine era avvenuta la sola notifica dell’atto cui era seguito il
deposito in data 7 giugno 2006, a termine ormai scaduto. Quanto alla
riconvenzionale, il Tribunale affermava che, attesa la definitività del
.,

decreto ingiuntivo, che aveva acquistato efficacia di giudicato, era

,

preclusa l’indagine di ogni altra questione relativa alla fondatezza delle
domande ed eccezioni sollevate dell’opponente.
Avverso tale decisione la Provincia di Cosenza proponeva appello, cui
resisteva la società appellata.
La Corte di appello di Cosenza, con sentenza del 18 marzo 2010, in
parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la società
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—3—

somme nascenti dal contratto; proponeva domanda riconvenzionale

appellata a restituire all’Amministrazione Provinciale di Cosenza la
somma di euro 122.826,30, oltre interessi legali, confermava nel resto
l’impugnata sentenza e regolava tra le parti le spese di entrambi gradi di
giudizio.
Avverso la sentenza della Corte di merito la Rio di Marano Mario & C

Ha resistito con controricorso la Provincia di Cosenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si lamenta “nullità della sentenza e/o del
procedimento — error in procedendo — ex art. 360, 1° comma n. 4
c.p.c., per violazione dell’art. 39 c.p.c.”.
Sostiene la ricorrente che prima della notificazione dell’atto di citazione
in opposizione, che ha dato origine all’attuale giudizio di legittimità, la
Provincia di Cosenza le aveva notificato, in data 29 maggio 2006, altro
atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo n. 460 del 2006,
con cui l’opponente aveva proposto domanda riconvenzionale avente
ad oggetto la restituzione, da parte della ricorrente, della somma di
euro 122.826,30 indebitamente percepita.
Assume la ricorrente che: tale domanda riconvenzionale, fondata sugli
stessi presupposti di fatto e di diritto e basata sui medesimi documenti
di quella oggetto del presente giudizio di legittimità e, quindi, identica a
quest’ultima, pende tuttora presso il Tribunale di Cosenza; in virtù del
principio di prevenzione, la causa per prima proposta sarebbe quella
attualmente pendente presso il Tribunale di Cosenza; l’art. 372 c.p.c.
non si riferisce a questioni che possono essere sollevate in ogni stato e
grado del giudizio e che possono essere rilevate d’ufficio come la
litispendenza. Pertanto la Rio di Marano Mario & C s.n.c. chiede a
questa Corte l’emissione di un “provvedimento caducatorio perché il

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-4-

s.n.c, ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.

procedimento non poteva essere iniziato e se iniziato non poteva
essere proseguito”, in ossequio al principio del ne bis in idem.
1.1. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’eccezione di
litispendenza sollevata per la prima volta davanti la Corte di
cassazione, senza che sia stata nei precedenti gradi del giudizio almeno

vero che essa può essere rilevata in qualunque stato e grado del
processo, quindi anche nel giudizio di cassazione, occorre però in ogni
caso che i relativi fatti posti a fondamento della pronuncia siano stati
acquisiti nel corso del giudizio, così che il giudice possa anche d’ufficio
riconoscere gli effetti giuridici dei fatti dedotti ed allegati dalle parti.
Peraltro, una volta allegato il fatto della pendenza nel corso del
giudizio, occorre che tale situazione persista nel giudizio di cassazione
sino all’udienza di discussione, con conseguente onere di allegazione
della relativa documentazione che attesti attualità. delle condizioni di
applicabilità dell’art. 39 c.p.c., documentazione quest’ultima non
soggetta alla preclusione di cui all’art. 372 c.p.c. (Cass. 30 ottobre 2007,
n. 22900, Cass. 3 luglio 2013, n. 16634).
Nella specie non risulta che la questione all’esame sia stata allegata e
discussa nei precedenti gradi di merito, sicché, alla luce del richiamato
principio, condiviso da questo Collegio, il motivo é inammissibile.
2. Con il secondo motivo si lamenta “nullità della sentenza o del
procedimento ex art. 360, 1° comma n. 4, c.p.c. per violazione e falsa
applicazione degli artt 99 e 112 c.p.c. in relazione agli artt. 342 e 346
C’P.C.”.
Sostiene la ricorrente che la Provincia, con il secondo motivo di
appello, si sia esclusivamente doluta del mancato esame della sua
domanda riconvenzionale ma non abbia reiterato i fatti giustificativi
della fondatezza della stessa domanda esposti nel primo grado di
RGN 12270/11
-5-

allegata la pendenza dell’altro processo, è inammissibile. Infatti, se è

giudizio; pertanto la Corte di merito avrebbe violato il principio del
tantum devolutum quantum appellatum, essendole preclusa ogni indagine di
merito, anche con la disposta c.t.u., e non consentito di ampliare
l’esposizione dei fatti e dei documenti prodotti dalle parti, in difetto di
specifiche richieste della resistente, in mancanza della riproposizione

assenza dell’indicazione dei contratti di locazione e dei pretesi
pagamenti.
2.1. Il motivo va disatteso.
Dalla stessa sentenza appellata (v. p. 4) emerge che l’appellante aveva
non solo lamentato l’omessa pronuncia ma sollecitato la decisione nel
merito in relazione alla riconvenziale proposta e rassegnato
conseguenti conclusioni.
Né, peraltro, la ricorrente, a supporto della proposta censura, ha
riportato testualmente l’intero atto di appello della controparte,
essendosi limitata a riportare il solo motivo di appello sub 2 (v. p. 15 e
sgg. del ricorso), con evidente difetto di autosufficienza del mezzo.
3. Con il terzo motivo si lamenta “violazione dell’art. 360, 1 0 comma n.
2. e 4 c.p.c. in relazione all’errata e falsa applicazione degli artt. 36, 40,
645, 646, 647 e 650 c.p.c. e art. 2909 c.c. Nullità della sentenza
impugnata e/o del procedimento”.
Deduce la ricorrente che la motivazione con cui la Corte di merito ha
superato quanto affermato dal Tribunale per disattendere la domanda
riconvenzionale (definitività del decreto ingiuntivo opposto, con
impedimento di ogni altro esame e di ogni altra questione relativa alla
fondatezza delle domande ed eccezioni) sarebbe frutto di un error in
procedendo; rappresenta che tale decisione si porrebbe in contrasto con
altra pronuncia della stessa Corte di appello in ipotesi analoga di
opposizione a decreto ingiuntivo intempestiva con domanda
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-6-

della domanda riconvenzionale come esposta in primo grado e in

riconvenzionale, senza dar conto, nella sentenza impugnata in questa
sede, delle ragioni del mutamento giurisprudenziale.
Assume la ricorrente che la domanda riconvenzionale proposta dalla
resistente riguarderebbe la richiesta restituzione di canoni di locazione
in relazione al conteggio relativo all’intero rapporto locatizio, riferito

succedutesi nel tempo, compreso quello oggetto del decreto ingiuntivo
opposto, con la conseguenza che la domanda riconvenzionale non
potrebbe essere qualificata – come erroneamente fatto dalla Corte di
appello – come domanda diversa e, quindi, rientrante nell’ipotesi di
cumulo soggettivo ed oggettivo, ma riguardando essa il medesimo
unico rapporto locatizio inter partes, da valutarsi nel suo complesso, “il
giudicato implicito del decreto in questione oper[ererebbe]” nel caso di
specie.
3.1. Il motivo é infondato, atteso che la domanda riconvenzionale si
riferisce a canoni relativi a contratti di locazione inerenti al medesimo
immobile ma diversi da quello cui si riferisce il decreto ingiuntivo di
cui si discute in causa, come dettagliatamente specificato nella sentenza
impugnata, sicché il giudicato conseguente alla definitività del predetto
d.i. non ha effetti sulla domanda riconvenzionale in parola.
4. Con il quarto motivo si lamenta “Violazione e falsa applicazione
degli artt. 2712 e 2719 c.c. in relazione all’art. 2697 c.c., all’art. 112 e
art. 116 c.p.c., ex art. 360, 1° comma nn. 3 e 4 c.p.c.. Nullità della
sentenza e/o del procedimento”.
La ricorrente assume che, nel costituirsi in secondo grado, aveva
esplicitamente ribadito, nella sua memoria di costituzione e risposta, le
eccezioni sollevate in primo grado riguardo al disconoscimento dell2
documentazione in ordine alla non conformità all’originale; lamenta
che la Corte di merito abbia omesso ogni pronuncia sul punto ed abbia
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-7-

allo stesso immobile, il che involgerebbe tutti i contratti di locazione

anzi giustificato la sua decisione sulla fondatezza della contestata
domanda riconvenzionale in base ai documenti versati dall’opponente
nel corso del giudizio di primo grado e tanto in violazione palese degli
artt. 112 e 116 c.p.c. e 2712 e 2719 c.c.. Tali documenti, prodotti in
copia fotostatica, sarebbero, invece, ad avviso del12 parte ricorrente,

dimostrare la fondatezza della domanda riconvenzionale.
4.1. Osserva la Corte che, secondo l’orientamento della giurisprudenza
di legittimità dal quale non vi è motivo di discostarsi, in tema di prova
documentale, l’onere, stabilito dall’art. 2719 c.c., di disconoscere
“espressamente” la copia fotografica (o fotostatica) di una scrittura,
con riguardo sia alla conformità della copia al suo originale, che alla
sottoscrizione o al contenuto della scrittura stessa, implica che il
disconoscimento sia fatto in modo formale e specifico, con una
dichiarazione che contenga una non equivoca negazione della
genuinità della copia. Pertanto, la relativa eccezione non può essere
formulata in maniera solo generica, ma va operata – a pena di
inefficacia – in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione
specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti
per i quali si assume differisca dall’originale (v. Cass. 3 aprile 2014, n.
7775).
Nel caso all’esame il disconoscimento in parola, risulta – in base ai
brani estratti dai suoi atti di parte e riportati dalla ricorrente genericamente riferita alla documentazione allegata ex adverso.
A quanto precede va aggiunto che il disconoscimento della conformità
di una copia fotografica o fotostatica all’originale di una scrittura, ai
sensi dell’art. 2719 cc., non ha gli stessi effetti del disconoscimento
della scrittura privata previsto dall’art. 215, primo comma, numero 2),
c.p.c., giacché mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di
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-8-

privi di efficacia probatoria e non sarebbero pertanto idonei a

verificazione, preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione di
cui all’art. 2719 c.c. non impedisce al giudice di accertare la conformità
all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le
presunzioni. Ne consegue che l’avvenuta produzione in giudizio della
copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale

copia all’originale, tuttavia, non vincola il giudice all’av -v-enuto
disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne
l’efficacia rappresentativa (Cass. 21 aprile 2010, n. 9439; Cass. 21
novembre 2011, n. 24456).
Inoltre, il Giudice del merito ha evidenziato che il C.T.U. si è avvalso
dei documenti forniti dalle stesse parti “per aiutarlo nella
comprensione della situazione” (tra cui richiama espressamente la
missiva dell’Amministrazione relativa alla corresponsione dei canoni
sino a settembre 2007, la registrazione delle fatture della società attuale
ricorrente e il dettaglio dei servizi di tesoreria dell’Amministrazione) e
ha, altresì, rilevato che la società ricorrente ha fatto uso della c.t.u. e
delle sue conclusioni, fondate sulla predetta documentazione, sia pure
per sostenere il suo assunto.
Alla luce di quanto precede risulta evidente l’infondatezza del motivo
all’esame.
5. Con il quinto motivo si deduce “Omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del
giudizio, ex art. 360, 1° co. n. 5, c.p.c. Violazione e falsa applicazione
dell’art. 2698 c.c.

[recte 2697 c.c., anche alla luce di quanto

rappresentato al paragrafo 6.1. di p. 38 del ricorso] in relazione all’art.
116 c.p.c. Violazione dell’art. 360, 1′ comma n. 3 c.p.c.”.
Assume la ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe affetta da
vizio di motivazione sul punto decisivo e controverso del giudizio
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-9-

il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della

rappresentato dalla circostanza relativa al pagamento dei canoni di
locazione da parte della Provincia di Cosenza, successivamente all’anno
2005 e, in particolare, sul fatto che la ricorrente, secondo il Giudice di
secondo grado, non avrebbe mai allegato che la Provincia di Cosenza
avesse incamerato i canoni dovuti a soddisfazione del suo preteso

La ricorrente sostiene che la Corte di appello avrebbe disatteso gli
accertamenti e le verifiche eseguite dal C.T.U. su tutti i documenti
versati in atti senza spiegarne le ragioni, si sarebbe discostata dagli
accertamenti sui fatti eseguiti dall’ausiliare ritenendo, “in evidente
equivoco rispetto alle risultanze contabili accertate dal C.T.U.”, che
non era stato accertato il pagamento dei canoni da parte della
Provincia a partire dal 2005; deduce che l’onere di dimostrare i
pagamenti eseguiti incombeva alla Provincia di Cosenza; assume che la
dimostrazione che tale ente abbia incamerato la somma oggetto della
riconvenzionale è stata fornita dalla medesima Provincia nella
comparsa di costituzione di nuovo difensore 26 gennaio 2007 e in
quanto dichiarato dal difensore del predetto ente nel verbale il 14
maggio 2007, in cui si fa riferimento alla compensazione.
5.111 motivo é infondato, avendo la Corte di merito, con motivazione
congrua ed immune da vizi logici e giuridici, esposto le ragioni per le
quali ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni della c.t.u. e ha pure
dato conto, in particolare, del perché ha ritenuto che
l’Amministrazione provinciale abbia continuato a corrispondere i
canoni sino al 2007 e non operata la compensazione tra il credito della
stessa con le somme dovute a titolo di canone.
Né valgono a corroborare la tesi della ricorrente i brani estrapolati
dagli atti difensivi della Provincia di Cosenza e riportati in ricorso, dai
quali si desume una mera prospettazione della compensazione ma non
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-10-

credito.

.!

certo la prova che la stessa sia stata poi effettivamente operata.
Neppure sussiste, pertanto, la lamentata violazione di legge.
I

6. Con il sesto motivo si lamenta violazione dell’art. 2697 c.c. in
relazione anche dell’art. 116 c.p.c..

violazione dell’art. 2697 c.c. anche in relazione all’art. 116 c.p.c.”,
avendo posto l’onere probatorio a carico della ricorrente,
nell’affermare, nella sentenza impugnata, che la società appellata non si
era mai curata di allegare che la Provincia di Cosenza avesse
soddisfatto il proprio credito trattenendo i canoni dovuti
successivamente. L’onere probatorio di dimostrare i fatti estintivi
dell’obbligazione (pagamento dei canoni di locazione) e quelli
costitutivi della domanda riconvenzionale (restituzione delle somme
versate in esubero a titolo di canoni di locazione), ad avviso della
ricorrente, incombeva sulla Provincia di Cosenza che aveva proposto
detta domanda.
6.1. Il motivo va rigettato osservandosi che, anche alla luce di quanto
evidenziato a confutazione del quarto e quinto motivo, era onere della
società opposta, convenuta in relazione alla domanda riconvenzionale,
della quale soltanto si discute in questa sede, dare prova del fatto
estintivo (avvenuta compensazione).
7. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
l

8.. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo,
seguono la soccombenza.
P. Q .M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in
favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di
legittimità, che liquida in complessivi euro 7.400,00, di cui curo 200,00
per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge.
RGN 12270/11

Assume la ricorrente che la Corte di merito sarebbe incorsa “nella

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza

Civile della Corte Su ema di Cassazione, il 4 dicembre 2014.

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