Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9000 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. I, 31/03/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 31/03/2021), n.9000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11643/2015 proposto da:

Comune di Catanzaro, in persona del sindaco pro-tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, in via della Frezza n. 59, presso

lo studio dell’avvocato Mirigliani Raffaele, che lo rappresenta e

difende, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Impima – Immobiliare Piazza Matteotti- s.r.l. in liquidazione, in

persona del liquidatore pro-tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Viale Bruno Buozzi n. 99, presso lo studio dell’avvocato

Criscuolo Fabrizio, che la rappresenta e difende, giusta procura

speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1406/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 08/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2020 dal Cons., Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con sentenza emessa nel 2006, il Tribunale di Catanzaro, in parziale accoglimento della domanda proposta nel 1988 dalla Impima s.r.l., condannò il Comune di Catanzaro al risarcimento del danno e al pagamento dell’indennità d’occupazione legittima, per la somma complessiva di Euro 492.097.500, in relazione all’occupazione e successiva irreversibile trasformazione di un fondo di proprietà della società attrice sito in (OMISSIS) ed esteso circa mq 15000, in mancanza del decreto d’espropriazione. Al riguardo, il Tribunale, nel determinare l’importo spettante a titolo risarcitorio, recepì i criteri di stima adottati dal collegio di c.t.u. incaricati che, premessa la destinazione agricola del fondo occupato al tempo della dichiarazione di pubblica utilità, aveva rilevato che tale destinazione urbanistica avrebbe consentito l’edificazione di un edificio su un’area di sedime di 200 mq per una cubatura complessiva di mq 1700. Pertanto, secondo i c.t.u., il valore del fondo poteva essere desunto dalla differenza tra il valore di mercato dell’immobile che sarebbe stato possibile realizzare e il suo costo di costruzione, pari a Euro 450.000.000,00 somma alla quale era stato aggiunto il valore dell’area cortilizia prospiciente i tre fabbricati rurali preesistenti e demoliti nel corso dell’occupazione, e il valore di un’area fortemente scoscesa ed adibibile unicamente a bosco.

Avverso tale sentenza propose appello il Comune di Catanzaro lamentando l’erroneità dei criteri di liquidazione del risarcimento dei danni per la perdita della proprietà del fondo, con riferimento sia alla quota determinata sulla base del fabbricato ipoteticamente realizzabile sul fondo, sia alla quota relativa alla sua parte scoscesa, e dell’indennità d’occupazione legittima.

Con sentenza emessa nel 2009, la Corte d’appello di Catanzaro, respingendo ogni doglianza relativa ai criteri di liquidazione del risarcimento dei danni, ricalcolò l’indennità, parametrandone l’importo annuo al tasso degli interessi legali, applicato all’ammontare del risarcimento per la perdita del fondo, senza alcuna devalutazione. Il Comune di Catanzaro propose ricorso per cassazione censurando, con cinque motivi, l’applicazione del criterio di stima del valore del fondo ritenuto incompatibile con la sua destinazione agricola.

Con sentenza del 2011, la Cassazione accolse il ricorso, osservando che: la quantificazione del danno per la perdita del fondo era necessariamente da effettuare sulla base della classificazione del fondo, non essendo legittimo il criterio dell’edificabilità di fatto; tale principio non precludeva al proprietario di dimostrare che il valore agricolo del terreno potesse tener conto anche di un ulteriore sfruttamento intermedio tra l’uso agricolo e quello edificatorio; per la stima dei fabbricati realizzati nell’ambito dei terreni agricoli, ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 16, comma 9, occorreva verificare se l’immobile fosse munito di concessione edilizia; l’indennità legittima era da determinare in misura di 1/12 del valore venale del terreno.

Cassata la sentenza della Corte territoriale cui la causa fu rinviata per un nuovo giudizio, l’Impipa s.r.l. riassunse il giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello principale e l’accoglimento dell’appello incidentale; si costituì il Comune.

Con sentenza emessa l’8.10.14, la Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannò il Comune di Catanzaro al pagamento in favore dell’Impipa s.r.l., della somma di Euro 226.933,00 per risarcimento del danno, Euro 30.832,05 a titolo d’indennità d’occupazione legittima, oltre interessi legali, osservando che: atteso che la Cassazione aveva annullato la sentenza della Corte d’appello solo con riferimento ai motivi di ricorso del Comune, il riesame della sentenza di primo grado era da limitare a tali motivi, laddove quelli a sostegno dell’appello incidentale avrebbero potuto essere esaminati solo quali argomenti utili a contrastare l’appello principale e non anche al fine di conseguire una riforma della sentenza del Tribunale con una condanna del Comune al pagamento di somme di maggiore importo; i fabbricati rurali esistenti al tempo dell’occupazione, poi demoliti nel corso della stessa, non avevano concorso a determinare il quantum del risarcimento, composto dal valore dell’ipotetico fabbricato realizzabile sul terreno, dal valore dell’area cortilizia e dell’area scoscesa; i giudici di merito avevano disatteso tali criteri, attenendosi al criterio di stima analitico suddetto; era utilizzabile la stima dei c.t.u. del valore venale dei fabbricati all’epoca dell’occupazione, non contestata dal Comune; il principio di diritto affermato dalla Cassazione sui fabbricati rurali non era applicabile in ragione dell’indisponibilità di una descrizione dei fabbricati nel contesto della loro ubicazione al tempo dell’immissione in possesso del terreno (il verbale d’immissione faceva un accenno all’esistenza dei fabbricati: due di essi erano stati demoliti all’accesso dei c.t.u. e l’area era stata trasformata per via dei lavori di costruzione dell’opera pubblica); le stime dei c.t.u. dell’area cortilizia e scoscesa erano da confermare; la tesi dell’Impima s.r.l. sul maggior valore da attribuire all’intero fondo, per l’utilizzabilità alternativa a quella agricola del fondo, era infondata attesa l’onerosità dei lavori necessari.

Ricorre in cassazione il Comune di Catanzaro con due motivi. Resiste l’Impima s.r.l. con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale affidato ad unico motivo. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Il primo motivo del ricorso principale denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 384 e 394 c.p.c., non avendo la Corte d’appello pronunciato conformandosi ai principi stabiliti nella sentenza di annullamento con rinvio della cassazione, avendo stimato il valore venale del fondo in misura superiore al suo valore agricolo, senza che sia emersa un’utilizzabilità diversa da quella edificatoria, e valutando autonomamente i fabbricati in mancanza del permesso di costruire, come accertato dal c.t.u. e non contestato.

Il secondo motivo, in subordine, denunzia violazione degli artt. 2043,2056,1223,1226, c.c., non avendo la Corte territoriale valutato correttamente il valore del fondo secondo la sua reale consistenza, valutando autonomamente i ruderi dei fabbricati rurali che, costruiti senza permesso di costruire, sarebbero stati da stimare come assorbiti nella valutazione del terreno agricolo.

L’unico motivo del ricorso incidentale deduce: omessa pronuncia, per violazione degli artt. 112,394, c.p.c., violazione degli artt. 2043 e 2056 c.c., omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui aveva limitato il suo giudizio all’esame dell’appello del Comune, non esaminando l’appello incidentale, considerato l’accoglimento del ricorso per cassazione fondato sui soli motivi del ricorso del Comune. Il primo motivo del ricorso principale è infondato. Invero, il ricorrente Comune lamenta che la Corte territoriale, nel determinare il valore dei fondi occupati ed irreversibilmente trasformati non si sia attenuta al principio di diritto fissato da questa Corte nella sentenza emessa nel 2014, ex art. 384 c.p.c.

Al riguardo, il collegio ritiene che la Corte territoriale non abbia violato l’art. 384 c.p.c., avendo invece rispettato il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi (Cass., n. 448/2020; n. 17790/14). Nel caso concreto, la Suprema Corte annullò la precedente sentenza della Corte territoriale per violazione dei criteri di legge in tema di valutazione dei fondi classificati come agricoli, escludendo ogni valenza riferibile alla cd. “edificabilità di fatto”, demandando al giudice del rinvio l’accertamento della corretta applicazione dei criteri di stima dell’effettivo valore venale degli immobili ablati.

Va premesso che la Corte territoriale ha osservato che il principio di diritto richiamato dalla Cassazione non era in concreto applicabile in ragione dell’indisponibilità di una descrizione dei fabbricati nel contesto della loro ubicazione al tempo dell’immissione in possesso del terreno (infatti, il verbale d’immissione faceva un accenno all’esistenza dei fabbricati: due di essi erano stati demoliti all’accesso dei c.t.u. e l’area era stata trasformata per via dei lavori di costruzione dell’opera pubblica). Al riguardo, tale valutazione, che muove dall’accertamento in fatto contenuto nella sentenza cassata, in quanto funzionale all’applicazione del principio di diritto stabilito dalla Suprema Corte, non è di per sè censurabile in quanto pone in evidenza l’insussistenza dei presupposti di un’utilizzazione alternativa a quella agricola dei beni in questione.

Invero, la Corte di merito ha sostanzialmente ritenuto di attribuire ai terreni ablati un valore di mercato relativo alla loro connotazione agricola, affermando, con argomenti esaustivi non censurabili in questa sede, che il fondo oggetto di causa non era suscettibile d’utilizzazione alternativa a quella agricola, in ragione della sua particolare posizione all’interno dell’abitato di Catanzaro, nella vicinanza di edifici ad uso ufficio, nonchè residenziale, in quanto il fondo suddetto, per la sua maggior estensione, era considerevolmente scosceso ed accidentato. Pertanto, secondo l’argomentare della Corte territoriale, un’utilizzazione alternativa a quella agricola del fondo avrebbe implicato la necessità di esecuzione di lavori di sbancamento e consolidamento, con relativi costi difficilmente compatibili con la progettualità dell’imprenditoria privata. Tale valutazione, che destituisce di ogni fondamento la critica del ricorrente Comune circa la stima di un valore superiore a quello agricolo, non appare censurabile, afferendo al merito della questione dell’utilizzabilità ulteriore del terreno agricolo ai fini della relativa stima, evidenziata dalla stessa Suprema Corte.

Il secondo motivo è parimenti infondato. Al riguardo, giova preliminarmente osservare che la stima del valore venale, secondo la natura agricola dei terreni, dei fabbricati residui, al tempo dell’occupazione, era stata effettuata dal c.t.u. in maniera del tutto conforme alla stima suggerita dal consulente della società controricorrente e non era stata oggetto di contestazione da parte del Comune. Inoltre, va rilevato che la Corte territoriale, a sostegno di tale valutazione, ha addotto la concreta indisponibilità di una descrizione dei fabbricati medesimi nel contesto della loro ubicazione al tempo dell’immissione in possesso del Comune, alla stregua del verbale redatto. Pertanto, sulla base del suddetto rilievo, la Corte d’appello ha correttamente effettuato un’autonoma stima dei ruderi dei fabbricati rispetto alle altre porzioni identificate (area cortilizia e area scoscesa), in considerazione della loro diversa connotazione ed utilizzabilità concreta.

Il ricorso incidentale è inammissibile. La Corte di merito ha rettamente deciso che, a seguito della cassazione della sentenza di secondo grado emessa nel 2009, disposta con riferimento ai motivi di ricorso proposti dal Comune di Catanzaro, il riesame della sentenza di primo grado era operata sulla sola scorta dei motivi del Comune, quale appellante principale, mentre i motivi del gravame incidentale articolati dall’Impima s.r.l. (attuale controricorrente e ricorrente incidentale) erano esaminabili solo per contrastare la richiesta di riforma da parte del Comune e non anche quali argomenti funzionali a conseguire maggiori somme, a titolo risarcitorio ed indennitario, attraverso un’inammissibile reformatio in pejus per l’appellante principale.

Invero, il motivo non è sorretto dall’interesse ad impugnare, alla luce del principio consolidato per il quale, in tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato allorchè proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (Cass., n. 22095/17; n. 11270/2020).

Considerata la reciproca soccombenza, ricorrono i presupposti legali per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale, dichiarando compensate le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico del ricorrente e della società ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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